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Siria-Assad-problema-e-terrorismo h partbPubblichiamo qui di seguito l’editoriale dell’ultimo numero di Solidarietà (nro 14 – 2013 del 12 settembre 2013).

Mentre l’ ONU dimostra ancora una volta la propria incapacità, gli Stati Uniti (ed i loro alleati – come la Francia) hanno deciso di intervenire nella crisi siriana che hanno contribuito ad aggravare finanziando ciascuna i “propri” ribelli.

 Le «aperture» dell’ultima ora su un possibile negoziato non hanno comunque ancora fatto desistere gli Stati Uniti dalla loro prospettiva di un intervento armato, nelle forme che hanno anticipato, cioè del lancio di missili che distruggano le postazioni a partire dalle quale l’esercito siriano lancia armi chimiche e bombarda incessantemente la popolazione.

L’intervento naturalmente non ha certo la funzione di sostenere i diritti democratici del popolo siriano (USA e Francia non fanno altro che ribadire di non volere assolutamente un cambiamento di regime in Siria), ma di garantire gli specifici interessi economici e geopolitici dei paesi capitalistici occidentali. Con la consueta ipocrisia hanno ignorato tre anni di stragi che hanno provocato più di 100.000 morti e milioni di profughi, per poi fissare unilateralmente una “linea rossa” per giustificare l’intervento diretto, presentato come “umanitario”.

Quale ipocrisia nel considerare inaccettabile l’uso di armi chimiche e «accettabile» il bombardamento sistematico, da parte dell’aviazione e dell’artigleria di Assad, di città, quartieri, case di popolazioni inermi.

Da anni infatti il regime dittatoriale di Assad ha condotto una vera e propria guerra contro il suo popolo per mantenersi al potere, ricorrendo alle più feroci repressioni e a veri e propri stermini di massa per impedire che il movimento di contestazione lo rovesciasse. L’uso massiccio di armi chimiche (ormai non più contestabile alla luce delle numerose conferme) non è che la dimostrazione della reazione folle di un regime ormai in netta difficoltà.

I disaccordi su tempi e modi per l’aggressione sono legati soprattutto a motivi di equilibri interni a ciascun paese imperialista, ma anche a incertezze sull’esito. I bombardamenti “mirati” difficilmente distruggerebbero le forze specializzate nella repressione e darebbero anzi loro una motivazione “patriottica”, mentre colpirebbero sicuramente una popolazione già provata da tre anni di guerra civile, e potrebbero avere anche ripercussioni incontrollabili in vari paesi limitrofi, a partire dal Libano.

In ogni caso va ribadito che Stati Uniti e paesi europei, divisi ma egualmente poco credibili, non hanno nessun diritto a intervenire in Siria, soprattutto dopo aver ignorato le stragi precedenti che hanno soffocato una rivolta popolare spontanea e trasformato la Siria in un campo di battaglia.

D’altra parte i paesi occidentali hanno ignorato gli eccidi compiuti in Egitto dai militari golpisti o dagli eserciti sauditi nel Bahrein, ecc., e hanno continuato a produrre e vendere armi a tutte le parti in causa.

Ma occorre essere chiari anche su un altro punto: la condanna dell’aggressione e dei paesi che la preparano non può in nessun caso essere una motivazione, come succede per molti, per una «riabilitazione» di Bashar al Assad, ultimo rampollo di una dinastia che ha compiuto nel corso della sua storia innumerevoli crimini e che ha spesso collaborato con l’imperialismo, né per voltare le spalle alle legittime e fondamentali aspirazioni democratiche del popolo siriano di cacciare una dittatura assassina.

Bisogna quindi continuare con nuova energia l’attività di sostegno (politico e materiale) alla lotta del popolo siriano contro la terribile e sanguinaria di dittatura di Assad, condannando al contempo interventi militari come quelli preannunciati dai governi occidentali. Solo la lotta e la resistenza del popolo siriano, che deve essere sostenuto con tutti i mezzi, potrà sfociare nell’affermazione delle sue legittime rivendicazioni democratiche e sociali.

Anche per questo non abbiamo partecipato ai presidi degli scorsi giorni poiché in realtà si tratta di presidio a sostegno del regime di Assad, un regime responsabile, con la sua politica di repressione, degli oltre 100’000 morti che può finora contare il conflitto siriano.

Chiunque si definisca oggi socialista non può non esprimere una netta condanna verso un regime che per cinismo, ferocia e follia non conosce eguali. Nessun regime dittatoriale, nella pur drammatica storia del ‘900, ha mostrato tanta ferocia repressiva verso il proprio popolo quanta ne sta dimostrando Assad.

Nella nostra azione di sostegno al popolo siriano esprimiamo certo un’opposizione all’intervento militare esterno in Siria: ma esprimiamo allo stesso tempo una chiara e netta condanna del regime di Assad e il nostro sostegno a quelle forze della resistenza popolare che si battono per le loro rivendicazioni democratiche e sociali sulle quali fondare una nuova Siria.