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justice-for-trayvon-martinL’assoluzione di George Zimmermann, l’uomo che uccise il ragazzo disarmato e incolpevole, rilancia la questione razziale negli Stati Uniti e l’indisponibilità di Obama a impegnarsi su questo fronte Nell’America “post-razziale” di Obama uccidere senza motivo un ragazzo disarmato di diciassette anni, solo perché di colore, è perfettamente legale. È questo l’inequivocabile messaggio dell’incredibile sentenza di assoluzione in favore di George Zimmerman emessa dalla giuria lo scorso 13 luglio.

 

Il 26 febbraio del 2012 Trayvon Martin stava camminando per i fatti suoi in una cittadina della Florida, Sanford, dopo aver comprato una lattina di the e un pacchetto di caramelle, il cappuccio della felpa sollevato a causa della pioggia. A quanto pare essere un ragazzo nero in un quartiere residenziale prevalentemente bianco è stata ragione sufficiente a suscitare i sospetti di Zimmerman. Zimmerman ha inseguito Trayvon crendendolo un criminale, con una pistola 9mm a portata di mano, Trayvon forse si è difeso, Zimmerman gli ha sparato e lo ha ucciso. Questi i fatti, al di là di ogni ragionevole dubbio.

Ma per la giuria, composta da sei donne, delle quali solo una appartenente a una minoranza etnica, i fatti hanno contato meno dei pregiudizi razziali. L’assoluzione dal capo di imputazione di omicidio di secondo grado era nell’aria fin dall’inizio. La polizia della Florida si era ben guardata dall’arrestare Zimmerman, per quanto questi non avesse mai negato di aver sparato a Trayvon Martin: ci sono voluti oltre un mese, un milione di firme su una petizione che ne domandava l’arresto e decine di manifestazioni in tutto il paese, per vederlo finalmente in galera e accusato di omicidio di secondo grado. Ma che la giuria arrivasse ad assolvere Zimmerman anche dal secondo capo di imputazione, omicidio preterintenzionale, e pertanto a riconoscere che aveva agito “per legittima difesa”, andava al di là delle previsioni più pessimiste.

Per capire come questo sia stato possibile, è sufficiente dare un’occhiata ad alcuni dati. Negli Stati Uniti una persona di colore viene uccisa da un poliziotto o da un vigilante ogni 28 ore. In una ricerca condotta su un campione di 43.500 omicidi, John Roman, un ricercatore dell’Urban Institute’s Justice Policy Center, ha mostrato come bianchi che uccidono persone di colore hanno il 250% di probabilità in più d’essere assolti sulla base del riconoscimento della legittima difesa, rispetto a bianchi che uccidono altri bianchi. Questa percentuale schizza al 354% negli Stati in cui sono in vigore le cosiddette “Stand Your Ground Laws”: leggi che ampliano in maniera significativa l’accezione di legittima difesa (http://io9.com/disturbing-chart-shows-rise-in-justified-killings-of-7734…). La ricerca mostra anche come il diritto di legittima difesa non sia sostanzialmente riconosciuto a persone di colore che uccidono un bianco.

Il caso Zimmerman-Martin è stato controverso sin dall’inizio. Una delle ragioni è che Zimmerman è in realtà un latino di pelle chiara, un “white Hispanic”. Sia la famiglia di Trayvon che gli organizzatori della campagna Justice for Tayvon Martin sono stati quindi accusati di sollevare e strumentalizzare il discorso razziale a proposito di un caso in cui, invece, il pregiudizio razziale non avrebbe giocato nessun ruolo. Sulla base di quest’idea i giudici del processo si sono sistematicamente rifiutati di prendere in considerazione la questione razziale nel corso del procedimento. Tuttavia, Zimmerman è un razzista dichiarato e sostiene apertamente idee suprematiste bianche. Inoltre, come notato dalla rivista The Nation, la strategia processuale adottata dai suoi difensori ha fatto ampiamente leva su pregiudizi razziali, mirando ad agitare nella giuria le paure inconscie e le ansie legate all’idea che un nero per strada è comunque e sempre una possibile minaccia. D’altronde, se si escludesse la componente razziale dall’equazione, il motivo che ha spinto Zimmerman a pensare che fosse un suo sacro dovere e diritto seguire e inseguire un ragazzo disarmato e inoffensivo di diciassette anni rimarrebbe un autentico mistero.

Alla notizia dell’assoluzione, la notte di sabato 13 luglio centinaia di persone sono scese in piazza in diverse città della California, mentre le autorità, le organizzazioni politiche “liberal” e i pastori religiosi invitavano il paese a mantenere la calma. Difficile, tuttavia, mantenere la calma in un contesto in cui un personaggio come Zimmerman viene assolto e allo stesso tempo, sempre in Florida, una donna di colore, Marissa Alexander, viene condannata a ben venti anni di galera per aver sparato alcuni colpi di avvertimento al fine di difendersi dal marito violento, senza peraltro ferire o uccidere nessuno. Difficile mantenere la calma in un paese in cui l’elezione di Obama alla presidenza ha, se possibile, peggiorato le cose in termini di razzismo sistemico, istituzionale e sociale.

Zimmerman non può più essere processato per l’omicidio di Trayvon Martin, la sua assoluzione è definitiva: tuttavia, potrebbe essere accusato e processato a livello federale per violazione della Civil Rights Law. Chiedere un procedimento federale a suo carico rientrerebbe nelle prerogative del Presidente degli Stati Uniti e il dipartimento di giustizia ha annunciato la propria intenzione di rivedere il caso, per verificare se vi siano i termini per un’accusa di violazione dei diritti civili. E, tuttavia, la dichiarazione rilasciata da Obama nel pomeriggio del 14 luglio non fa nessuna menzione della questione razziale, ratifica la correttezza giuridica del procedimento e delle conclusioni, e invita alla calma. La realtà è che in tutti gli anni della sua presidenza Obama si è ben guardato dall’agitare la questione razziale o dal mettere in atto dei programmi seri per scardinare il razzismo istituzionale e sistemico del paese. E che la borghesia nera liberal non ha fatto che agire da pompiere, per evitare problemi politici al proprio presidente.

Ma c’è chi si rifiuta di rimanere a guardare e scende in piazza: il 14 luglio una cinquantina di manifestazioni si sono svolte in tutto il paese. La più grande a New York, dove diecimila persone si sono radunate a Union Square per poi attraversare Manhattan fino a Times Square in una manifestazione non autorizzata che ha fatto andare in tilt il traffico e la polizia, zigzagando in lungo e in largo per oltre trenta isolati. Il grido unanime dei manifestanti, a New York come nelle altre città, è già di per sé una risposta agli inviti alla calma: “No Justice, No Peace”. Senza giustizia, non avrete la vostra pace.

 

Tratto da sito: http://www.ilmegafonoquotidiano.it