I fatti sono tosti e sempre in contrasto con le sparate, si tratti della celebre frase di Nikita Chruščëv secondo cui in un paio d’anni l’Unione Sovietica avrebbe raggiunto e superato gli Stati Uniti o, a livello più modesto, delle dichiarazioni di Cristina Fernández de Kirchner secondo cui l’ammontare delle riserve (appena 50 miliardi di dollari) avrebbe messo l’Argentina al riparo dalla crisi mondiale, o quelle sul “decennio vinto”, sul non indebitamento con l’estero, sulla stabilità della moneta.
A partire da lunedì 27 gennaio, il dollaro costerà ufficialmente 10 pesos. E accadrà mentre la banca è quasi completamente in mano straniera, mentre quattro grandi multinazionali controllano il commercio internazionale di granaglie, cinque multinazionali dirigono la grande industria, una parte consistente dei ceti medi urbani non appoggia il governo e il kierchnerismo (il “Fronte per la Vittoria” e alleati), pur controllando entrambe le Camere, rappresenta soltanto meno del 40% dei voti, la presidente funziona solo con mezzo motore e ha lasciato il controllo quotidiano del governo in mano a un cattolico oltranzista di destra, ostile all’aborto, ex menemista e candidato a presidente alle elezioni dell’anno prossimo.
Accade, inoltre, mentre il “Fronte di sinistra dei Lavoratori” [Frente de Izquierda y de los Trabajadores – FIT] continua a crescere come espressione di una più ampia sinistra sociale che sta cominciando a organizzarsi e mentre nel movimento operaio e nei sindacati si sviluppano gruppi radicalizzati indipendenti dal governo kirchnerista e dai suoi screditati e burocratici agenti sindacali.
Si verifica, infine, nel quadro di una crisi acuta di tutti i paesi “emergenti”, che travolge non solo l’Argentina ma anche il Brasile e il Venezuela, suoi alleati nel Mercosur, e che comincia a colpire l’acquisto da parte della Cina di materie prime agricole, vitale per l’Argentina. Ed anche in momenti in cui in Europa si sta esercitando una grossa pressione perché l’Argentina paghi i circa 9 miliardi di dollari al Club di Parigi e mentre, tramite la giustizia statunitense, minacciano di portare il paese al default costringendolo a pagare il valore nominale dei titoli acquistati a niente nel 2004 dai detentori che si rifiutarono di farsi rimborsare dalla Kirchner con la remissione dell’80%.
L’attuale crisi internazionale che si protrae ha ridimensionato gli investimenti stranieri nei paesi del Mercosur, che incontrano difficoltà crescenti, e spinge i paesi che vi partecipano a pensare soltanto a come uscirne individualmente, anche a spese degli alleati. Questa è la cornice generale. Poiché sto scrivendo queste righe il 25, non posso che limitarmi ad alcune ipotesi sui possibili risultati di questa misura, presa in modo disperato.
Lo scenario meno terribile sarebbe il seguente: indipendentemente dalla sfiducia nel governo e nella solidità del peso, i settori agiati dei ceti medi che possono tesaurizzare dollari, spenderli in viaggi e in beni di lusso, o acquistare case, accetterebbero una svalutazione che li rassicurasse, ancorché transitoria, sul prezzo del dollaro, riducendo in modo forte il margine finora esistente rispetto al dollaro del mercato nero. La svalutazione renderebbe più competitivi i prodotti argentini, frenerebbe le importazioni favorendo così la bilancia cambiaria, ridurrebbe i costi per i possessori di altre divise favorendo il turismo verso l’Argentina e riducendo quello all’estero, scongelerebbe le vendite immobiliari, oggi bloccate, favorendo l’industria delle costruzioni e, soprattutto, riducendo i salari reali di circa il 30%, aumentando così i profitti degli imprenditori. I produttori di soia lancerebbero sul mercato i milioni di tonnellate del prodotto che oggi è ammassato nei silos e dovrebbero pagare al fisco una qualche tassa sulle vendite, accrescendo le riserve che si stanno esaurendo.
Per quanto si dovrebbe apportare modifiche allo scambio col Brasile, se questa reazione fosse dominante, almeno per alcuni mesi, il governo potrebbe guadagnare tempo perché possano entrare divise (e per negoziare nuovi debiti in condizioni non troppo onerose). Naturalmente la Cina dovrebbe continuare ad acquistare granaglie, facendo qualche investimento, concedendo qualche credito. Il Club di Parigi dovrebbe accettare la rinegoziazione del debito (nonostante il bruttissimo momento attraversato dalle finanze argentine), la Corte Suprema degli Stati Uniti dovrebbe accettare di salvare il governo kirchnerista respingendo le richieste dei suoi creditori.
Come si può vedere, dovrebbero presentarsi una serie di condizioni favorevoli, che si baserebbero sulla fiducia dei ceti medi e degli investitori nella capacità governativa di condurre bene la politica di esproprio dei salari reali per favorire gli imprenditori, altrimenti tutti costoro avrebbero paura della reazione popolare se si tira tropo la corda, con soluzioni ancora peggiori.
Anche in questo scenario più favorevole per il governo il mercato interno si restringerebbe comunque, aumenterebbe la carestia in seguito agli effetti inflazionistici della svalutazione, crescerebbe il numero dei poveri, quello dei disoccupati, aumenterebbero le differenze sociali e tra le regioni, aumenterebbe l’insicurezza sociale. Difficilmente il kirchnerismo riuscirebbe a mantenere tutti i suoi sussidi e si dovrebbe scegliere tra l’assistenzialismo diretto ed elettoralistico (assegno per figlio, assegnazioni per i giovani che non studiano né lavorano), riducendo in cambio i sussidi al trasporto, all’istruzione, alla sanità o i periodici aumenti ai pensionati). Il governo, al tempo stesso, si troverebbe di fronte a un’ondata di conflitti settoriali per aumenti salariali superiori all’inflazione, a conflitti sociali e alla radicalizzazione anche maggiore dei settori giovanili, e la gioventù kirchnerista (il raggruppamento La Cámpora ed altri analoghi) incontrerebbe serie difficoltà in questi ambienti. Il restringimento della base sociale e politica governativa incoraggerebbe gli imprenditori, i produttori di soia e gli speculatori finanziari e la battaglia per il futuro governo, sia all’interno sia fuori dal FpV, sarebbe più aspra e confusa.
Lo scenario “nero”, in compenso, è più probabile e più semplice. Le grandi imprese che, ad esempio la Shell insieme alla Banca HSBC, scatenarono la crisi con le loro speculazioni illegali, batterebbero il ferro finché è caldo, proseguendo con la loro offensiva contro il governo e contro il peso, molto indeboliti, per ampliare la svalutazione. I produttori di soia e i grandi esportatori continuerebbero a rallentare la vendita del loro raccolto del 2013, aggravando così la scarsezza di dollari. Il Club di Parigi e i “fondi avvoltoi” [che speculano sul debito pubblico, oltre che in investimenti a rischio] degli Stati Uniti si rifiuterebbero di rinegoziare il debito e si darebbero da fare perché cessino i pagamenti e a favore del default, dando così un durissimo colpo anche al Venezuela e soprattutto al Brasile e al Mercosur. Il governo, che non vuole né può prendere misure contro i grandi imprenditori e le multinazionali, dovrebbe abbandonare o ridurre al minimo i sussidi (salari indiretti) al consumo e ai servizi, in particolare il trasporto urbano e suburbano. La destra peronista stringerebbe un’alleanza politica con i settori di opposizione antiperonisti ugualmente disposti a sacrificare i lavoratori. Data l’inesistenza di un centro affermato e credibile da parte della sinistra sociale, le esplosioni e le lotte non sarebbero coordinate tra loro né uscirebbero dal terreno locale o settoriale e, sul piano elettorale, si esprimerebbe in minor misura nel sostegno al FIT e, maggiormente, nel voto al Fronte per la Vittoria come male minore, anche se fosse diretto da gente molto di destra, oppure nell’astensione.
Così come per la prima opzione, sarebbe grande, ancora più grande, l’inflazione, crescerebbe molto la disoccupazione e i salari reali tornerebbero al livello di quelli degli anni Ottanta. La situazione sociale arriverebbe sull’orlo dell’esplosione. Un grave arretramento in Argentina provocherebbe gravi ripercussioni in Brasile e in Bolivia e aggraverebbe la situazione di Cuba e del Venezuela. Si aprirebbe a livello continentale una situazione ben diversa da quella dell’ultimo decennio.
Naturalmente, la realtà è più complessa di questi calcoli nostradamici, ma le grandi linee del processo stanno a indicare come, non essendo visibile un’uscita da sinistra, si dischiuda per i lavoratori argentini e latinoamericani un panorama oscuro, che potrebbe schiarirsi soltanto con profonde misure antimperialiste, antimonopoliste, anticapitaliste.
Tratto dal sito www.antoniomoscato.altervista.org