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la-sinistra-europea-e-la-exit-strategy-dalle--L-3zi5NrIl panorama politico di quella che alcuni si ostinano a definire la sinistra europea non è molto incoraggiante. con i partiti social-liberali europei impegnatissimo ogni giorno di più a offrire il peggio di sé stessi.

In Italia, il PD è alleato del partito di Berlusconi (e delle sue varie correnti, interne e esterne) in un governo apertamente contrario ai salariati, che si muove nella più assoluta continuità con il governo Monti.

Il futuro non sembra certo annunciarsi migliore: a Letta potrebbe succedere Renzi, come dire dalla padella alla brace, meglio:da un democristiano all’altro!

In Germania le prospettive non sono certo molto più incoraggianti. Indipendentemente dalle attuali difficoltà, appare scontato che l’SPD andrà verso un governo di coalizione con la Merkel, che continuerà ad affinare quella politica di sostegno al capitale tedesco iniziata con il governo Schröder negli anni 2000: un governo che pose le basi, colpendo ed impoverendo pesantemente i salariati tedeschi, del rilancio del capitalismo tedesco (il famoso modello tedesco), per la verità oggi di nuovo in difficoltà e che sembra arrivato al capolinea.

La situazione francese appare ancora più desolante. François Hollande ed il PS francese (a cui si rivendicano orgogliosamente anche politici nostrani: il sindaco di Bellinzona ad esempio) perdono credibilità ogni giorno che passa. Il governo PS – Verdi (che può contare spesso sulla benevola astensione del Front de Gauche) si è caratterizzato per la sua assoluta continuità con gli orientamenti fondamentali del governo di destra che lo aveva preceduto. Austerità e accettazione delle leggi e delle compatibilità di mercato hanno approfondito una crisi sociale nella quale ormai le legittime esplosione di collera popolare sono all’ordine del giorno, come sta avvenendo in Bretagna. Il risultato è che nessun presidente, nella storia recente della Francia, ha toccato indici di popolarità così bassi (15%) come Hollande.

E in Svizzera? Qui si continua da sempre sulla stessa linea. Tranquilli al governo, applicando con diligenza le ricette che la maggioranza borghese (in governo e in parlamento) detta sulla base degli interessi del padronato. La possibilità di abbandonare questa collaborazione di classe non sfiora nemmeno per un attimo (ormai da una trentina di anni) le istanze del PSS.

Governi quindi di collaborazione con la borghesia; o quando si è soli al governo, programmi che applicano gli orientamenti politici neoliberali, decisi sia dai gruppi dirigenti nazionali che da quelli internazionali (è il caso, ad esempio, delle politiche dell’Unione Europea).

Chi, a livello europeo così come a casa nostra, vuole veramente porsi l’obiettivo di costruire «una sinistra di sinistra», anticapitalista e internazionalista deve prendere atto di questa configurazione politica. Ed arrivare ad un chiara conclusione: che una forza realmente di sinistra ed anticapitalista non può nascere che come alternativa politica ed organizzativa a questi partiti social-liberali.

Non sembrano purtroppo muoversi in questa necessaria direzione e con questa ormai scontata consapevolezza diversi raggruppamenti che, nati come alternativa ai social-liberali, ribadendo di esserlo, per finire (a cominciare dai momenti elettorali) tornano all’ovile, riprendendone pratiche e orientamenti programmatici.

È il caso di SEL e di Rifondazione in Italia, del Front de Gauche in Francia, di Izquerda Unida in Spagna, di Die Linke in Germania. È la stessa logica che muove, in casa nostra, tentativi come quello di Franco Cavalli e del suo forum anticapitalista, così come l’atteggiamento del PC nostrano solidamente orientato verso il vecchio modello del PdL del dopoguerra all’insegna di pratiche socialdemocratiche ed orientamenti neostalinisti.

Questi atteggiamenti sul breve termine potrebbero anche essere premiati. Creano identità e, forse, qualche piccolo consenso elettorale. Ma, a medio e lungo termine, non danno alcun contributo a quelle chiarificazioni necessarie alla nascita di una vera alternativa programmatica e politica al vecchio e ormai moribondo movimento operaio e ai suoi esiti social-liberali.

Per parte nostra continueremo a difendere un orientamento che, all’unità d’azione sugli aspetti concreti, aggiunge un atteggiamento alternativo rispetto alle politiche social-liberali nelle loro forme istituzionali o sindacali. E siamo disposti a farlo con tutti coloro che, nella pratica e non solo nelle dichiarazioni, si muovono in questa direzione.