La caratteristica sempre più evidente del sindacalismo di questo paese è quella di un continuo oscillare tra attivismo mediatico e silenzio colpevole. La fase propositiva, le dichiarazioni, le valutazioni, le intenzioni della politica sindacale: tutto diventa oggetto di attività mediatica. Anzi, tutta l’attività sindacale si risolve, sempre più spesso, in attività mediatica.
Ad esempio, si annuncia un volantinaggio davanti ad un’azienda; e poco importa poi che lo si faccia per davvero, o che quello sia stato l’unico volantino distribuito negli ultimi cinque anni.
Le cose cambiano al momento di tirar le somme. Al momento cioè di presentare le conclusioni di una vertenza, di presentarla non solo pubblicamente, ma anche davanti ai lavoratori. Lî, allora, le cose diventano molto opache, l’informazione circola con difficoltà, il linguaggio si fa criptico. E il più delle volte non si riesce a capire bene, a meno di sforzi di ricerca, quale sia stato il risultato. Tutto questo sta ormai diventando la regola soprattutto negli ultimi anni dove le trattative contrattuali (sia quelle complessive che quelle su temi particolari) tendono a concludersi sempre più con delle sconfitte; sconfitte che le direzioni sindacali, che poco o nulla hanno fatto per evitarle, fanno di tutto per far digerire ai lavoratori e alle lavoratrici.
Il meccanismo è ben noto a chi si sia, anche solo per una volta, avvicinato alle dinamiche ed alle logiche sindacali.
È la cosiddetta logica delle conquiste parziali. Al momento di valutare il risultato di un negoziato, da parte delle burocrazie sindacali viene costantemente avanzata l’idea che la mancata conclusione di quell’accordo particolare potrebbe rimettere in discussione tutto l’impianto contrattuale, l’esistenza stessa del contratto di lavoro e degli accordi precedenti.
Naturalmente, per drammatizzare questo tipo di situazione, basta insistere sulla volontà deregolamentatrice della parte avversa ed il gioco è fatto. Per mantenere le «conquiste» del passato si possono accettare accordi che rappresentano passi indietro. È la logica del meno peggio.
Seguono questa logica alcuni accordi conclusi negli ultimi giorni in merito agli adeguamenti salariali e contrattuali di alcuni importanti settori nazionali e cantonali.
A livello nazionale spicca il miserevole accordo concluso per i lavoratori edili: 20 franchi in media di aumento al mese, in un settore che, ormai da qualche anno, brilla per aumento del volume di affari, degli utili e della redditività.
Coscienti di questa acuta contraddizione, i dirigenti sindacali cercano di giustificarsi accampando spiegazioni fantasiose. Così, ad esempio, il responsabile dell’edilizia del sindacato Syna-OCST Paolo Locatelli spiega: «La scelta dei delegati SYNA-OCST di accettare l’accordo salariale 2014 non è quindi subordinata alla soddisfazione dell’aumento concordato. Solamente un atto di responsabilità per mantenere in vita un Contratto Nazionale Mantello forte, ancora perfettibile per quanto concerne la lotta contro gli abusi e la concorrenza sleale. Ed è solo per questo che i delegati SYNA-OCST hanno accettato a maggioranza l’accordo, null’altro». Un mucchio di frottole. Il CNM dell’edilizia, che Locatelli vorrebbe «mantenere in vita» invitando i delegati ad accettare un accordo salariale miserabile, scadrà tra due anni, a fine 2015.
Lo stesso ragionamento ha animato tutte le trattative (condotte in gran segreto) per il rinnovo del contratto cantonale del settore ospedaliero pubblico (il cosiddetto ROC, firmato dai sindacati con l’Ente Ospedaliero Cantonale – EOC).
Anche in questo caso il risultato è sostanzialmente nullo (se escludiamo qualche piccolo cambiamento che avrà poche conseguenze sulle condizioni di lavoro e di vita del personale). Tutta la trattavia è stata condotta all’insegna dell’idea di dover mantenere a tutti i costi il CCL e così le rivendicazioni del personale sono state opportunamente pilotate, proprio partendo dall’idea che la difesa dell’acquisito è la linea da difendere, verso la più totale moderazione.
Il risultato, in questo caso, è un contratto che sta mostrando tutti i segni di usura proprio perché vittima, negli ultimi anni, di questa politica del «meno peggio». I salari sono praticamente fermi e non adeguati da parecchi anni; le condizioni di lavoro sono fortemente peggiorate poiché un numero stagnante di personale fa fronte ad una mole di prestazioni che si è andata sviluppando in modo esponenziale negli ultimi anni. Il tema della riduzione del tempo di lavoro, sentito dal personale, avrebbe dovuto essere al centro di un negoziato serio.
Questi modi di procedere a lungo andare hanno poi conseguenze sulla stessa capacità delle organizzazioni sindacali, di fronte alla rimessa in discussione dei contratti stessi, di difenderne i punti fondamentali quando, se non addirittura, la capacità stessa di difendere l’esistenza dei contratti.
Queste strategie sindacali per finire tendono a scoraggiare e a indebolire l’attività e la partecipazione degli stessi lavoratori.
È il caso dell’edilizia, settore nel quale oggi le organizzazioni sindacali non appaiono in grado di costruire vertenze locali o nazionali con l’apporto decisivo della mobilitazione operaia.
Ma è anche il caso del settore ospedaliero cantonale dove abbiamo chiari segnali di un processo di smobilitazione, frutto evidente della politica sindacale che abbiamo descritto qui sopra. Basti pensare che l’altra sera, ad approvare il rinnovo del contratto, c’eran meno di 50 dipendenti dell’EOC presso il quale lavorano più di 4’000 dipendenti interessati da questo rinnovo.