Eppure, nel corso dell’assemblea delle organizzazioni sindacali tenutasi in giugno sembrava che le idee fossero chiare. La risoluzione allora approvata rifiutava apertamente la logica dei tagli e la politica di austerità. E prometteva una mobilitazione qualora l’orientamento del governo andasse chiaramente in quella direzione. Anche per questa ragione, visto l’incontro con il governo previsto a fine agosto, si era deciso di già convocare un’assemblea per il 4 settembre.
Un governo determinato…
Non ci sono dubbi che il Governo abbia chiaramente imboccato la strada dell’austerità. A cominciare dal terreno delle prestazioni ai cittadini (basti pensare alle misure ventilate in materia di sussidi alle casse malati); ma anche in materia di personale, con l’idea di conseguire ancora 12 milioni di risparmi con una serie di misure che vanno a colpire, ancora una volta viene da dire se l’espressione non fosse ormai abusata e non impedisse di rendere veramente conto della continuità profonda di questo attacco, il personale cantonale.
Le proposte sul tappeto poi sono tra le più squallide che si potesse immaginare: pensiamo in particolare alla soppressione dell’indennità di economia domestica e al blocco degli scatti salariali; ma anche la ventilata proposta di diminuire di due ore l’orario di lavoro compensandone solo una ci pare qualcosa di estremamente vizioso Il risultato di simili proposte (che, come quella sull’orario di lavoro, trovano addirittura anche qualche sponda nel mondo sindacale) sarebbe disastroso: lungi dal favorire qualsiasi aiuto all’occupazione, il tutto si risolverebbe in un aumento dei ritmi di lavoro e in una nuova ulteriore diminuzione del salario.
…delle organizzazioni sindacali che temporeggiano
L’assemblea del 4 settembre non avrebbe dovuto far altro che prendere atto della volontà del governo di colpire di nuovo e pesantemente i dipendenti del cantone (ricordiamo le misure già intraprese lo scorso anno con la riforma della cassa pensione e con la decurtazione dei salari) e, da subito, decidere un piano di lotta per i prossimi mesi.
Invece l’assemblea ha certo ribadito la opposizione ai tagli e ad una politica che vada in questa direzione; ma la cosa è apparsa più un espediente tattico, una sorta di atteggiamento rituale dovuto, che una vera volontà di mettere in atto una politica sindacale che riuscisse a sconfiggere l’orientamento governativo.
Il risultato è stato dunque un nuovo rinvio alle prossime discussioni e la convocazione di una nuova assemblea per il primo ottobre che faccia il punto sulla situazione.
Gli scioperi non si improvvisano
È evidente che se si vuole riuscire a modificare l’atteggiamento di governo e Parlamento è più che mai necessario, soprattutto in un contesto come quello attuale, costruire un forte movimento di lotta.
Lo sciopero dello scorso 5 dicembre ha mostrato una buona disponibilità alla lotta tra gli insegnanti (che hanno costituito di fatto il nucleo fondamentale degli scioperanti) e un forte ritardo tra gli impiegati (180 partecipanti in tutto vorranno sicuramente dire qualcosa!).
È da questa situazione che si sarebbe dovuto partire per avviare un lavoro sindacale che valorizzasse la mobilitazione e i risultati ottenuti grazie ad essa (è sicuramente sotto la pressione della mobilitazione che governo e parlamento hanno, per finire, diminuito fortemente la decurtazione salariale prospettata all’inizio).
La VPOD, che aveva coraggiosamente convocato lo sciopero, nei mesi successivi ha di fatto rinunciato a questo lavoro, necessario per poter andare avanti. Ha preferito impegnarsi anima e corpo sulla via di iniziative istituzionali (iniziative popolari, referendum) che hanno occupato tutte le sue risorse organizzative e l’hanno distolta dal lavoro sindacale fondamentale sul terreno.
Ora, in un certo senso, si ricomincia da capo. Vi è, almeno allo stato attuale, qualche piccolo vantaggio rispetto allo scorso anno: pensiamo in particolare al fatto che le organizzazioni sindacali siano oggi, almeno a parole, unite nell’idea di contrastare la politica del governo.
Ma gli aspetti negativi sono molti di più. Non solo legati al fatto che non è stato fatto quel lavoro di valorizzazione dello sciopero del 5 dicembre al quale abbiamo accennato; ma soprattutto alla prevalenza di una logica di pressione.
In altre parole la lotta viene relegata al momento in cui la «trattativa» appare esaurita anche per la mancata disponibilità della controparte.
Una logica questa, assolutamente perdente. Le intenzioni del governo sono chiare e l’organizzazione di una mobilitazione di lunga durata contro questa politica deve già ora essere al centro della preoccupazioni, quotidiane oseremmo dire, di chi dice di volersi opporre.
Senza questa consapevolezza il risultato rischia di essere in ogni caso negativo. Infatti da un lato potrebbe prevalere la logica di trovare ad ogni costo un accordo «il meno peggio possibile»; dall’altro ci si troverebbe confrontati con una mobilitazione limitata che non riuscirebbe a scalfire la posizione di governo e Parlamento.