Come di consueto l’Ufficio federale di statistica (UST) ha pubblicato i dati relativi alla evoluzione dei salari. Un’analisi dell’l’evoluzione dei salari nel 2012, che quest’anno è stata integrata da un’analisi dell’evoluzione dei salari negli ultimi decenni.
Indice dei prezzi o indice del costo della vita?
Soprattutto in questi ultimi anni di “crescita negativa dei prezzi”, la questione della mancanza di un indice del costo della vita che permetta seriamente di misurarne l’evoluzione, partendo dai bisogni e dalle esigenze delle famiglie dei salariati (cioè della stragrande maggioranza della popolazione) si fa sentire in modo drammatico. Da sempre siamo costretti a subire un indice dei prezzi al consumo che, come dice la parola stessa, misura l’evoluzione di alcuni prezzi e non misura assolutamente l’evoluzione del costo della vita. Alla base di questa discrepanza vi sono parecchi aspetti. Quello che pesa in modo importante è l’assenza, nel paniere di riferimento, di una serie di voci (da quelle assicurative alle imposte) che comunque pesano sui bilanci delle famiglie. Ma, non meno importante, è la ponderazione che questi gruppi di spese hanno nel calcolo complessivo della evoluzione dei prezzi. Pensiamo, ad esempio, all’insufficiente ponderazione della voce per gli affitti, che sui salari minori pesano sicuramente più di quel 20% che viene preso in considerazione nell’ambito dell’indice complessivo dei prezzi al consumo. In altri termini: una famiglia che può contare su un reddito netto di 4’500 franchi mensili e paga 1’500 franchi di affitto al mese vedrà tale affitto incidere per almeno il 33% sul suo reddito complessivo. E si tratta sicuramente di una situazione assai ricorrente nel nostro cantone. Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per altri gruppi di spesa che hanno una certa rilevanza (sempre maggiore d’altronde) nell’indice complessivo e che ne influenzano l’evoluzione. Pensiamo qui a tutto il settore dell’elettronica, che in questi anni ha conosciuto un’importante discesa dei prezzi. Tuttavia si tratta di un settore nel quale la caduta dei prezzi non si ripercuote direttamente sui salariati: non si compra un computer tutti i giorni, né un apparecchio fotografico, contrariamente a quanto invece si deve fare quotidianamente (o settimanalmente) con le esigenze alimentari. Il risultato di questo stato di cose è che nel 2012, i salari reali avrebbero subito – secondo la statistica ufficiale – una bella impennata: addirittura dell’1,5%, di gran lunga superiore a quella degli ultimi due anni (0,1% nel 2010 e 0,2% nel 2011). Questo risultato è dato non tanto dalla progressione dei salari nominali (che hanno segnato un aumento dello 0,8%), ma soprattutto dalla diminuzione dei prezzi al consumo il cui indice nazionale ha fatto segnare un -0,7%. Si tratta di una situazione paradossale, che non viene sicuramente né vissuta né percepita come tale dai salariati; un risultato frutto di un modo di rilevazione dell’evoluzione del costo della vita assolutamente inadatto e che penalizza i salariati soprattutto nei periodi di crisi contrassegnati da parziali fenomeni deflattivi che, tuttavia, non rendono meno caro il costo della vita. Anche perché a subire queste politiche deflattive sono soprattutto gli stessi salari.
Avete detto ripartizione della ricchezza?
I dati relativi all’evoluzione dei salari nominali e reali negli ultimi decenni sono estremamente interessanti e confermano, qualora ve ne fosse ancora bisogno, quanto la ripartizione della ricchezza in questo paese sia una vera e propria chimera. Gli stessi dati mostrano poi come, in un paese che deve la sua fortuna alla produttività ed alla laboriosità dei propri abitanti, questi ultimi, nella loro veste di salariati, si vedano attribuire una parte sempre minora della ricchezza prodotta, vere e proprie briciole. Per una breve e sommario conferma di questa affermazione abbiamo proceduto ad una verifica della evoluzione dei salari nominali e di quelli reali negli ultimi vent’anni a livello nazionale (l’analisi potrebbe essere approfondita ed allargata: siamo sicuri che metterebbe in mostra come il “miracolo” svizzero poggi sostanzialmente sulla espropriazione dei lavoratori della parte più cospicua della ricchezza prodotta attraverso il loro lavoro). Si può così constatare che i salari nominali sono progrediti, nel corso degli ultimi vent’anni, del 30% circa. Per contro, i salari reali (quelli che determinano poi il poter d’acquisto) sono aumentati, sempre in questi ultimi vent’anni, di circa il 9%. Tutto questo in un periodo nel quale il PIL reale (cioè lo strumento che misura, con tutti i limiti, l’evoluzione di produzione di ricchezza nel paese) è aumentato di quasi il 40%. Si tratta, naturalmente, dei salari. Un’analisi dei redditi e della loro evoluzione e distribuzione darebbe, ne siamo sicuri, risultati ancora più sconfortanti (d’altronde qualche studio in questa direzione lo conferma). Nel momento in cui in questo paese si discute di salari (anche attraverso alcune non proprio felici iniziative) varrebbe la pena tenere conto di tutto questo: e chiedersi se le proposte avanzate permettano di modificare fondamentalmente queste tendenze.