Ucraina : quale vittoria?

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proteste-ucrainaQuasi 80 morti sul selciato di piazza Maidan, diventati martiri di tutto un popolo in rivolta, hanno fatto cambiare atteggiamento a buona parte dell’apparato politico e di polizia del presidente Yanukovych, spingendolo a schierarsi “dalla parte del popolo”. È questa la strada che conduce fuori dalla crisi?

Venerdì 21 febbraio il parlamento ha votato il ritorno alla Costituzione del 2004 contro l’evoluzione in senso presidenzialistico impresso dal regime, poi ha deciso la scarcerazione dell’oppositrice liberale Yulia Tymoshenko in prigione da due anni. Denunciando un “colpo di Stato”, Viktor Yanukovich ha abbandonato Kiev e sarebbe stato impedito di fuggire verso la Russia dalle guardie di frontiera, nella sua roccaforte di Donetsk. I deputati del Parlamento hanno proclamato la sua incapacità ad esercitare il potere.
Il nuovo presidente del parlamento Oleksandr Turchinov (un fedele di Yulia Tymoshenko) garantirà legalmente le funzioni di presidente ad interim in attesa delle elezioni previste per il 25 maggio. Un governo di “unità nazionale” dovrebbe essere nominato entro martedì.
Siamo di fronte alla fine della crisi aperta lo scorso novembre?

Una crisi multiforme
Anche se innescata dal rifiuto del presidente ucraino di firmare un accordo di associazione con l’UE (Unione europea), la crisi in realtà non ha visto schierati due fronti caratterizzati da programmi opposti in modo chiaramente definito, cioè “filo-russo” contro “pro-UE”. Da un lato, gli interessi economici che stanno dietro le sigle dei diversi partiti sono assai confusi: il Partito delle Regioni (quello del presidente) aveva condotto una campagna a sostegno dell’accordo con l’UE ; dal canto suo la “liberale” Yulia Tymoshenko, originaria di Dnepropetrovsk, nella regione dell’est russofono, si dice sia molto rispettata da Putin ed ha concluso parecchi affari con la Russia.
Inoltre, il Paese – nonostante le sue reali divisioni linguistiche regionali, religiose, storiche e politiche – è per lo più assai attaccato alle proprie conquiste democratiche e alla sua indipendenza nazionale, anche nella zona russofona. Infine, contrariamente alla “rivoluzione arancione” del 2004, la mobilitazione popolare ha un atteggiamento di sfiducia nei confronti di tutti i partiti politici parlamentari. In particolare, val la pena ricordare come la mobilitazione si sia sviluppata massicciamente nel dicembre 2013 come reazione alla violenza dei Berkuts (le forze di sicurezza), esprimendo preoccupazione verso un regime sempre più presidenziale, retto da una “famiglia” oligarchica, e il timore che un riavvicinamento a Mosca potesse aggravare ulteriormente queste caratteristiche del regime
Un’illustrazione esemplare di questa confusa situazione: il voto, in gennaio, delle leggi repressive nell’ambito di un grande disordine parlamentare – e, poi, la loro ritiro – il quale sono seguite continue richieste di intervento dell’esercito e di “fermezza” contro le occupazioni di edifici pubblici; tuttavia questi ultimi sono stata spesso occupati senza suscitare scontri, in molte città addirittura con il sostegno delle forze di sicurezza del regime …
Infine, in assenza di una alternativa di sinistra credibile – rafforzata anche dalle divisioni sull’atteggiamento da adottare nei confronti di questo movimento – il peso dell’estrema destra (soprattutto nella parte occidentale e centrale del paese) ha ulteriormente confuso le carte di un’ampia mobilitazione popolare che ha espresso una concreta simpatia per il coraggio dei giovani che hanno affrontato gli odiati Berkuts.

 

Fine della crisi o aumento del rischio di separatismo?
La settimana di violenza sanguinaria ha di fatto permesso la vittoria della prospettiva dei manifestanti favorevoli alle dimissioni immediate del presidente Yanukovych e di modifiche costituzionali. Questa è prima di tutto la loro vittoria, pur restando estremamente confuse le prospettive future.
L’Ucraina è sull’orlo del fallimento. Le sue riserve valutarie equivalgono a due mesi di importazioni. L'”aiuto” dell’FMI avrebbe conseguenze sociali esplosive. Il prestito russo di 11 miliardi di euro e la promessa di una diminuzione dei prezzi del gas sono congelati fino alla formazione di un governo – con le minacce russe di misure protezionistiche contro le importazioni ucraine nel caso in cui Kiev firmasse un accordo con l’ UE. Gli Stati Uniti ed i diplomatici europei affermano di voler coinvolgere la Russia nella ricerca di soluzioni: la situazione sarebbe dunque cambiata dallo scorso novembre?
L’integrazione del partito Svoboda – il cui nazionalismo etnico valorizza l’Ucraina “europea” contro la non-Ucraina “asiatica” di lingua russa – nel “governo di unità” aggrava in modo drammatico il rischio di scontro nel paese, fino in Crimea: i Tartari, in passato espulsi da Stalin, hanno sostenuto la rivolta di Maidan contro i Russi (60% della popolazione) in una penisola che è anche una base militare di Mosca. La secessione del paese non è quindi esclusa, pur essendo questa ben lontana dalle aspirazione popolari.

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