Con oltre 74 milioni di abitanti, la Turchia è il terzo paese europeo per popolazione, dopo la Russia e la Germania. Con un prodotto interno lordo che la pone al secondo posto tra i grandi paesi emergenti, dietro alla Russia, e una collocazione geografica decisiva, all’entrata dell’Europa e nel cuore del Medio Oriente, la Turchia è un pezzo fondamentale dello scacchiere geopolitico di questo inizio del 21° secolo. La battaglia per la costruzione del gasdotto che permette l’approvvigionamento dell’Europa Occidentale con il gas russo, ne è l’illustrazione più visibile.
Sfide politiche e militari. La Turchia, alleata storica e testa di ponte militare degli Stati Uniti, è una componente essenziale della politica statunitense, tanto nella questione palestinese quanto negli ultimi sviluppi in Siria. «Uomo malato» dell’Europa all’inizio del 20° secolo, la Turchia e il suo «modello» di sviluppo, diventato un riferimento come alleanza del modernismo economico e del conservatorismo morale e sociale, sono entrati in crisi.
Le crepe nell’economia turca
La formidabile mobilitazione messa in moto contro la soppressione del parco Gezi cristallizza una crisi iscritta nell’evoluzione economica e politica della Turchia da una trentina d’anni.
Siamo lontani dalla Turchia della fine del 19° Secolo, un paese sottosviluppato di meno di 10 milioni di abitanti, una economia fallimentare, posta sotto la tutela delle grandi potenze europee, smembrata e occupata in occasione della Prima Guerra Mondiale. Contro questa dominazione si sviluppa la guerra d’indipendenza (1919-1922) condotta di Mustafà Kemal Pascià, Atatürk (nell’immagine), padre fondatore della repubblica e attore decisivo dello sviluppo economico della Turchia. Il nuovo potere si distacca sia dai vicini arabi che dall’Islam che considera un freno alle riforme. Abolisce il califfato, instaura un regime laico e impone l’alfabeto latino contro l’alfabeto arabo.
Fallimento, crisi e colpi di Stato
Fino agli anni 1950, la Repubblica assicura uno sviluppo economico basato su una industrializzazione di sostituzione delle importazioni, con l’instaurazione di alte barriere doganali. Questi sforzi si fondano su un’agricoltura che fino agli anni 1950 occupa il 75% della popolazione e fornisce circa la metà del PIL. Malgrado reali progressi economici e sociali, il Partito Repubblicano, Cumhuriyet Halk Partisi (CHP), è battuto nelle prime elezioni pluraliste del 1950 dal Partito Democratico. Quest’ultimo, che ha conquistato la fiducia della popolazione rurale, si impegna in una politica di privatizzazione delle imprese pubbliche e di sostegno all’agricoltura. Questa politica fallisce, con un’inflazione galoppante, l’esaurimento delle divise estere e ripetute penurie. Le difficoltà economiche e lo sviluppo delle mobilitazioni offrrono le condizioni di colpi di Stato militari ripetuti dal 1960 al 1980, con violenze e una repressione sistematiche contro i sindacati e le organizzazioni di sinistra ed estrema sinistra.
Visite del Papa, sostegno degli USA, costruzione di un ponte sul Bosforo, primi passi in direzione della Unione Europea, intervento militare vittorioso a Cipro, non bastano a compensare le difficoltà economiche. I primi effetti della crisi economica mondiale si combinano con gli errori economici e l’instabilità politica del paese. Nel 2001, il PIL cade di circa il 10%, l’inflazione tocca il 50% e il debito il 75% del PIL.
Dietro la prosperità
In tale contesto il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi), fondato nel 2001, arriva al potere nel 2002, con solo il 34% dei voti ma con la maggioranza in Parlamento. Rivolgendosi economicamente e ideologicamente alle popolazioni vittime dell’esodo rurale allarga il suo elettorato (47% nel 2007 50% nel 2011) grazie ai suoi successi economici: industrializzazione rivolta all’esportazione, (più del 75% delle esportazioni totali), basata su una forte svalutazione e una politica di bilancio molto rigorosa, risanamento delle finanze pubbliche, ristrutturazione del settore bancario e garanzia di indipendenza della banca centrale.
Ma la realtà di tale relativa prosperità economica non può fare dimenticare tre elementi essenziali nello sviluppo della crisi attuale. Dal punto di vista economico, i progressi recenti si basano più sull’immobiliare e sui servizi e meno sull’industria a causa di una competitività ancora insufficiente. Dal punto di vista sociale, il settore informale impiega il 40% degli attivi (25% all’infuori dell’agricoltura), mentre le donne rappresentano solo il 29% della popolazione attiva. Perdurano ineguaglianze di sviluppo tra Est e Ovest: la ricchezza per abitante della regione di Marmara (45% del PIL e 31% della popolazione) è tre volte maggiore che nel sud-est dell’Anatolia. Infine, dal punto di vista politico e ideologico,l’autoritarismo del regime di Erdogan, la sua volontà di appoggiarsi sull’islam per giustificare gli orientamenti reazionari, urtano sempre più violentemente strati sociali impregnati di laicità e di libertà, in sintonia con gli indignati degli Stati Uniti o della Spagna.