Finalmente il governo ha deciso: i docenti comunali, cioè i docenti della scuola dell’infanzia (SI) e delle elementari (SE, avranno diritto ad un aumento salariale attraverso l’aumento di una classe salariale. La misura, dopo aver già subito un rinvio di un anno, dovrebbe entrare in funzione con il prossimo anno. Così , sulla base di questa decisione, gli insegnanti di SI passeranno dalla classe 24 alla classe 25 e quelli di SE dalla classe 25 alla classe 26.
140 franchi di aumento mensile!
Che cosa significa concretamente? Per il momento non è ancora chiaro, visto che l’annuncio del governo è stato assai generico e non è dato sapere quale incidenza concreta avrà sul salario di ogni singolo docente Sappiamo quanto tutto questo più o meno costerà a Cantone e comuni (questi ultimi pagano circa i due terzi dei salari dei docenti comunali): si tratta di circa 3,5 milioni ai quali si devono aggiungere gli oneri sociali
Visto dall’altro lato della barricata, cioè da quello del salario di ogni singolo docente, si può affermare che, alla fine, ad ogni docente dovrebbe spettare (naturalmente si tratta di un’ipotesi teorica, visto che non tutti i docenti si trovano nella stessa situazione di avanzamento della scala salariale) un aumento netto di circa 1140 franchi mensili. È questa infatti la somma che si ottiene dividendo i 3,5 milioni di maggior onere per circa 2000 insegnanti delle scuole comunali (SI + SE). Un somma, come detto, media teorica (cioè qualcuno potrebbe avere un incremento leggermente maggiore, altri un incremento assai minore): ma utile per capire quale sia la portata, in termini materiale, di questa decisione del governo.
Ora, non vi sono dubbi che qualsiasi rivalutazione, anche minima, in un settore come questo, maltrattato e sottovalutato da decenni, deve essere considerata la benvenuta. Ma presentare questo piccolissimo riconoscimento ed adeguamento (perché di questo si tratta se si vanno a vedere, come abbiamo fatto, i dati) come una “svolta” che andrebbe a sanare una situazione di ingiustizia, ebbene affermare questo ci sembra veramente eccessivo. Se poi tutto ciò viene presentato, come si tende a fare negli ambienti della sinistra sindacal-social-liberale, come la dimostrazione dell'”aria nuova” che tirerebbe all’interno del DECS e della sua politica, anche questo ci sembra un atteggiamento che sfiora l’imbroglio.
Detto questo (e malgrado questa decisione) la questione complessiva del salario degli insegnanti resta sul tappeto. Qui di seguito vorremmo richiamarne alcuni punti, inserendolo nel contesto del sistema salariale che concerne tutto il mondo della scuola.
Un sistema salariale superato e iniquo
Il sistema salariale degli insegnanti in Ticino è sostanzialmente costruito sulla base di un rapporto tra livelli salariali e presunto livello di formazione degli insegnanti. Diciamo presunto poiché se questo rapporto era più o meno adeguato negli scorsi decenni, oggi esso non corrisponde più alla situazione di fatto (o in misura assai minore) rendendo il sistema salariale profondamente iniquo.
L’attuale sistema salariale prevede infatti oggi, per un insegnante all’inizio della carriera nella scuola dell’infanzia un salario annuale di Fr. 69’448 (cioè 5’432 mensili) (per le elementari di 72’366 Fr.). Per un docente di scuola media si comincia con 84’762Fr. annuali e per uno di scuola media superiore con 94’875 Fr. l’anno. Si tratta di salari ampiamente al di sotto delle medie nazionali, per alcuni settori siamo nelle posizioni più basse nell’ambito delle comparazioni intercantonali.
Come si può constatare la differenza tra il salario iniziale della scuola dell’infanzia e quello della scuola media superiore è quasi del 37%, differenza che può ulteriormente aumentare se si prende in considerazione la possibilità di carriera, essendo la scala salariale degli insegnanti del settore medio superiore più ampia di quella dei settori più bassi (può arrivare fino al massimo della classe superiore, la 34).
Questo ordinamento, come detto, è stato costruito sull’idea di un minore livello di formazione degli insegnanti dei livelli inferiori.
Per il settore medio e medio superiore (messi da parte gli insegnanti di scuola maggiore ereditati con il passaggio dal vecchio sistema della scuola maggiore/ginnasio a quello della scuola media unica) la formazione di riferimento era quella universitaria (in varie forme: dalla semplice frequenza dei semestri sufficienti ad essere abilitati all’insegnamento – il cosiddetto “lehramt” – alla completazione del ciclo di studi universitari fino alla laurea); la differenza tra settore medio e medio superiore veniva giustificata con la differenza di lunghezza e formazione del percorso universitario.
Per il settore elementare e della scuola dell’infanzia la formazione era di fatto limitata ad una formazione para-liceale. Terminato il ciclo di studi medio, gli aspiranti docenti ai settori elementare e della scuola dell’infanzia, erano tenuti a frequentare la scuola professionale – Magistrale- che li formava all’insegnamento nei due settori in questione attraverso un percorso di tre/quattro anni parallelo a quello dei loro colleghi che frequentavano il Liceo.
È sulla base di queste due vie formative diverse che si è andato costruendo il sistema salariale attuale. Anche la differenza tra settore medio e settore medio-superiore per lungo tempo è stata legata al fatto che per accedere all’insegnamento nel settore medio superiore (e per entrarvi in modo definitivo) vigeva l’obbligo di un completamento del ciclo di studi universitari fino alla laurea (oggi fino al master).
Tutto questo sistema oggi non esiste più. È un dato di fatto che da ormai qualche anno si trova sotto gli occhi di tutti e di cui, tuttavia, nessuno vuole prendere atto (né le organizzazioni sindacali, né coloro che hanno diretto e dirigono il dipartimento).
Se prendiamo ad esempio, come punto di riferimento la scuola elementare, constatiamo che la formazione di un insegnante ha ormai un livello comparabile perlomeno a quello di scuola media . Dopo le scuole dell’obbligo , la formazione continua con il liceo e poi con una scuola di livello universitario (nel nostro caso la SUPSI) che, nell’arco di tre anni, sfocia su un bachelor, cioè un titolo comunque di livello universitario corrispondente a quello di moltissimi docenti del settore medio. Un livello non così distante nemmeno da quello degli insegnanti del settore medio-superiore.
Le condizioni di lavoro
Formalmente le condizioni di lavoro sono uguali per tutti gli insegnanti, in particolare per quel che riguarda l’orario di lavoro, inteso sia come ore di insegnamento che come tempo dedicato alla preparazione dell’attività didattica, l’aggiornamento, ecc.
E se questo modo di interpretare la propria funzione professionale viene preso sul serio, possiamo sicuramente confermare che non vi siano grandi differenze di onere lavorativo complessivo tra gli insegnanti dei diversi settori professionali. Se, come visto, ai docenti del settore medio superiore si chiede, forse, un maggiore sforzo nell’ambito dell’aggiornamento scientifico, non vi sono dubbi che le condizioni materiali quotidiane di insegnamento per i settori inferiori (dal settore medio a quello dell’infanzia) siano oggi più pesanti e difficili, generando, non a caso, un numero sempre crescente di fenomeni di bourn-out e necessitando un impegno in energie fisiche ed intellettuali nel complesso sicuramente equivalente a quello di un docente dei settori meglio retribuiti.
Ripensare tutto
In questo contesto, che abbiamo sommariamente descritto, appare evidente che la “concessione” di una classe salariale, al di là del suo aspetto di per sé positivo, non modifica sostanzialmente le cose. Né lo farebbero le altre proposte continuamente avanzate in sede sindacale (ad esempio un’analogo aumento per le altre categorie di docenti).
Appare necessario invece avviare una riflessione complessiva sul sistema salariale. Una riflessione nella quale il rapporto tra salario e condizioni di lavoro, tra salario e percorso formativo, tra salario e ore di attività didattica, amministrativa e scientifica (aggiornamento), sfoci su una proposta di un nuovo ordinamento salariale.
Un ordinamento che permetta a tutti settori dei docenti (compreso quello del settore professionale che meriterebbe un discorso particolare) di riconoscersi, vedendo accolte alcune delle istanze di fondo: solo attorno a una simile sintesi sarà possibile costruire una mobilitazione che si possa sviluppare sul lungo periodo e che permetta di costruire un rapporto di forza che, solo, permetterà di modificare realmente condizioni di lavoro, di salario e di vita degli insegnanti.
Questo percorso rivendicativo deve essere costruito partendo dagli insegnanti stessi, cercando di coinvolgerli in questa discussione (per nulla facile e scontata), utilizzando esperienza, sensibilità e intelligenza di una categoria di lavoratori e lavoratrici che da tempo ormai ha accumulato un sentimento di frustrazione derivante da una degradazione sempre più ampia del proprio ruolo sociale e culturale.
Una strada che va esattamente all’opposto da quella imboccata dalle organizzazioni sindacali, che già si sono invitate ad un “tavolo salariale” con il dipartimento, senza nessuna discussione con gli insegnanti sui temi che abbiamo qui sollevato.