Tempo di lettura: 5 minuti

vernehmlassung flam 565Non ha usato mezze parole il presidente del PLR nazionale, Philippe Müller, per indicare, nell’intervista apparsa qualche giorno fa sul Corriere del Ticino, quello che pensa della strategia che il Partito Socialista Svizzero (PSS) e l’Unione sindacale svizzera (USS) stanno attuando in vista del prossimo appuntamento elettorale sugli accordi bilaterali, quando (verosimilmente entro il 2014 o all’inizio del 2015) si dovrà votare per estenderli alla Croazia, ultima arrivata nell’Unione Europea (UE).

 

Secondo il presidente del PLR la posizione di PSS e USS, cioè di non potere sostenere un nuovo “sì” agli accordi bilaterali se da parte di governo e parlamento non verranno ulteriormente potenziate le misure di accompagnamento, non è altro che un bluff. Alla fine, lo sa bene il presidente Müller che, potremmo dire, conosce bene i suoi polli, il PSS e l’USS inviteranno a votare “sì”, magari ricorrendo alla ormai consueta sopravvalutazione dei “miglioramenti” apportati alle misure di accompagnamento.
Non si tratterebbe di una novità. È già stato così nelle due precedenti occasione, nel 2005 e nel 2009: tutti (il PSS, l’USS, ma anche i Verdi di Savoia e persino una parte della estrema sinistra – ad esempio SolidaritéS a Ginevra) avevano invitato a votare “sì” agli accordi bilaterali sostenendo che le misure di accompagnamento (nel 2009 corrette e potenziate rispetto alla versione precedente) avrebbero protetto i lavoratori dal dumping salariale che la liberalizzazione del mercato del lavoro scaturita dagli accordi bilaterali avrebbe senz’altro accelerato.
L’esercizio, come detto, si ripeterà. D’altronde ad alcuni, a cominciare dallo stesso PSS, basta veramente poco per non essere costretti a dire “no”. E le bordate di Müller e soci, che hanno detto di non credere al bluff sociali-liberale, non miglioreranno certo la situazione. Abbiamo già sottolineato, analizzando il documento della direzione del partito sottoposto alla discussione nella recente assemblea dei delegati (cfr. Solidarietà nro 5 -2013) che per il PSS decisivo sarà il messaggio che il Consiglio federale dovrebbe quanto prima pubblicare sul tema dell’adesione della Croazia agli accordi bilaterali. Per il PSS la decisione del Consiglio federale di inserire, nell’ambito del messaggio sulla Croazia, un capitolo relativo alle misure
di accompagnamento rappresenterà “una tappa decisiva per chiunque intende ottenere il sostegno del PSS su questo tema”.
Di fronte a questo minimalismo è evidente che il PLR, e con esso i gli altri partiti del centro borghese, non credono assolutamente ad un impegno del PSS e dell’USS a favore di un “no” agli accordi bilaterali. Anzi, quello del presidente del PLR, appare piuttosto come un richiamo alla “responsabilità” del PSS e del movimento sindacale affinché partecipino “costruttivamente”, all’ennesimo “potenziamento” delle misure di accompagnamento (sul quale naturalmente tutti si esprimono favorevolmente). Misure che, come abbiamo già potuto constatare, per la loro impostazione e la loro natura non possono sicuramente mettere in discussione la logica stessa che sta alla base della liberalizzazione del mercato del lavoro attuata attraverso gli accordi bilaterali: e cioè una messa in concorrenza sempre maggiore dei lavoratori attivi in questo paese (siano essi svizzeri, immigrati residenti, frontalieri, ecc. ) con l’obiettivo di spingere verso il basso condizioni di salario e di lavoro e rendere più competitive e redditizie le attività delle imprese.

Una situazione radicalmente diversa

Il contesto nel quale avverrà la prossima votazione è profondamente mutato rispetto a quelle precedenti. Oggi il dumping salariale, cioè la spinta verso il basso delle condizioni di lavoro e di salario, è un’evidenza che nemmeno i pilotati studio del SECO (sempre ottimisti e celebrativi rispetto agli accordi bilaterali) riescono a nascondere.
Non solo nelle regioni frontaliere, ma in tutta la Svizzera (che, a guardar bene, è tutta una regione di confine) appare sempre più evidente la strategia del padronato di riorganizzare il salariato di questo paese. Gli elementi della strategia padronale sono almeno due.
Da un lato, quello più evidente, di utilizzare la scarsa regolamentazione del mondo del lavoro (per quel che riguarda orari e salari) per imporre condizioni sempre peggiori. La grande offerta di manodopera, qualificata e abituata a livelli salariali ben più bassi, permette questa operazione di pressione sui salari.
Ma vi è un secondo aspetto di questa strategia, legata alla divisione ed alla concorrenza dei salariati. Lo si può percepire nei settori dove vigono regolamentazioni che stabiliscono salari e condizioni di lavoro minime ed obbligatorie. In questi settori (prendiamo, ad esempio, il settore ospedaliero) il ricorso a personale qualificato proveniente da paesi vicini (Italia, Germania, Francia) non solo permette di ricorrere a personale già formato (quindi evita forti spese di formazione), ma costituisce un elemento di riorganizzazione delle coscienze e delle solidarietà all’interno del fronte dei salariati. Questa politica alimenta fenomeni di concorrenza, di xenofobia e divisione tra i salariati, gli uni accusando gli altri di “rubare” il posto di lavoro: una condizione ideale per la difesa degli interessi del padronato, pubblico e privato, a scapito di quelli dei salariati.
Ed è su queste contraddizioni che agiscono le forze come la Lega dei Ticinesi, il Mouvement des citoyens a Ginevra o, ancora, la stessa UDC sul piano nazionale.
Senza infine dimenticare, che le misure di accompagnamento in realtà non solo si sono rivelate inadeguate a combattere il dumping, ma hanno mostrato la loro vera natura: cioè di essere misure che, in realtà, permettono al dumping salariale e sociale di svilupparsi, limitandosi le stesse a correggere e contenere eventuali eccessi.

Un “no” chiaro ai bilaterali: per una politica di solidarietà tra i lavoratori

Di fronte a tutto questo appare per contro urgente che il movimento dei lavoratori mostri in modo chiaro di aver cambiato orientamento. Mostri cioè di aver capito che l’impostazione stessa delle misure di accompagnamento non è emendabile e che, oltre a queste, è necessario ricostruire una rete di solidarietà e di unità sui luoghi di lavoro che possa avere la meglio sulla politica di divisione e di messa in concorrenza che il padronato sviluppa.
Il primo passo in questa direzione deve essere la riconquista della fiducia dei salariati. E questo è possibile solo rendendo esplicito, come detto prima, un cambiamento di passo, un cambiamento di orientamento. Per questo deve fin da ora essere sviluppata la prospettiva di un chiaro “no” al prossimo appuntamento per di voto sugli accordi bilaterali.
Questo no dovrebbe poi essere completato da una serie di esigenze fondamentali , da quelle che potrebbero poi essere considerate le “nostre” misure di accompagnamento, quelle che, effettivamente, potrebbero impedire che si sviluppi e si approfondiscano dumping salariale e divisioni tra i salariati.
Pensiamo qui a misure come un salario minimo legale, maggiori diritti sui luoghi di lavoro, l’obbligo di notificare alle autorità le condizioni di salario e lavoro previste in ogni contratto di lavoro stipulato, diritti di intervento e di controllo dei salariati sui luoghi di lavoro, un cospicuo aumento degli ispettori del lavoro.
Si tratta di rivendicazioni in parte note e già formulate. Ma che dovrebbero fin da subito diventare oggetto di negoziato: senza l’accoglimento da parte di governi e parlamenti (nazionali e cantonali) di queste misure, la nostra campagna per “no” agli accordi bilaterali non avrà termine.
Aggiungiamo, di passata, che una strategia come questa darebbe, forse (anche se ormai sembra un po’ tardi), all’iniziativa dell’USS sul salario minimo di ottenere un risultato migliore di quello, non certo brillante, verso il quale si incammina a causa, soprattutto, della moderazione con la quale essa è stata formulata.
Per quel che ci riguarda noi ci impegneremo in questa strategia e sin da ora difenderemo l’idea di un “no” senza se e senza ma in occasione della prossima votazione sui bilaterali. Lo abbiamo già fatto a due riprese e le nostre motivazioni di fondo (l’assoluta insufficienza delle cosiddette misure di accompagnamento) si è purtroppo rivelata corretta.
All’epoca la nostra voce, quasi isolata, per un “no” di sinistra ai bilaterali venne sommersa dal “no” xenofobo della destra leghista e UDC. Bisognerebbe evitare che questo succeda di nuovo. Le conseguenze politiche e sociali di una vittoria di un “no” di destra e xenofobo potrebbero essere ancor più devastanti.