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testata il lavoro tIl sindacato cristiano sociale ticinese (OCST) è tornato alla carica sulla questione della libera circolazione, rivolgendosi direttamente al SECO (segretariato di stato all’economia).

In un documento inviato qualche giorno fa, l’OCST chiede al SECO di varare un certo numero di misure per combattere il dumping salariale e sociale. Punto di partenza la consultazione attorno all’estensione alla Croazia dell’Accordo sulla liberale circolazione,”un’occasione inderogabile per un esame rigoroso delle misure di accompagnamento e per un loro potenziamento”.

 

Il punto di vista sindacale…ovvero abbiamo sbagliato tutto!

Nella lettera che accompagna il documento, il segretario cantonale Robbiani sintetizza in questo modo le proposte contenute nel documento:
“Più in dettaglio l’OCST formula all’indirizzo della SECO e del gruppo di lavoro appositamente costituito un catalogo di proposte che chiedono in particolare:
– l’agevolazione del conferimento del carattere obbligatorio ai contratti collettivi di lavoro;
– l’estensione delle possibilità di adottare contratti normali di lavoro con salari vincolanti laddove non è possibile introdurre un contratto collettivi;
– la possibilità per i Cantoni di vietare la corresponsione dei salari in moneta estera;
– una maggiore vigilanza sulle autorizzazioni per lavoratori interinali;
– l’inasprimento del controllo e delle sanzioni.
Per le regioni più esposte alle ricadute della libera circolazione si postula segnatamente:
– misure in favore dei disoccupati e dei giovani in entrata nel mercato del lavoro;
– l’aumento del numero di ispettori cofinanziati dalla Confederazione;
– provvedimenti aggiuntivi per regolare il lavoro distaccato.”
Le proposte sindacali sono legate, come si può intuire dalle stesse, a quelli che vengono definiti come “gli aspetti frenanti” delle misure di accompagnamento. A cominciare dal fatto che tali misure di accompagnamento sono prima di tutto misure ex-post, cioè provvedimenti che intervengono a correggere una situazione di dumping acclarato. L’OCST vorrebbe che venisse concessa la “possibilità di intervenire anche a titolo preventivo, laddove la situazione lascia intravvedere un tangibile pericolo di peggioramento delle condizioni retributive e lavorative”. L’OCST vorrebbe poi che venissero risolti altri due aspetti: quello relativo alle misure occupazionali e quello relativo alla situazione speciale nella quale si trovano alcune regioni, in particolare quelle di frontiera come il Ticino.
Ora no vi sono dubbi che questi orientamenti generali possano anche essere condivisi. Ma la loro presentazione equivale, né più né meno, ad un riconoscimento di una disfatta dal punto di vista sindacale rispetto all’orientamento difeso in questi anni: cioè un’adesione agli accordi bilaterali fondata sull’idea che le misure di accompagnamento, così come erano state concepite, avrebbero difeso i lavoratori dal dumping salariale e sociale.
Una disfatta poiché tutto il sistema delle misure di accompagnamento è proprio costruito sul quel meccanismo ex-post che ora l’OCST scopre (e non la sola né la prima) essere un elemento frenante; ma che all’epoca non ha minimamente contestato. Il meccanismo delle misure di accompagnamento è proprio fondato sulla constatazione del dumping; una volta constatata la situazione essa dovrebbe essere risanata attraverso le misure di accompagnamento. Si tratta di un meccanismo,(e questo è stato evidente fin dall’inizio a coloro che, come noi, denunciavano l’inadeguatezza delle misure di accompagnamento) che in realtà vuole conservare il dumping salariale e, al massimo, temperarne gli effetti attraverso le misure di accompagnamento.
Questo perché gli accordi bilaterali e i conseguenti meccanismi di liberalizzazione del mercato del lavoro sono stati pensati proprio con l’obiettivo di aumentare la concorrenza sul mercato del lavoro e quindi di spingere verso il basso i salari.
Oggi quindi l’OCST, chiedendo di ritornare ad una situazione di intervento preventivo per combattere il dumping (proposta in sé dotata di buon senso come abbiamo detto), chiede di fatto l’abolizione del meccanismo alla base stessa di tutta l’impalcatura delle misure di accompagnamento. Si tratta di un orientamenteo che non solo rappresenta un mutamento fondamentale rispetto alla linea fin qui seguita (il che è sicuramente positivo); ma che interviene in un contesto ormai radicalmente mutato e nel quale le pratiche fondate su queste inefficaci misure di accompagnamento si sono affermate. Ci sembra difficile poter tornare indietro…

 

Proposte concrete… poco concrete

Dove poi questa impasse si manifesta ancora di più è laddove si passa dagli orientamenti di tipo generale alle proposte concrete. Vorremmo mostrarlo analizzando le proposte “concrete” che essa avanza in materia contrattuale.
Val la pena ricordare, prima di entrare nel merito, che il sistema contrattuale è il “cuore” delle misure di accompagnamento. In particolare, alcune delle misure di accompagnamento avrebbero dovuto facilitare la stipulazione e la estensione di contratti collettivi di lavoro (CCL) in grado di evitare il dumping salariale.
Ora le proposte OCST in materia di CCL ruotano proprio attorno a questo tema. Per prima cosa si chiede di “di ridurre i quorum fissati dalla legge per il conferimento del carattere obbligatorio ai contratti collettivi di lavoro, abbassandoli dall’attuale 50 al 40% sia per le ditte, sia per i lavoratori” e di “introdurre nella Legge sulla partecipazione una norma che codifichi il diritto dei dipendenti di un’azienda di chiedere condizioni di lavoro rette da un contratto collettivo di lavoro”.
La prima richiesta è, ancora una volta, l’ammissione di sconfitta. Infatti la norma che abbassa in quorum per la decretazione di obbligatorietà generale di un CCL era stata presentata con enfasi come la via “regina” ad una “facilitata” diffusione dei CCL. Il tutto si è risolto, e sono passati ormai una decina d’anni, nel nulla più assoluto. Nessun CCL è stato decretato di obbligatorietà generale grazie all’abbassamento dei quorum. Ora l’OCST, prigioniera ancora di questi meccanismi, chiede di facilitare ulteriormente le cose, abbassando nuovamente i quorum. Una proposta che non avrà nessun seguito concreto, nemmeno se dovesse essere accettata (e potrebbe anche esserlo visto che per i padroni non comporta alcuna concessione…).
Ancora più evanescente l’altra proposta, cioè quella tesa a codificare il diritto dei lavoratori di una ditta a “chiedere” condizioni di lavoro rette da un CCL. In realtà il diritto a “chiedere” esiste già, basta volerlo ed avere la possibilità di imporlo. La proposta dell’OCST è d’altronde un poco contraddittoria, poiché da un lato evoca il diritto a “chiedere”, ma poi, qualora non si raggiungesse un accordo in ambito negoziale, vi sarebbe un obbligo di arbitrato. Ma se non vi è l’obbligo di entrare in trattativa (cioè se non vi è l’obbligo del datore di lavoro di rispondere positivamente alla richiesta dei lavoratori) allora il tutto sarà perfettamente inutile.
Queste proposte vengono poi riprese, con un ulteriore abbassamento del quorum, per le regioni particoli (ad esempio, si dice, laddove il numero dei frontalieri superi il 20% di tutta la manodopera). Qui, come ad esempio in Ticino, seconda l’OCST dovrebbe essere possibile abbassare ulteriormente la soglia che permetterebbe di conferire l’obbligatorietà generale ad un contratto; addirittura, se considerata una misura di accompagnamento, ci si potrebbe limitare ad una soglia del 40% per i soli lavoratori, senza tenere conto della componente padronale.
Proposte, lo ripetiamo, sensate. Ma che, nell’attuale contesto, appaiono non solo poco realistiche; ma anche un patetico tentativo di salvare un’opzione (quella della centralità dei CCL) che mostra ogni giorno che passa la propria inadeguatezza per combattere il dumping salariale e sociale.