La stampa di mezzo mondo si è concentrata sulle vicende personali di Hollande; ha così messo in secondo piano il contenuto della conferenza stampa che il presidente francese ha tenuto lo scorso 21 gennaio; una conferenza stampa nel quale egli ha ripreso, precisandoli, gli orientamenti di fondo già emersi in recenti sue comparse pubbliche: e cioè la sua volontà di confermare ed approfondire la politica che sta portando avanti fin dalla sua elezione, una politica ad esclusivo beneficio delle grandi imprese.
Il dibattito sorto attorno a questa presunta “svolta” è apparso subito surreale: chi si interrogava se Hollande fosse ancora “socialdemocratico” o se non fosse diventato “social-liberale”, facendo in questo modo venir meno quella che si presumeva essere la particolarità del PS francese, sempre più a “sinistra” di tutti i cugini europei.
Ma ragionare in questi termini significa negare la realtà della pratica politica concreta. Basti pensare alla nuova riforma delle pensioni, che continua quella già avviata da Sarkozy; una riforma costata ben 16 miliardi ai salariati. Nello stesso tempo il governo concedeva alle imprese (nell’ambito della promozione della loro competitività, sgravi fiscali per 20 miliardi. Vi è stato poi il rifiuto di un aumento cospicuo del salario minimo legale, nonché la promessa che dal 2015 si potrà lavorare nei negozi anche la domenica.
Tutto questo è già avvenuto. Ma Hollande non si è accontentato. E così ha deciso di venire ulteriormente in soccorso ai padroni con 30 miliardi dollari “aiuti” supplementari per le imprese e mettendo in atto una nuova cura di austerità. Nel quadro del cosiddetto “patto di responsabilità”, Hollande vuole eliminare a partire dal 2017 i premi sugli assegni famigliari oggi a carico dei soli datori di lavoro : dai 30 ai 35 miliardi di euro di agevolazioni fiscali.
Queste nuove enormi concessioni avvengono senza alcuna contropartita. Anche se il governo promette di vegliare a che il padronato, in cambio di questa manna, si decida a fare uno sforzo in materia di occupazione, niente e nessuno di fatto lo obbligherà a farlo. D’altronde il sostegno già ampiamente ricevuto in passato non ha minimamente modificato l’atteggiamento padronale: e di fatto la curva della disoccupazione è aumentata paurosamente negli ultimi due anni in Francia, ormai giunta non molto lontana dalla fatidica cifra di cinque milioni di disoccupati.
In altre parole non solo Hollande serve la solita minestra riscaldata neoliberale per la quale minori oneri sociali e fiscali alle imprese si tradurrebbero in maggior investimenti che, a loro volta, comporterebbero maggiori posti di lavoro, mettendo in atto un ciclo virtuoso; ma il contesto nazionale ed internazionale ci dà ampi e chiari segnali che questa dinamica non ci sarà.
Con questa ulteriore accelerazione della propria politica Hollande mette in atto una politica assai simile a quella che i suoi correligionari social-liberali hanno condotto e conducono in tutta Europa: dall’Italia del PD di Renzi e del governo di coalizione di letta a quello, pure di coalizione, in azione in Germania.
Una politica che ormai si muove tutta all’interno della logica del capitale; che mette in atto politiche atte a valorizzarlo condannando i salariati alla disoccupazione e alla povertà di massa. Non sorprende naturalmente che questi partiti siano ormai ridotti al minimo e che i loro consensi elettorali tendano a diminuire, purtroppo favorendo in questo modo l’emergenza di correnti populiste e xenofobe che tentano di indirizzare verso risposte identitarie e xenofobe la crisi sociale che queste politiche tendono giorno dopo giorno ad approfondire.