Pubblichiamo l’intervento con quale Matteo Pronzini ha motivato il voto contrario dell’MPS all’adesione del Ticino al Concordato sulle scuole universitarie del 20 giugno 2013 approvato dal Gran Consiglio pochi giorni fa.
Un intervento nel quale si affronta il tema più generale del futuro del sistema universatario svizzero. (Red)
L’Accordo in questione, sostenuto da tutti i membri della commissione speciale scolastica del Gran Consiglio, è un tassello fondamentale nell’applicazione della Legge federale sulla promozione e sul coordinamento del settore universitario svizzero (LPSU) che entrerà in vigore a partire del 1° gennaio 2015. Questa legge vuole accelerare quel processo di ristrutturazione del panorama delle scuole superiori svizzere cominciato più di un decennio fa con la ratifica da parte della Confederazione dell’Accordo di Bologna. Tale accordo ha instaurato un mercato dell’educazione a livello europeo, in cui i vari istituti universitari, « erogatori di conoscenze », hanno il compito di formare una futura manodopera sempre più flessibile e altamente qualificata al fine di soddisfare dei non meglio precisati « bisogni economici ». Queste disposizioni implicano:
a) il finanziamento delle scuole superiori in conformità a mandati di prestazione che favoriscono la messa in concorrenza delle diverse unità di studio;
b) la promozione di una classe imprenditoriale universitaria nelle alte scuole attraverso lo sviluppo di uno “spirito imprenditoriale” e di un partenariato pubblico-privato nella ricerca e nell’insegnamento;
c) la formazione di gruppi di ricercatori in grado di raccogliere fondi esterni per finanziare i loro progetti di ricerca.
Parallelamente, i pochi strumenti democratici che esistono nelle scuole superiori vengono indeboliti attraverso una verticalizzazione del processo di presa di decisione negli istituti accademici che si traduce nel rafforzamento del ruolo degli organi esecutivi (rettorato, direzione, ecc.) a scapito degli organi collegiali e partecipativi (assemblee, senato accademico, consigli dei professori, ecc.). Un processo che abbiamo potuto già ampiamente constatare nelle strutture universitarie cantonali USI e SUPSI. A tutto questo si aggiunge un processo di individualizzazione degli studi, che si fondano ormai sempre più sul mito di un’educazione di qualità, concepita come un investimento in “capitale umano” che permetterebbe di beneficiare di una qualità di vita migliore alla fine del percorso di studi.
Ebbene, questi principi sono già visibili da qualche anno nel panorama dell’educazione superiore svizzero. La LPSU non fa altro che istituzionalizzarli nell’ambito di un quadro nazionale basato sulla gerarchizzazione degli istituti di studio superiori. A questi ultimi viene chiesto di conformarsi a determinate disposizioni quali:
1) Un finanziamento delle Alte scuole basato sulle prestazioni e sui risultati di queste ultime. In questo modo, a ogni istituto viene chiesto di profilarsi rispetto agli altri loro concorrenti offrendo delle formazioni sempre più specifiche che rispondono a una strategia delineata dai rappresentanti degli organi esecutivi degli istituti e dei personaggi designati dalle autorità cantonali che rappresentano sempre più spesso gli interessi padronali. Basti pensare alla recente nomina alla testa del consiglio d’amministrazione della SUPSI del direttore ticinese della banca Credit Suisse Alberto Petruzzella o leggere i curriculum dei membri eletti nelle diverse istituzioni universitarie per rendersene conto. Per quanto riguarda la ricerca, solo i progetti considerati redditizi verranno presi in considerazione (eccolo il vero senso della qualità della ricerca !).
Tutte queste indicazioni minacciano la pluralità dell’insegnamento e della ricerca che dovrebbe basarsi sulla collaborazione tra le discipline scientifiche piuttosto che sulla loro messa in concorrenza ! I numerosi casi di soppressioni di unità di studio o di facoltà che negli ultimi anni colpiscono i diversi cantoni universitari (vedi i casi di Basilea, Ginevra e Friburgo) sono un esempio concreto degli effetti nefasti di questo sistema. Questa dinamica viene ulteriormente accelerata da una politica pubblica di rigore finanziario e di austerità adottata da un numero sempre maggiore di cantoni che non risparmia le spese consacrate all’educazione. In questo modo la ricerca di fondo terzi (leggasi « privati ») viene sempre più presentata come una necessità per il buon funzionamento degli istituti.
2) Questo tipo di finanziamento esige una precisa forma di organizzazione delle Alte scuole. I cosiddetti organi esecutivi dispongono di un potere sempre più grande in termini di definizione delle politiche e delle strategie universitarie nonché della gestione interna della vita degli istituti (nomina dei professori, soppressione unità di studio, ecc.). Questa concentrazione del potere nelle mani di una cerchia ristretta di persone rispecchia l’ordine tecnocratico di un’istituzione, quella universitaria, sempre più anti-democratica e simile a un consiglio di amministrazione di una qualsiasi grande impresa commerciale. L’introduzione di organi comuni di gestione e di coordinamento del panorama universitario svizzero previsti dalla LPSU quali la Conferenza svizzera delle scuole universitarie, la Conferenza svizzera dei rettori delle scuole universitarie e il Consiglio svizzero di accreditamento non fanno altro che rafforzare questa logica direttiva a scapito di una gestione partecipativa che rispecchi la pluralità dei soggetti che compongono il mondo accademico : studenti, professori, ricercatori e personale tecnico e accademico.
3) Infine, la LSPU istituzionalizza quello che nella pratica è già da tempo un panorama universitario profondamente gerarchico dove il ruolo di punta è giocato dai due politecnici federali e da altri poli d’eccellenza quali le facoltà di economia a San Gallo, il Diritto a Friburgo e Berna, le scienze a Zurigo e Basilea, nonché da altri istituti quale per esempio l’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra. In questo quadro, le Alte scuole professionali rappresentano sempre più il prolungamento naturale dell’apprendistato che risponde al bisogno di mano d’opera formata in settori quali quello della salute e dell’insegnamento. In queste scuole, il potere degli ambienti economici sugli orientamenti pedagogici e didattici è ancora più importante e evidente. Inoltre, i criteri restrittivi di accesso alle differenti filiere di studio, nonché le tasse di studio sempre più elevate per le scuole accademiche (e in Ticino ne sappiamo qualcosa), rafforzano la selettività sociale degli istituti accademici svizzeri e perpetuano questa discriminazione sociale nell’accesso allo studio.
Questi elementi previsti dalla LSPU si inseriscono in un contesto in cui il diritto alla formazione è ben lungi dal essere una realtà:
1. La Svizzera dispone di un sistema di educazione superiore tra i più selettivi dei paesi dell’OCSE. Più di un terzo degli studenti delle scuole universitarie (36%) ha almeno uno dei due genitori con un titolo universitario, mentre solo il 9% dei genitori non possiede una formazione post-obbligatoria. Se si analizza meglio questo dato, vediamo che nelle università il 42% degli studenti ha genitori che hanno seguito studi universitari, mentre solo il 23% nelle alte scuole.
2. Nonostante questa selezione,ben il 77% degli studenti esercita un’attività lucrativa parallela agli studi per coprire circa la metà delle spese per la formazione.
3. Coloro che ricevono una borsa di studio sono solo l’8% dei circa 600’000 studenti che frequentano le scuole post-obbligatorie (numero in aumento negli ultimi anni). Eppure, l’evoluzione della somma globale degli aiuti allo studio è diminuita del 6% nel periodo 1999-2011. La proporzione del PIL destinata alla formazione (a tutti i livelli) è ferma negli ultimi dieci anni (è al 5%) ed al di sotto della media OCSE (circa il 6%). In Gran Bretagna, paese conosciuto per aver adottato una approccio neoliberale in materia di politiche dell’educazione, questa percentuale supera il 6%.
Inoltre, nell’attuale contesto di crisi economica e sociale su scala internazionale, si ridiscute del diritto all’educazione (vale a dire il diritto di poter disporre liberamente di una educazione di qualità e gratuita a tutti i livelli) ci si interroga sul ruolo e sull’importanza dell’educazione nella società. Di fronte a una disoccupazione giovanile di massa e all’esplosione di forme di lavoro precario, le responsabilità politiche si traducono, guarda caso, in responsabilità individuali. I giovani e i meno giovani sarebbero i colpevoli della loro stessa condizione di disoccupati o di precari. A loro viene rimproverato di avere scelto un percorso di studi inadeguato rispetto alle esigenze del mercato. Un maggior spirito di imprenditorialità, nuovi percorsi di formazione e di apprendimento sono dunque le ricette proposte da coloro che questa crisi l’hanno causata, i padroni e i loro rappresentanti politici.
Di fronte a questa dinamica, l’MPS rifiuta l’adesione alla LSPU ! Infatti, essa rafforza un’organizzazione tecnocratica e verticista degli istituti accademici e subordina la conoscenza alla concorrenza e alla legge del profitto. L’educazione è un bene collettivo troppo prezioso per lasciarlo nelle mani di chi ha creato questa crisi e di chi tenta di colpevolizzare le fasce più deboli della popolazione per la loro condizione di indigenza !
Approfittiamo di quest’occasione per ribadire che in Ticino venga fatto valere il mandato pubblico dei due maggiori istituti universitari cantonali, la SUPSI e l’USI di modo da :
– favorire un’educazione che sia egualitaria, pluralista e democratica ;
– diminuire le tasse scolastiche in particolar modo per l’USI, la scuola universitaria più cara della Svizzera ;
– favorire un aumento dell’ammontare cantonale per le borse di studio conformemente all’aumento del numero di studenti che intraprende gli studi universitari ;
– introdurre criteri che impediscano o che limitino fortemente i conflitti d’interesse tra il settore privato e la gestione delle scuole universitarie al fine che l’educazione e la ricerca possano essere organizzate in modo da poter servire a tutti gli interessi della società, e non esclusivamente a quelli delle aziende private ;
– il potenziamento degli organi collegiali degli istituti accademici che passa per un l’articolazione dell’aumento del numero generale dei suoi membri e di una loro rappresentanza paritaria.