Nei suoi primi spettacoli, condotti dapprima in coppia con Elie Semoun [umorista francese di origini ebraiche] e poi individualmente, denunciava il razziismo e l’esclusione. A quel tempo sosteneva ancora il campo della sinistra: nel corso delle elezioni legislative del 1997 si era opposto al Front national [partito francese della destra detta sociale oggi capitanato da Marie Le Pen] richiamandosi ai valori repubblicani. Negli anni seguenti ha però cambiato la sua posizione politica.
Nel 2006 partecipa alla festa del Front National e il suo incontro con Jean-Marie Le Pen [fondatore del FN nel 1972] è fortemente mediatizzato. Dieudonné accompagna Le Pen in Camerun l’anno successivo. Il comico sostiene poi il presidente conservatore iraniano Mahmoud Ahmadinejad [2005-2013], e pubblica sul proprio sito internet violente critiche nei confronti d’Israele definendo la memoria del genocidio degli ebrei «pornografia memoriale». [conferenza stampa ad Algeri, 16.1.2005]
Il preteso potere occulto degli ebrei
Durante le elezioni presidenziali del 2007 invita a votare al primo turno per José Bové [movimento no-global] – che tuttavia rifiuta il sostegno; poi, al secondo turno, per Ségolène Royal [Partito Socialista]. Nel dicembre 2008 invita Robert Faurisson [capofila dei negazionisti dell’Olocauso] a esprimersi nel corso del suo spettacolo allo Zénith, in presenza di Jean-Marie Le Pen e di diversi dirigenti del Front national. Da questo momento in poi gli argomenti di Dieudonné si situeranno sempre su questo stesso registro ed egli non rinnegherà mai questo suo invito a Faurisson.
Il discorso di Dieudonné si inserisce nel solco del negazionismo e di tutto ciò che l’ha preceduto, ovvero il revisionismo. Quest’ultimo è stato concepito “in primis” da una figura politica di sinistra, Paul Rassinier [Sezione Francese dell’Internazionale Operaia tra 1905 e 1969, poi Partito Socialista], entrato in relazione con l’estrema destra a partire dal 1950. Alla base di questa linea di pensiero troviamo la denuncia del preteso potere occulto degli ebrei sulle vicende del mondo e l’assegnazione ad essi delle responsabilità della seconda guerra mondiale. Pian piano si giunge poi a mettere in dubbio l’esistenza delle camere a gas.
In seguito alla morte di Rassinier, il testimone è assunto da Pierre Guillaume, proveniente dalla sinistra radicale [fondatore della casa editrice negazionista La Vieille Taupe (La Vecchia Talpa)]. Quest’ultimo si lega a Robert Faurisson e non si accontenta più di mettere semplicemente in dubbio l’esistenza delle camere a gas, ma si spinge a negarne fermamente l’esistenza. Ecco che il revisionismo si è trasformato in negazionismo.
In seguito, altri esponenti provenienti dalla sinistra – tra i quali Roger Garaudy e Jacques Vergès [Partito Comunista] – alimentano a loro volta il negazionismo, anche se le sue radici intellettuali si situano essenzialmente nell’ideologia dell’estrema destra. Fino alla fine degli anni ’70 revisionismo e negazionismo appaiono come fenomeni marginali. Tuttavia, a causa di svariati fattori, in particolare l’attivismo di Robert Faurisson e le affermazioni di Jean-Marie Le Pen sulle camere a gas, definito un «dettaglio» della seconda guerra mondiale, il negazionismo conquista un’udienza sempre maggiore.
In un miscuglio tra messa in causa della Resistenza, critica schematica del capitalismo e negazione del massacro degli ebrei d’Europa durante la seconda guerra mondiale, il negazionismo si serve anche dei luoghi comuni antisemiti più grossolani. Infine, entra in sintonia con una certa lettura del conflitto del Vicino Oriente.
La libertà d’espressione è un imperativo indiscutibile
In nome della libertà di pensiero e della ricerca della verità, alcuni – anche a sinistra [si veda la prefazione in favore della libertà d’espressione di Noam Chomsky al libro di Faurisson, “Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire. La question des chambres à gaz”, edito nel 1980 per le edizioni La Vieille Taupe, e le seguenti “Réponse inédites à mes détracteurs parisiens”, Spartacus, 1984] – hanno inizialmente rifiutato di combattere il negazionismo; per poi cambiare opinione in seguito. Su questo piano la vicenda Dieudonné ricorda queste situazioni.
La libertà d’espressione è un imperativo indiscutibile, ma questo non deve assolutamente condurre a un relativismo in nome del quale tutte le opinioni sarebbero valide. Le idee propagate da Dieudonné M’bala M’bala riposano, ripetiamolo, sui più grossolani argomenti antisemiti. Si tratti della negazione delle camere a gas e dello sterminio nazista o della pretesa difesa dei Palestinesi e della messa in discussione dello stato d’Israele, a guidarli troviamo un unico filo conduttore: l’odio.
Completamente delirante, il negazionismo falsifica qualsiasi verità storica. Nessuna formazione politica democratica, sia essa di sinistra o di destra, gli accorda oggi il minimo credito. Pertanto, il negazionismo non può essere ridotto semplicemente ai ranghi di un’aberrante ideologia difesa da un piccolo gruppo di persone: bisogna combatterne invece la tossicità in ragione della sua influenza crescente nella società.
In effetti la vicenda Dieudonné risulta nuova su almeno due punti. Innanzitutto, all’epoca dei social network, numerosi siti di sostegno ai “Palestinesi” sviluppano, in nome della denuncia del “sionismo”, un antisemitismo reale e spregiudicato.
Che fare dunque di fronte a questa situazione? Dato il carattere effimero di questi siti e la difficoltà a valutarne l’influenza, la risposta è tutt’altro che semplice. Qual è la loro speranza di vita? Quante visite ricevono ogni giorno? Come combattere la loro udienza che, sicuramente, non è trascurabile?
Di fronte a nuova fase
In secondo luogo, il revisionismo prima e il negazionismo poi hanno coinvolto un pubblico assai ristretto prima che le provocazioni di Jean-Marie Le Pen gli dessero un’eco più larga. Oggi ci troviamo, forse, di fronte a una nuova fase, nella misura in cui il negazionismo è diffuso da un comico che raccoglie un reale successo popolare.
Il negazionismo, l’antisemitismo e il razzismo sono condannati dalla legge. Ma questa protezione giuridica non basta: bisogna innanzitutto mostrare quali sono i meccanismi di questo discorso fatto d’ignoranza, di stupidità e di odio. Un’ampia mobilitazione dei partiti, dei sindacati e delle associazioni potrebbe assumere questo compito, anche se bisogna riconoscere una regressione di questo tipo di protesta collettiva.
Auguriamoci allora che il dibattito attuale attorno a Dieuonné faccia prendere maggiore coscienza del fatto che i suoi argomenti sono inaccettabili e di quanto sia necessario opporsi con reazioni adeguate.
* Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano francese Le Monde datato 10 gennaio 2014. Michel Dreyfus, storico e ricercatore al Centro di storia sociale del XX secolo all’Università di Parigi-I; è anche autore del libro L’antisémitisme à gauche: histoire d’un paradoxe: de 1830 à nos jours (La Découverte, 2011).
La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.