Nelle recenti elezioni per l’elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) all’ILVA di Taranto hanno partecipato circa 9’000 lavoratori (pari all’80%) di tutti gli occupati nell’azienda. Le elezioni delle Rsu hanno premiato l’Usb, sindacato combattivo e di base. Complessivamente i risultati si sono distribuiti come segue: alla Uilm 2’807 voti, alla Fim 1’668, all’Usb 1’577, alla Fiom 1’139, alla Flm Cub 100 e alla Fismic 88.
Sei, infatti, erano le liste presenti al voto. Nella precedente RSU, invece, la Uilm era prima, la Fiom seconda e la Fim terza, mentre l’Usb non c’era essendosi costituita come sindacato nell’Ilva solo un anno fa. Per il voto degli impiegati, invece, il dato non definitivo reso noto sempre da fonti Fim è il seguente: Uilm 457, Fim 457, Usb 192, Fiom 195. Il succo è comunque questo: vincono due sigle storicamente legate ai Riva e iperconcertative mentre avanzata in modo impressionante un sindacato nuovo e combattivo, l’Usb, ai danni di una sigla penalizzata dalla voglia di “collaborazione”, la Fiom. Qui di seguito una riflessione politica che collega questa sconfitta della FIOM alla sua evoluzione in seno alla CGIL. Come noto per il prossimo congresso, dopo anni di opposizione alla linea maggioritaria, Landini e la FIOM hanno deciso di sostenere, con qualche correzione, la linea maggioritaria della Camusso. L’autore del testo che segue è stato per anni membro della segretaria nazionale della FIOM, prima di esserne estromesso in ossequio al nuovo orientamento della corrente maggioritaria che fa capo a Landini. Pubblichiamo questo testo non solo per il valore suo e dell’azione svolta in questi anni da un compagno come Sergio Bellavita; ma anche perché alle nostre latitudini emeriti analfabeti di cose sindacali continua ad appellarsi a Landini ed alla sua linea come fosse “alternativa” a quella concertativa in auge qui e in Italia. (Red)
Nell’agosto del 2012 davanti alla pesante contestazione da parte di centinaia di lavoratori dell’Ilva di Taranto del comizio di Cgil Cisl Uil, mi permisi di invitare ad una riflessione profonda il sindacato e a non sottovalutare quel segnale. Quell’invito venne liquidato da Landini, dalla segreteria di Taranto e dalla maggioranza del gruppo dirigente Fiom come un regalo a teppisti da stadio e delinquenti comuni e divenne parte del processo che di li a pochi mesi operò la mia destituzione da segretario nazionale con la rottura della maggioranza congressuale che aveva retto la Fiom dal 2002. Si è incaricato il voto degli operai Ilva della scorsa settimana di mostrare quale fosse la reale portata di quel segnale.
Oggi gran parte del gruppo dirigente che ha gestito negli ultimi tre anni l’acciaieria di Taranto, a partire dal segretario Landini, ammette la sconfitta e non potrebbe essere diversamente. Tuttavia per la Fiom il risultato delle elezioni Rsu all’Ilva di Taranto non è solo una semplice, per quanto dura, sconfitta in un rinnovo della rappresentanza sindacale di fabbrica. Non e’ un infortunio, un evento che può essere circoscritto a un territorio o a un settore.
Se per l’Usb e il sindacalismo di base il risultato dell’Ilva è una vittoria senza precedenti nel settore metalmeccanico privato, per la Fiom e’ il primo vero pesante crollo di consenso tra gli operai negli ultimi vent’anni e come tale ha un valore generale. Ciò accade a tre anni di distanza dal referendum di Mirafiori, da quel no della Fiom a Marchionne che, su Pomigliano e quella resistenza operaia, aveva costruito la straordinaria manifestazione del 16 ottobre 2010 conquistando un consenso tra i lavoratori che andava ben al di là dei metalmeccanici. E’ quindi in questi tre anni di storia sindacale e politica che vanno ricercate le ragioni di una debacle di tali dimensioni.
La Fiom non e’ sconfitta in quanto incompresa e persino contrastata da un sottoproletariato, anch’esso parte del sistema clientelare costruito dai Riva a suon di milioni di euro, che non ha riconosciuto la radicalità la e determinazione del sindacato, ipotesi a cui qualche dirigente allude. Un’idea alquanto bizzarra che auto assolve i gruppi dirigenti e che prevede come unica soluzione la sostituzione degli operai… La Fiom è sconfitta perché vissuta dai lavoratori come parte del palazzo,parte di un teatrino della politica ormai logoro e privo di ogni credibilità, specie quando il teatrino e’ condito dalla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche che palesano il consociativismo della sinistra politica e sociale cortigiana. Si paga il prezzo dell’accettazione della Fiom dei tanti provvedimenti dei governi a difesa degli interessi dei Riva contro i magistrati che, per l’acciaio e non solo, hanno derogato al diritto alla salute dei lavoratori e della popolazione consentendo di continuare a produrre, inquinare e uccidere.
Dialoganti con i governi e i potentati ma durissimi nella gestione della vita interna all’organizzazione, sino al punto da cancellare, destituire parte di delegati e iscritti Fiom all’Ilva. In una vicenda certamente complessa, delicata e tutt’altro che trasparente che, ho già avuto modo di richiedere nelle sedi formali, andrebbe indagata con una commissione interna, allo scopo di rendere evidente, una volta per tutte, al comitato centrale della Fiom quanto accaduto a Taranto. Quello che sappiamo con certezza è che c’è stato un grande consenso dei lavoratori ai delegati cacciati dalla Fiom e oggi raccolti sotto le bandiere dell’Usb, un’organizzazione che nell’ultimo anno a Taranto ha sostenuto scioperi anche a oltranza,proteste e manifestazioni per il diritto alla salute, alla sicurezza,al lavoro, rivendicando l’esproprio ai Riva dell’Ilva senza demonizzare la questione del reddito.
Quello che sappiamo con certezza è che la parte cacciata è stata considerata per anni il riferimento di fabbrica della Fiom, il volto barricadero all’Ilva che ha subito licenziamenti, provvedimenti disciplinari e mobbing da parte dell’azienda.
Se questo è il quadro, non è difficile capire le ragioni del tracollo di consensi tra gli operai e il travaso di voti dalla Fiom all’Usb.
Quando un’organizzazione si mostra cosi slegata dalla città, cosi incapace di misurarsi con la inevitabile complessità e contraddittorietà di quel rapporto città fabbrica, quando i proclami di un nuovo modello di sviluppo si infrangono sulle polveri di un’acciaieria il risultato è certo. Proprio per queste ragioni il voto Ilva assume un carattere generale. In un quella che poteva essere una vertenza esemplare su salute,ambiente,diritto al lavoro e al reddito, contrasto alle politiche del Governo, nuovo intervento pubblico in economia, denuncia del malaffare padronale e del suo vasto sistema di corruzione la Fiom è mancata clamorosamente o peggio è apparsa complice.
La sostanza è che siamo di fronte al primo esplosivo segnale del mesto rientro della maggioranza del gruppo dirigente Fiom in quella normalità “confederale” che è esattamente la negazione di 15 anni di battaglie dentro e fuori la Cgil.
Anche chi non è addentro ai tecnicismi sindacali comprende senza difficoltà che le parole e le azioni della Fiom di Genova 2001, dei 21 giorni di Melfi, delle lotte per il contratto nazionale, della battaglia contro il protocollo del welfare nel 2007, dell’alterità alla deriva Cgil consacrata in due congressi su posizioni alternative e cementata da una pratica contrattuale coerente sono ben altra cosa di quelle che accompagnano l’abbraccio all’accordo del 28 giugno che accoglie le deroghe e di quello all’accordo del 31 maggio che cancella le libertà sindacali.
I nodi prima o poi vengono al pettine. Il ripetuto utilizzo dell’orgoglio operaio del no a Pomigliano e Mirafiori di tre anni fa non paga più per la semplice ragione che parla di un ricordo appunto, non dell’attualità, non di una pratica che ancora tenta di rispondere alla condizione dei lavoratori in una fase difficilissima. Il ricordo di una radicalità e di una determinazione oggi sacrificata al pragmatismo, alla responsabilità ed al realismo rassegnato dei gruppi dirigenti. Con il voto Ilva e il rientro nella maggioranza Cgil al congresso si certifica la chiusura della lunga stagione Fiom che, dal 1996 al 2011, seppur in maniera contraddittoria, ha segnato la storia sindacale di questo paese impedendo la normalizzazione del quadro sindacale e la corporativizzazione del sistema puntando su democrazia, indipendenza e conflitto.
Emendare il documento Camusso è apporre una qualche virgola a un testo che rivendica la bontà della propria linea sindacale di questi anni. Guarda caso quella che ha consentito la distruzione del sistema di protezione sociale senza colpo ferire. Virgole significative certo, ma pur sempre virgole. Il sindacato è un’altra cosa.
* Sergio Bellavita è uno dei portavoce della corrente di sinistra nella CGIL, in particolare della rete 28aprile. Questa corrente ha presentato, in vista del congresso della confederazione, un documento alternativo a quello della maggioranza intitolato “Il sindacato è un’altra cosa”.