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Ho potuto convincermi che ci si può aspettare di tutto, ma proprio tutto, da questi despoti.  Poiché,  meglio di qualsiasi osservatore esterno, essi sono consapevoli della estrema fragilità dei loro regimi, ritengono il ricorso al terrore, fino ai limiti più estremi, rappresenti un normale, quasi banale, strumento di azione politica.

“Lo Stato della barbarie”, come lo descriveva giustamente Michel Seurat [1947-1985, preso in ostaggio nel 1985 ed ucciso da Hezbollah: vedi la riedizione del suo libro, “Syrie – l’Etat de Barbarie (PUF 2012)] poggia sul ricorso alla violenza più implacabile nei confronti della popolazione, alla quale non viene lasciata  altra scelta se non quella tra sottomettersi o perire.

Menzogna di Stato

Per convalidare questa alternativa spietata, Assad, padre e figlio, sanno che è assolutamente necessario che si verifichino due condizioni:

• Il territorio siriano deve essere vietato ad ogni tipo di informazione indipendente;

• l’opposizione interna deve essere sistematicamente assimilata ad una manipolazione esterna, di preferenza Mossad e CIA, ma anche Iraq, Turchia, Arabia o Qatar, a seconda dei particolari momenti.

È nel silenzio assoluto del marzo 1982 [l’esercito di Hafez-el Assad , massacra ad Hama l’insurrezione dei Fratelli musulmani] che permette ad Hafez el-Assad di sterminare una gran parte della popolazione di Hama e di distruggere un terzo del centro storico della città.

È lo stesso tipo di silenzio che Assad figlio vuole  ripristinare oggi, in tempi di presunta “trasparenza”, con l’eliminazione di giornalisti stranieri o siriani. Il libero accesso  della stampa, seppur inserito nel dicembre 2011 nei trattati della Lega araba  e nell’aprile 2012 nella risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU, in Siria rimarrà sempre lettera morta.

Una volta garantito l’esclusione di qualsiasi forma di informazione, la propaganda del regime instilla il dubbio su tutte le dichiarazioni dell’opposizione, dubbi che di fatto non potranno essere verificati da “fonti indipendenti”, perché  bandite dalla Siria.

Da qualche giorno, questo circolo vizioso ha raggiunto un punto estremo: agli ispettori dell’ONU a Damasco è stato proibito l’accesso ai siti colpiti dalle armi chimiche, anche se vicini al loro hotel. La televisione governativa accusa la rivoluzione dei crimini perpetrati dall’esercito governativo, senza pensare che sarebbe utile permettere un controllo degli ispettori dell’ONU per confermare questa menzogna di Stato.

Bachar mette alla prova la passività internazionale

Bachar el-Assad, come suo padre, è ossessionato dalla sopravvivenza ad ogni costo del regime. Il popolo siriano sparisce dalla visione imperante del despota che, come ogni dittatore della Storia, è in parte convinto della sua stessa propaganda.

La cosa più importante non è dunque gestire, almeno in parte, una popolazione che quantità trascurabile, ma mettere alla prova la passività internazionale di fronte ad ogni evoluzione della violenza contro questa popolazione, evidentemente accusata di essere composta solo da una massa di “terroristi”, di “djihadisti” e di  “agenti” del Mossad, della CIA o dei paesi del Golfo.

Dall’inizio delle manifestazioni pacifiche, nel marzo 2011, Bachar el-Assad ordina ai suoi tiratori scelti di abbattere gli oppositori disarmati. Un mese più tardi, sono i blindati che entrano nelle zone della contestazione. In estate, questi blindati, ora equipaggiati con mitragliatrici pesanti, seminano il terrore nelle città in mano all’opposizione. Durante l’inverno successivo, l’artiglieria inizia a bombardare i quartieri ribelli.

Ogni volta, il dittatore sperimenta un attacco sempre più violento su un territorio limitato, constatando l’inconsistenza delle “condanne” internazionali puramente verbali, prima di estendere questo nuovo tipo di repressione a tutto il territorio siriano.

Questa evoluzione spaventosa continua anche nell’estate 2012, con la banalizzazione dei raid aerei a ridosso delle zone residenziali.

Nei confronti di questi crimini di guerra non vi sono state reazioni credibili, a parte qualche comunicato indignato e qualche reportage impressionante. Ed allora, Assad può passare al bombardamento con missili balistici Scud  [vedi i molti reportage del dicembre 2012], con una portata di 300 km.  Nessun regime ha  mai usato armi strategiche di questo tipo contro il proprio popolo. Ed ancora una volta è la passività a prevalere e ad incoraggiare gli oppressori a rendere recidiva e sistematica la loro nuova arma di terrore.

Il ricorso alle armi chimiche viene verificato la prima volta la vigilia di Natale 2012, in un quartiere della città di Homs. Attento a non sorpassare direttamente la “linea rossa” tracciata dall’amministrazione Obama, Assad si accontenta di un uso limitato, con un mix di gas paralizzanti ed esplosivi classici. Nell’arco di più di sei mesi, il bilancio dell’insieme di questi attacchi raggiunge i 150 morti, un cifra che appare poca cosa di fronte ai 100’000 della tragedia siriana (questo bilancio globale è d’altronde sicuramente sottovalutato).

Minacciato nel cuore del suo perimetro di sicurezza

La popolazione delle zone “liberate”, che ha pagato un alto prezzo per conoscere il suo tiranno, è convinta che  Assad, se non verrà fermato, scatenerà un attacco massiccio con armi chimiche. Gli ospedali rivoluzionari di Aleppo, dove mi trovavo nel luglio 2013, si sono equipaggiati con installazioni di fortuna per le prime cure e la decontaminazione in caso di attacco chimico.

Il milione di abitanti di questa parte “liberata” di Aleppo dispone di sedici maschere antigas e di 10’000 dosi di atropina, l’unico antidoto all’esposizione al gas sarin.

Secondo l’opposizione, la decisione di dare il via ad una campagna chimica contro i quartieri ribelli di Damasco  è stata presa l’8 agosto. Giorno in cui Bachar el-Assad è scampato ad un attentato presso la moschea  Anas Bin Malek, dove doveva partecipare alle preghiere per la fine del ramadan.

Ho abitato per molti anni proprio a fianco di questa moschea e posso affermare che essa è situata nel del  perimetro di sicurezza del regime. La dittatura Assad, che deve ricorrere ai rinforzi libanesi di Hezbollah per riconquistare Homs e Qusseir, è ormai minacciata anche nel cuore della capitale.

L’impunità totale di Bachar

Sopravvissuto ad un attentato nel giugno 1980, Hafez-el-Assad, aveva ordinato per rappresaglia il massacro centinaia di detenuti politici nella terribile prigione di Palmyre. Il castigo per il tirannicidio, crimine assoluto nel sistema Assad, deve essere sia cieco che dissuasivo.

È forse a partire da quel momento che sono stati pianificati i preparativi per un attacco alle armi chimiche più intenso, con lo scopo di punire la popolazione dei quartieri ribelli di Damasco e poi distruggerli per annientare definitivamente le unità infiltrate da molti mesi.

L’impunità della giunta egiziana non ha fatto che incoraggiare Assad a passare all’azione. Di fatto, in Egitto, dal 14 al 16 agosto è stato massacrato più di un migliaio di persone, suscitando reazioni internazionali che non sono andate oltre il livello verbale. Se un massacro del genere può accadere in un paese aperto alla stampa straniera, allora in Siria tutto sembra possibile.

L’arrivo degli ispettori ONU di Damasco non può che favorire questo piano: il loro mandato, aspramente negoziato dai diplomatici lealisti, concerne solo tre siti situati fuori Damasco e non è loro permesso di denunciare pubblicamente i responsabili. Questa presenza strutturalmente impotente, lungi dal frenare i massacratori, aumenta invece la loro determinazione.

Il 21 agosto 2013, tra le 2.30 e le 5.30 locali, decine di missili vengono lanciati da basi governative contro la Ghouta, cioè la periferia est e ovest della capitale. Gli ospedali di fortuna sono subito sommersi dall’afflusso di vittime. La percentuale di bambini è spaventosa, a causa della loro vulnerabilità ai gas. Famiglie intere sono state sterminate nel sonno, dato che dormivano con le finestre aperte a causa del calore estivo. Il bilancio supera il  migliaio di morti, tra i quali Medici Senza Frontiere (MSF) rileva almeno 355 vittime di neurotossici.

Sono ormai alcuni giorni che in Siria è avvenuto questo massacro senza precedenti, e come prevedeva Bachar el-Assad, ancora una volta nulla mette in causa la sua immunità. Ancora una volta, come in ogni tappa nell’escalation dell’orrore, è riuscito a banalizzare l’utilizzo di un’arma nuova contro la sua popolazione.

Tre possibili scenari

Dopo la periferia di Damasco, sarà la volta di Homs o Deir Ezzor. D’ora in avanti non si può più escludere il tiro di missili Scud, equipaggiati di armi chimiche, contro Aleppo, anche solo per evitare che la seconda città del paese passi sotto il controllo della rivoluzione.

Tre grandi possibili scenari si profilano ad un orizzonte molto vicino o almeno più plausibile:

• L’amministrazione Obama, riconoscendo infine la sconfitta di una politica che ha rafforzato sia Bachar el- Assad che i djihadisti, decide, unitamente ai propri alleati, attacchi mirati contro i centri di comando del regime, in particolare contro le basi di lancio delle armi chimiche. Lo spiegamento della marina da guerra nel Mediterraneo orientale sembra confermare questa ipotesi.

Ma questa logica di “guerra fredda” si inserisce perfettamente nelle schema di propaganda di Assad e del suo alleato Putin. Sono note le reticenze del presidente americano rispetto ad un intervento militare in Medio Oriente [senza citare anche le esplicite reticente di Martin Dempsey, capo di Stato Maggiore congiunto USA, vedi Le Figaro, 21 agosto 2013]

Infine, Israele auspica la neutralizzazione reciproca dei miliziani sciiti e dei radicali sunniti. Quanto alla Turchia, essa è troppo presa dalla crisi del sistema Erdogan per poter assumere l’iniziativa.

• La resistenza siriana ottiene finalmente l’armamento antiaereo ed anticarro, promesso da un anno e mai fornito. Questa situazione offre il vantaggio di aiutare le forze nazionaliste della rivoluzione siriana, permettendole anche di neutralizzare in futuro il rilancio djihadista.

Non è però certo che questa opzione, la cui fattibilità era garantita nell’ottobre 2012, sia oggi in grado di opporsi ad uno scontro che ha banalizzato l’utilizzo tattico delle armi chimiche. Inoltre la CIA è disponibile solo a fornire aiuti di appoggio, come quelli che aveva fornito al Kossovo nel 1999, rifiutandosi di collaborare con commando siriani fortemente autonomi.

• E’ molto probabile che non succederà nulla di eclatante, al di là di una agitazione diplomatico-militare molto lontana da quanto succede sul terreno.

“Fughe di notizie” opportunamente distillate, permetteranno di accreditare la favola di un’azione clandestina dei servizi occidentali, che giustificherà la passività pubblica dei loro dirigenti. Il divieto di controlli indipendenti sul terreno siriano darà il via a tutte le teorie della cospirazione. Personaggi alla Voltaire, auto-proclamati sfoggeranno la loro “libertà di pensiero”, per negare al popolo siriano perfino il diritto di contare i suoi morti.

Prima e dopo il 21 agosto 2013

Il mondo continuerà a girare. O almeno così sembrerà. Perché vi sarà un prima e un dopo il 21 agosto 2013. Bachar el -Assad sta già preparando la sua prossima compagna di sterminio chimico, ancora più ampia. Di fatto, legge dentro di noi come in un libro aperto, ed ha una grande mancanza di rispetto per le nostre società.

Ho sentito Hafez el-Assad dire che Gobatchev avrebbe dovuto essere fucilato come traditore della patria sovietica. Bachar ed i suoi complici gioiscono nel vedere le contorsioni della “comunità internazionale”.

L’attuale passività diventa complicità nel prossimo massacro, che non tarderà molto. Se non verrà annientato, il padrone di Damasco seminerà il terrore. Ha anche l’imbarazzo della scelta per esportare il caos nei paesi vicini.

Due anni dopo l’olocausto chimico di Halabja contro i Curdi iracheni, Saddam Hussein, nel 1990, inebriato dalla sua impunità, ha invaso il Kuweit. Scommettiamo che Bachar el-Assad non attenderà così a lungo per far precipitare nell’orrore tutta la regione.

In Siria non siamo più confrontati con un problema morale elementare, ma di sicurezza collettiva.

* giornalista, storico, insegnante a Science Po a Parigi. L’articolo è apparso il 25 agosto 2013 sul suo blog sul sito di rue 89. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà