Una minoranza degli aventi diritto di voto ha partecipato nei giorni scorsi al primo turno delle elezioni presidenziali e legislative cilene. Oltre a questo dato, l’altro elemento emerso dalla consultazione è il deludente risultato della candidata Bachelet, sicura di poter vincere al primo turno. Andrà al secondo. La sua elezione, sostenuta da tutto il centro sinistra, non cambierà fondamentalmente nulla per i salariati cileni.
La costruzione di un’alternativa democratica e socialista in Cile è lunga e passa sicuramente per altre vie. Ce ne parla, in questa intervista realizzata prima delle elezioni, lo storico e professore dell’Università del Cile, Sergio Grez Toso.
In questa intervista (apparsa pochi giorni prima delle elezioni) realizzata da Ruben Andino Maldonado per ia Rivista Punto final, Grez pronostica una forte astensione dei cittadini e delle cittadine iscritti nel registro elettorale in occasione delle elezioni del 17 novembre 2013. Questo perché i cittadini sanno che queste elezioni non rappresentano una scadenza decisiva. Le due principali opzioni presidenziali – la candidatura della socialdemocratica Michelle Bachelet e quella di Evelyn Matthei, che è stata ministro del Lavoro e della sicurezza sociale sotto la presidenza di Sebastian Piňera e si presenta a nome dell’Unione democratica indipendente – rappresentano configurazioni leggermente diverse dello stesso modello economico e politico. Secondo Sergio Grez: “Questa realtà si rifletterà in un forte tasso di astensione che sarà molto superiore alle ultime presidenziali, a conferma di una tendenza crescente e in atto ormai da anni”. Tra i temi che Grez illustra vi è quello, che incontra sempre più eco, dello sciopero elettorale costituente, diversi settori della sinistra invitavano in occasione di questo tornata elettorale. Non sorprende, vista la serietà del personaggio, che le previsioni di Gretz sulle elezioni si siano puntualmente avverate. (Redazione Solidarietà.)
In che settore il tema dello “Sciopero elettorale costituente” è accolto meglio?
Esso è preso a carico da gruppi molto diversi, fondamentalmente negli stessi settori sociali e generazionali che, prima dell’instaurazione del voto volontario e dell’iscrizione automatica, si rifugiavano nell’astensione o nel voto nullo. Prima erano sanzionati. Oggi hanno la possibilità di non votare, esprimendo il loro rifiuto tramite un’astensione attiva. Lo “sciopero elettorale costituente” – una riedizione della parola d’ordine “non voglio servire questo voto” dell’Assemblea del coordinamento degli studenti secondari (ACES) e di altre iniziative simili – si fonda sulla constatazione che non è possibile superare l’attuale sistema partecipando alle elezioni e che, in definitiva, votare significa legittimarlo senza reali possibilità, lo ripeto, di cambiarlo. Abbiamo a che fare con un quarto di secolo di esperienze elettorali alternative senza alcun risultato tangibile in questo senso.
Tuttavia oggi, ci sono candidati e candidate presidenziali per tutti i gusti.
È probabile che l’offerta variata farà vacillare qualche astensionista. Comunque, credo che questo non cambierà l’elemento fondamentale. Il corpo elettorale è formato da 13,5 milioni di persone, il che significa, depurando il dato, che si raggiungono circa i 12 milioni d’iscritti. È probabile che meno del 60% andrà a votare.
Oltre ad un rigetto suscitato dai candidati difensori dell’attuale modello, constatiamo il triste spettacolo che hanno offerto le altre candidature cosiddette alternative. Se si confrontano i programmi di Roxana Miranda [candidata del Partito dell’uguaglianza], Marcel Claude [candidato del Partito umanista] o Alfredo Sfeir [candidato del Partito ecologista verde], ci si rende conto che sono quasi ricalcati uno sull’altro. Il solo elemento che spiega questa dispersione risiede nei personalismi e negli interessi di bottega. Molti elettori vogliono anche punirli per la loro mancanza di “generosità”.
Per questa via, come si potrebbe arrivare a una Costituente?
L’Assemblea costituente non è sostenibile nell’attuale quadro costituzionale. Quando si chiede a Michelle Bachelet se darà impulso a una Costituente, lei risponde in modo evasivo di essere favorevole ad un cambiamento nell’ambito dell’attuale quadro istituzionale. Ciò che dice in realtà significa un “no” all’Assemblea costituente. Lo stesso vale per i candidati della sinistra i quali sostengono che attraverso un semplice atto di volontà presidenziale si può convocare un’Assemblea costituente. Ingannano gli altri e sé stessi: perché rivendicare un’Assemblea costituente implica il superamento del quadro istituzionale attuale attraverso una rottura democratica. Per arrivare a questa rottura è necessario sviluppare un potere costituente civico e popolare che oggi non esiste.
Per arrivare a un’Assemblea costituente libera e sovrana, si deve rafforzare la forza costituente dalle organizzazioni sociali al fine di aprire la via a una rottura democratica, intesa come superamento del quadro istituzionale attuale attraverso la combinazione della pressione dei movimenti sociali attorno alle loro richieste e all’esigenza di una Costituzione, unitamente ad una delegittimazione crescente del sistema politico attraverso lo sciopero elettorale.
Compito per niente facile, se si considera la debolezza delle organizzazioni popolari e cittadine.
Il modello neoliberale tende a distruggere il tessuto sociale e a trasformare i cittadini in consumatori. Ma questa situazione tende a cambiare da qualche tempo. Oggi, abbiamo movimenti sociali emergenti che vanno oltre il movimento studentesco. I più importanti, dal 2011, sono state le proteste regionali o locali di Magallanes, Aysén, Calama, Arica, Dichato, Freirina e Tocopilla. Il movimento Mapuche, dal canto suo, ha mantenuto una forte attività dalla fine del decennio 1990. Sono inoltre entrati in un’attività rivendicativa i pescatori artigianali contro la privatizzazione del mare, gli ecologisti contro il mega progetto HidroAisén, le centrali termoelettriche e in difesa dell’acqua. Inoltre, i salariati/e del settore pubblico, i lavoratori delle grandi miniere private e statali, del cuoio e i portuali hanno sviluppato scioperi e mobilitazioni significativi. Vorrei evidenziare lo sciopero dei portuali del mese di aprile di quest’anno. Esso segna una rottura con l’individualismo interiorizzato che ha caratterizzato questo modello di dominazione. Questo sciopero nazionale si è realizzato principalmente in solidarietà con i portuali di Mejillones, riprendendo così elementi di azione solidale che caratterizzavano il movimento operaio fino al 1973.
Sebbene ci siano ampi settori che sono ancora marcati dall’apatia, dall’immobilismo, dall’individualismo e dalla mancanza di coscienza solidale, è lo stesso modello dominante a spingere settori sempre più consistenti ad attivarsi partendo dalla constatazione che i loro interessi oggettivi sono in contraddizione con un modello fondato su promesse che non vengono mantenute.
Questo modello neoliberale è sostenibile a lungo termine?
È il capitalismo che non è sostenibile a lungo termine. Non solo a causa dello sfruttamento intollerabile della manodopera in paesi come il nostro, ma anche per via del saccheggio delle risorse naturali e degli attentati contro la natura e gli equilibri ecologici. Nel caso del Cile, il carattere produttivista ed “estrattivista” [miniere, legname, ecc.] del modello non prende in considerazione altro che il profitto, i guadagni facili e la speculazione finanziaria.
L’umanità è confrontata con la possibilità di disastri giganteschi che si delineano già attraverso il cambiamento climatico. La situazione è molto più drammatica rispetto al passato, perché è in gioco la sopravvivenza dell’insieme della specie in un futuro non troppo lontano.
Quale alternativa?
Avanzare verso un modello diverso dal capitalismo, perché il neoliberalismo non è nient’altro che una delle forme che ha adottato il capitalismo in un momento determinato della sua evoluzione. La base di questo modello alternativo è costituita da una cittadinanza che disponga di un potere reale, prima di tutto quello dei cittadini e delle cittadine dei settori popolari, non solo in Cile, ma nel mondo. Ci sono innumerevoli settori che sono colpiti dal sistema attuale e che acquisiscono la coscienza della gravità dei problemi, sia perché sono vittime dello sfruttamento nelle sue forme classiche, sia perché il loro stile di vita è seriamente degradato. Penso, ad esempio, ai popoli indigeni e ad altre comunità tradizionali che sono state colpite dall’uragano capitalista che porta un modo di produzione e uno stile di vita che entrano in contraddizione con i loro interessi fondamentali.
C’è una base sociale nel mondo sufficientemente ampia per edificare modelli alternativi e si dovrà fare appello a tutte le scuole di pensiero e le opinioni critiche verso il capitalismo per riunire gli elementi che ci serviranno a sviluppare un progetto alternativo di società.
Quale sarà il fondamento economico di un modello che avrebbe queste caratteristiche?
È assolutamente necessario riorientare le forze produttive in una direzione diversa dal produttivismo a oltranza, un modello che non abbia come bussola il profitto, né la riproduzione allargata del capitale, bensì la soddisfazione dei bisogni fondamentali degli esseri umani in una prospettiva egualitaria. Scartando la produzione per il lusso, per il consumo ostentato e altri bisogni non essenziali.
Ci sono molte persone che riflettono su questi temi. Le sinistre che si riconoscono nel marxismo pensavano che la chiave per il socialismo risiedesse nello sviluppo senza limiti delle forze produttive. Oggi, c’è molta più coscienza del fatto che questa prospettiva è un boomerang che si ritorce contro gli esseri umani, perché la natura comporta un limite al suo sfruttamento e alla sua alterazione.
Quali sarebbero le basi di una Costituzione democratica?
Oltre ai diritti politici, per mettere in atto una democrazia autentica, la Costituzione deve garantire i diritti sociali come l’istruzione, la salute, la sicurezza sociale, la cultura, i diritti riguardanti il lavoro e l’ambiente. Una Costituzione come quella attuale non può esistere, perché il suo leitmotiv è la difesa del modello neoliberale, riducendo lo Stato a un ruolo essenzialmente sussidiario. La nuova “istituzionalità” deve garantire che la sovranità popolare sia posta sopra tutto. Non ci devono essere poteri autonomi, come una Corte costituzionale, che si pongano al di sopra della sovranità popolare. La Costituzione deve stabilire che tutti i corpi rappresentativi dello Stato siano eletti a suffragio universale e proporzionale e introdurre meccanismi di partecipazione diretta nel sistema rappresentativo come l’iniziativa popolare e il referendum, che esistono in alcuni paesi come la Svizzera.
Come dev’essere trattata la questione mapuche in una nuova Costituzione?
Si deve rompere con la finzione politica, storiografica e ideologica secondo cui il Cile è una nazione “unica e indivisibile”. Nel paese vivono insieme popoli diversi e si deve cominciare dal riconoscimento della pluralità nazionale, etnica e culturale che coesiste all’interno dei limiti della Repubblica. Una Costituzione effettivamente democratica dovrebbe dichiarare che lo Stato cileno è multietnico, plurinazionale e multiculturale, con tutte le conseguenze che ne derivano. Il popolo Mapuche, ad esempio, non solo esige delle terre, ma ha bisogno di un territorio, cosa che ha una connotazione politica chiara. Un territorio implica istituzioni speciali e un’autonomia politica. Finora, questi temi sono tabu, ma non possiamo continuare a eluderli.
Come evitare che le forze armate si considerino legittimate a intervenire ogni qualvolta non condividono le decisioni che scaturiscono dalla sovranità popolare?
Le forze armate appartengono allo Stato cileno e a chi paga le imposte per mantenerle. Non possono erigersi a potere superiore. Bisogna rieducarle al rispetto della legalità e dei diritti umani. Bisogna democratizzarle dalla base. Il punto di partenza è la creazione di scuole di formazione uniche per ogni settore. Nulla giustifica scuole separate per gli ufficiali e i sottoufficiali. Solo il carattere di classe della società cilena separa dall’inizio della carriera militare i giovani che arriveranno al grado di sottoufficiali da quelli che sono destinati agli scalini più elevati come generale o ammiraglio.
I governi della fase di transizione non hanno mai avuto la minima intenzione di avanzare nel processo di democratizzazione delle forze armate. L’unica cosa ottenuta dopo l’eclissi dell’ex-dittatore è stato il fatto che le forze armate non appaiano direttamente sulla scena politica, anche se esistono segnali contraddittori, perché, per esempio, la nomina del generale Cheyre a direttore del servizio elettorale è stata un affronto alle aspirazioni di democratizzazione del paese.
Come fare in modo che i potenti rispettino una Costituzione di questa natura?
Per fondare un’istituzione politica veramente democratica, è necessario sviluppare un processo che sfoci in un’Assemblea costituente, riconoscendo oggi che non esiste una forza popolare e cittadina per forzare la cosiddetta “classe politica” ad aprire un processo costituente democratico. Con l’attuale rapporto di forza, anche il duopolio che governa non potrebbe imporre che una pseudo Costituente che, di fatto, non avrebbe più legittimità dell’attuale modello.
Il compito consiste nel continuare a sviluppare il processo di rottura democratica, iniziato su scala di massa dal movimento studentesco dal 2011, perché i cittadini e le cittadine, partendo dai loro interessi e dalle loro motivazioni, mettano in relazione le loro rivendicazioni con una nuova Costituzione, la quale dovrebbe emergere dalla società come esigenza prioritaria per obbligare l’élite politica dominante ad accettare questa rottura e a convocare un’Assemblea costituente. Il resto dipenderà dai rapporti di forza. Noi sappiamo che la politica è dinamica e che solo la persistenza delle lotte sociali può garantire che gli interessi dei settori popolari e della maggioranza dei cittadini sia tenuta in considerazione.
*Questa intervista è stata pubblicata nel numero 793 della rivista Punto final, 8-21 novembre 2013. Il suo contenuto illustra il clima del dibattito politico in un settore della “sinistra radicale” in Cile. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.