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siria8MSF (Medici Senza Frontiere) e molte altre organizzazioni sono concordi nel constatare l’utilizzo di armi chimiche contro la popolazione delle periferie di Damasco nella notte del 21 agosto. mediapart (uno dei più importanti siti di analisi e controinformazione francese) pubblica il dettaglio dei rapporti e delle informazioni disponibili. Il regime siriano ha provocato il massacro per contrastare l’avanzata dell’Esercito Libero Siriano verso il centro della capitale.

Gli ispettori ONU recatisi lunedì 26 agosto 2013 a Moadamiyeh, una delle località della Ghouta colpita dagli attacchi del 21 agosto, dovranno appurare l’utilizzo di armi chimiche responsabili di un massacro di massa. Sono stati preventivamente accolti da raffiche di armi da fuoco e i bombardamenti su questa località sono ripresi subito dopo la loro partenza.

 

Da mercoledì, gli oppositori al regime siriano e diverse ONG presenti sul posto, hanno reso noto i primi bilanci raccapriccianti. Secondo la rete di medici siriani dell’UOSSM, più di 1300 persone sono morte a causa dell’utilizzazione di gas tossici, di cui un 67% tra donne e bambini. Le strutture mediche della Ghouta hanno assistito 9839 persone di cui 3041 casi gravi.

Medici senza frontiere, che sostiene diversi ospedali nella zona, ha anche recensito il decesso di 355 pazienti “che presentavano sintomi neurotossici”. “I sintomi che ci sono stati rapportati, lo schema epidemiologico di questo avvenimento –caratterizzato dall’afflusso massiccio di pazienti in un lasso di tempo molto breve, la provenienza dei pazienti e la contaminazione dei soccorritori e del personale che ha fornito le prime cure- suggeriscono fortemente l’esposizione massiccia a un agente neurotossico”, ha precisato MSF in un comunicato pubblicato sabato.

Già venerdì, l’ONG Violations Documentation Center in Siria (VDC), che lavora sul posto con una rete di militanti e avvocati, pubblicava un rapporto estremamente preciso sugli attacchi della notte da martedì 20 agosto a mercoledì 21 agosto. Le squadre di VDC basate a Ghouta-est si sono recate in più dell’80% dei punti medicalizzati e hanno potuto raccogliere molto rapidamente testimonianze sul disastro umanitario della Ghouta.

Secondo queste testimonianze, una decina di razzi caricati con agenti tossici si è abbattuta sulle località di Zamalka e Ein Tarma, a Ghouta-est, e sulla località di Mouadamiyé, a Ghouta-ovest. Ma è la totalità di Ghouta che si è ritrovata immersa nell’orrore di questa notte chimica: fin dai primi bombardamenti, le vittime si sono dirette verso tutti i punti medicalizzati della periferia, contribuendo così alla contaminazione di tutta la zona. Una zona già ampiamente sinistrata: bastione dell’insurrezione, Ghouta è assediata e bombardata senza sosta da settimane dalle truppe del regime siriano e le cure sono dispensate in ospedali di fortuna.

Nemmeno i medici, le squadre paramediche , i volontari e i militanti andati sul posto a raccogliere informazioni sono stati risparmiati. “A causa della mancanza di maschere e tute di protezione sufficienti, la maggioranza del personale curante è stato contaminato durante l’evacuazione e l’assistenza sui luoghi toccati dalla sciagura”, riferisce l’ ONG. Nel punto medicalizzato di Khawlaani, i medici hanno dovuto utilizzare come trattamento dell’atropina per animali, fornita da un veterinario, dato che il loro stock di atropina era esaurito da due mesi. Altrove, come a Hamourieh, non c’era semplicemente nessun antidoto da somministrare.

L’ONG conferma anche la natura civile degli obiettivi: a Zamalka, un missile è caduto su via Tawfik, accanto alla moschea, una zona densamente popolata. Benché Ghouta-est e Ghouta-ovest siano i bastioni dell’insurrezione e la base operativa dell’esercito siriano libero (ESL), gli obiettivi raggiunti dai missili erano ben lontani dalla zone di combattimento e dalle posizioni militari dell’ESL. “Non hanno puntato all’ESL, ma a delle posizioni civili”, assicura al-Attar, il capo del consiglio unificato di Damasco e della sua regione (comando militare dell’ESL, raggiunto su Skype sabato 24 agosto), “le nostre posizioni sono a due chilometri di distanza dai luoghi colpiti dai razzi.”

Colpendo la popolazione, il regime cercava di punirla per il suo sostegno all’ESL? Oppure questo bombardamento rispondeva a obiettivi militari tesi a far arretrare l’ESL? Entrambe le cose. “Il regime ha fatto ricorso all’arma chimica per infliggere delle perdite all’ESL”, sostiene l’oppositore Emad Eddin Rachid, legato al comando dell’ESL di Damasco, “procedendo di notte, come l’hanno fatto, contro dei civili, hanno cercato soprattutto di indebolire il fronte dei combattenti obbligando molti di questi ultimi a lasciare le loro posizioni per far fronte alla crisi umanitaria e portare soccorso alle popolazioni civili.”

Secondo il rapporto stilato dalla Coalizione che ha ricostruito la cronologia della notte tra martedì e mercoledì, gli attacchi sono stati condotti dalla Brigata 155 del regime, sotto la responsabilità del generale Tahir Hamid Khalil, direttore dell’agenzia balistica dei missili dell’esercito. Si sono protratti per tutta la notte con una volontà evidente di “soffocare” Ghouta e di non lasciare nessun respiro agli abitanti e ai soccorritori.

I primi missili sono caduti alle 2:31 all’est di Zamalka, poi, 10 minuti più tardi, a Ayn Tarma. Circa due ore dopo, 18 missili hanno colpito nuovamente Ghouta-est e solo alle 5 e 41 Moadamiyeh, a Ghouta-ovest, viene colpita a sua volta. I centri medicalizzati di Daraya, che servono queste località, ricevono infatti le vittime a partire dalle 6 del mattino, sempre secondo i rapporti della Coalizione. I lanci di missili dotati di testate chimiche sono stati accompagnati da bombardamenti convenzionali, razzi e tiri di mortaio, per ostacolare i soccorsi.

 

Un attacco chimico preparato da tempo

“ Con questa strategia di diversione, il regime cercava di riprendere Ghouta”, continua Imad Eddin Rachid. “Ma, l’ESL non è caduto nel tranello e sono stati i servizi formati dall’amministrazione civile delle zone toccate che hanno preso in mano la catastrofe umanitaria”. Tutte le strutture mediche di Ghouta create dagli insorti si sono mobilitate dopo gli attacchi. Un tale scenario era stato ipotizzato da settimane. L’attacco è intervenuto mentre la rete di medici della diaspora e, in particolare, l’UOSSM, stava preparando i medici procurando loro della formazione, i protocolli di trattamento unificato, i medicamenti da somministrare,… “L’attacco di mercoledì ci ha un po’ colto di sorpresa”, afferma Ammar al-Chakr, dell’UOSSM.

Perlomeno, questa organizzazione della società civile ha permesso ai combattenti dell’ESL di continuare a difendere le loro posizioni. Così a Moadamiya, più di 100 combattenti lealisti e chabihas (lumpen reclutati dal regime) sono stati uccise dall’ESL mentre tentavano di rimettere piede nella località. All’indomani dell’attacco, i combattimenti continuavano su via Bagdad, nel centro di Damasco. E venerdì 23 agosto, piazza degli Abassidi, importante piazzaforte lealista, era sotto il fuoco ribelle.

Quest’attacco non è che il riflesso dell’indebolimento del regime: le sue truppe sono stanche e sempre più disorganizzate”, ricorda il capo del Consiglio unificato di Damasco e della sua regione. “Dopo essere entrati a Qaboun (al nord di Ghouta-est), il regime ha cercato di mostrare ai suoi sostenitori che era in grado di riprendere in mano la situazione mentre l’ASL avanzava nuovamente a Qaboun. In realtà, da un anno e mezzo, le linee sono le stesse: le forze di Assad avanzano e poi sono costrette a ritirarsi. Le perdite nei loro ranghi aumentano.”

Non potendo utilizzare le forze terrestri per riprendere il controllo dei territori perduti, il regime utilizza artiglieria e aviazione per schiacciare i focolai della ribellione. Più volte, tra le dodici e le quindici volte secondo l’opposizione, missili caricati con agenti neurotossici sono stati utilizzati per recuperare posizioni occupate dall’ESL. L’attacco chimico di mercoledì si inserisce dunque in questa logica militare e ne sottolinea tutti i limiti: Ghouta assediata e martellata dall’artiglieria rimane una roccaforte dell’insurrezione.

Quest’attacco con le armi chimiche era prevedibile”, analizza un esperto conoscitore del dossier, ”segna il fallimento della strategia di accerchiamento di Ghouta-ovest per sradicare la resistenza in queste zone. La resistenza non si indebolisce ed è riuscita a ripristinare le sue reti di approvvigionamento.”

Di fatto, gli insorti occupano sempre le stesse posizioni a Damasco, contrariamente a quanto vorrebbe far credere la mediatizzazione che sottolinea le vittorie militari del regime e le sconfitte dell’opposizione. La realtà di questa resistenza è stata in effetti occultata dalla battaglia di Homs e dall’entrata in gioco, nel nord del paese, dell’Esercito islamico dell’Iraq e del Levante, dei jijadisti affiliati a al-Qaïda, implicati negli scontri con i Kurdi e i rapimenti di attivisti e giornalisti.

Ebbene, non solo l’ESL non si indebolisce, ma sembra sul punto di estendere le sue posizioni nella capitale. Secondo le nostre informazioni, i combattenti ribelli erano impegnati in una contro-offensiva che gli permetterebbe di difendere Ghouta-est e di progredire nel centro di Damasco, a partire dalla piazza degli Abassidi e della via Bagdad, verso i quartieri del nord, tagliando così la città in due.

L’attacco di mercoledì è intervenuto in un momento in cui i combattenti avanzavano su Faiyat al fine di raggiungere il quartiere di Rouqneddine (nord-ovest)”, precisa Imad Eddin Rachid. “Se ci fossero riusciti, questo avrebbe permesso loro di costituire un nuovo asse, che parte dalla piazza degli Abassidi, fino a nord-ovest a Rouqneddine, e di stabilire un legame con le loro forze che si trovano già sull’asse nord-est a Berzé, Qaboun e Jobar, al limite di Ghouta-est. I ribelli avrebbero così costituito una sacca di resistenza all’interno di Damasco e accerchiato le forze di Assad, all’interno e dalla periferia.

Gli elementi dell’esercito lealista che difendono la periferia-est a partire dalla tangenziale sud e del viale Hafez al-Assad si sarebbero così ritrovati bloccati tra la periferia est e i quartieri interni controllati dai ribelli. I quartieri nord contano anche delle piazzeforti che sarebbero così state a portata di mano delle operazioni dei ribelli. “Prendere il controllo dei quartieri nord della città, significava anche avanzare sull’asse nord, la strada internazionale di Aleppo, tagliando Damasco da tutto il Nord, da Homs e Aleppo”, aggiunge un membro del movimento rivoluzionario.

I ribelli non hanno i mezzi per prendere la piazza degli Abassidi. Questa piazzaforte ha la funzione di lucchetto al centro: gli stabili sono stati occupati dai servizi segreti, lo stadio è stato trasformato in campo militare, senza dimenticare le altre due piazzeforti , a poche centinaia di metri su via Bagdad.

 

Forzare il negoziato di una transizione politica

La notte dell’attacco, gli insorti erano riusciti ad attestarsi a 50 metri dalle forze lealiste, accerchiandole su due terzi della piazza. Il regime non sembra poter contare a Damasco sul sostegno dei contingenti libanesi, gli uomini di Hezbollah. Presenti ai margini della piazza degli Abassidi, ma soprattutto a sud della periferia est, a Qazzaz, Dwela, Jaramanah e soprattutto a Saydda Zeinab –il santuario sciita di Damasco-, i combattenti della formazione sciita hanno registrato perdite importanti nella notte di mercoledì. I combattenti dell’ESL si sarebbero anche impadroniti dell’ospedale Khomeïni di Saydda Zeinab, domenica 25 agosto. La formazione sciita non può più permettersi di lasciare il fronte di Qousseir e di Homs, ripreso difficilmente ai ribelli in giugno e che costituisce un asse vitale per il regime e per Hezbollah.

La progressione dell’insurrezione a Damasco è dovuta alla migliore organizzazione dei ribelli. La controffensiva della ribellione, fermata con l’attacco chimico, sarebbe stata preparata da quaranta giorni. Ha mobilitato tutte le brigate della capitale. I combattimenti nel perimetro di Sayda Zeinab sono stati condotti dalla Brigata Jobar e da rifugiati del Golan, invece la progressione sull’asse nord era costituita dai commandos dell’ESL. Alla differenza del nord, il coordinamento a Damasco è più avanzato e sono delle fazioni islamo-nazionaliste che sono all’avanguardia dei combattimenti, come la Brigata Liwa al-Islam. Il Fronte al-Nusra qui è marginale.

C’è un netto miglioramento delle capacità operative dell’ESL da sei mesi a questa parte a causa dell’implicazione di ufficiali dissidenti che hanno preso la direzione delle operazioni delle brigate”, afferma Imad Eddin Rachid. “L’ESL può anche contare su una squadra di ingegneri per preparare le operazioni, e dispone di un servizio segreto dato che l’esercito di Assad è sempre più infiltrato.” L’ESL dispone infatti di complicità in seno all’esercito presso gli ufficiali sunniti dissidenti restati al loro posto, quando addirittura non riesce semplicemente a comperare le informazioni da ufficiali corrotti. È a partire da queste informazioni che la Coalizione ha potuto ricostruire la cronologia dell’attacco. Secondo queste fonti, il convoglio di missili destinato all’attacco di mercoledì è stato portato nel sito militare di Al-Qutayfah, a nord-est di Damasco, il 10 agosto, vale a dire 10 giorni prima dell’attacco.

L’8 agosto, il presidente Assad sarebbe sfuggito a un tentativo di attentato mentre si recava alla moschea Ibn al-Malek per la preghiera dell’Aïd , la festa del Ramadan: uno dei convogli è stato attaccato dalla brigata Liwa Tahrir al-Azmé, che agisce sotto il comando di Liwa al-Islam, la principale forza di combattimento dell’ESL della capitale.

È per rassicurare le sue truppe che il presidente si è recato qualche giorno più tardi nei pressi della periferia di Daraya, senza penetrarvi. Contrariamente alle sue dichiarazioni trionfaliste, il regime non riesce a riprendere questa località della periferia ovest di Damasco, che è pertanto accerchiata e bombardata da un anno e che è molto vicina a delle zone militari strategiche – i servizi di intelligence dell’aeronautica militare e l’aeroporto militare. I militanti di Daraya smontano la propaganda sulla visita del Presidente Assad in questo quartiere periferico, sempre controllato dall’insurrezione.

In queste condizioni, la Ghouta di Damasco, che ha una lunga storia di resistenza – fu già la base dell’insurrezione nazionalista contro l’occupazione francese ai tempi del mandato – costituisce una sfida importante per il regime di Assad. È una porta di entrata per un’offensiva generale sulla capitale che sarebbe appoggiata dal fronte sud, nella provincia di Déraa, alla frontiera con la Giordania.

I militari siriani formati in Giordania sotto la supervisione saudita e americana non hanno avuto nessun ruolo nei combattimenti e nelle ultime operazioni nella capitale, “Si tratta di annunci senza fondamento destinati alla stampa”, afferma al-Attar del Consiglio rivoluzionario unificato, che, come le altre fonti, contesta l’impegno di queste forze sul campo. Per questi combattenti come per quelli di Damasco, questo lavoro militare resta tributario delle fonti di approvvigionamento di armi. Ebbene, non è sicuro che il massacro di Ghouta spinga gli occidentali e i paesi del Golfo ad armare di più i movimenti dell’insurrezione. I paesi amici della Siria restano di fatto concentrati su una soluzione politica.

Gli eventuali attacchi militari che preparerebbero diversi paesi occidentali spingerebbero a forzare un negoziato per una transizione politica. “Gli attacchi non sono studiati per far cadere il regime di Bachar al-Assad, ma per andare a Ginevra II, e alla soluzione politica confezionata dalle grandi potenze”, ci confida un oppositore della coalizione siriana.

 

* articolo apparso su Mediapart lo scorso 27 agosto. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà del Cantone Ticino.