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fatmaBuongiorno!
Compagni della rete di solidarietà con le lotte nei paesi del Maghreb e del Machrek a New York, vorrei ringraziarvi per avermi invitata a fare questo discorso via Skype [l’8 febbraio 2014] e, più ancora, per la vostra solidarietà con le rivoluzioni arabe. Voglio parlarvi della situazione del movimento dei lavoratori nel quadro d’insieme della rivoluzione egiziana, più specificamente del periodo che si è aperto il 30 giugno 2013.

Il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori non è disgiunto dalla rivoluzione egiziana. Nel momento in cui questa fa fronte, com’è il caso oggi, a una congiuntura critica, mentre la controrivoluzione prende slancio e capacità di mobilitare persone sulla base di un attacco isterico contro la rivoluzione, è fin troppo normale che questo si ripercuota sul movimento delle lavoratrici e dei lavoratori.
In realtà, il golpe del 30 giugno o, più esattamente, il golpe del 3 luglio ha colpito in modo negativo il movimento dei lavoratori. Sotto lo slogan “nessuna voce deve alzarsi sopra la battaglia” e nel contesto della “guerra al terrorismo”, le rivendicazioni popolari e sociali non sono tollerate.
Sebbene non sia disponibile nessuna statistica attendibile, è evidente che il numero delle proteste sociali sia significativamente diminuito dopo il 30 giugno. I lavoratori, le cui richieste non hanno un carattere “di vita o di morte” sono disposti a ritardarne la soddisfazione, attendendo che le cose vadano meglio quando la stabilità sarà restaurata, come si ripete loro continuamente. Ci sono però lavoratori per cui la pazienza è un lusso che non si possono permettere: in particolare quelli che hanno perso il lavoro e quelli che non vedono aumenti salariali da mesi (a volte da un anno o due), com’è il caso a Samanoud (tessile) o a Beheira, tra gli altri.
Questi lavoratori conducono battaglie difensive. Rispondono ad attacchi portati dai datori di lavoro. Tentano di conservare quanto hanno conquistato con le lotte degli anni precedenti. Così, gli scioperi e i sit-in ai quali assistiamo dal 30 giugno sono prima di tutto destinati a restaurare diritti o conquiste precedenti. Questo riguarda anche conflitti attorno alla parte della massa di profitti che dovrebbe tornare ai lavoratori, com’è stato il caso alla Iron and Steel Company a Helwan, dove si è recentemente svolto uno sciopero che ha avuto un successo relativo. I datori di lavoro, compresi quelli che realizzano grossi profitti, tentano di mettere in questione le conquiste dei lavoratori. Dichiarano esplicitamente ai lavoratori e alle lavoratrici: “È venuto il nostro momento”!
In effetti, il periodo che si è aperto dopo il 30 giugno (3 luglio) sembra essere un periodo di “regolamento di conti” con il movimento dei lavoratori in generale. Abbiamo visto, per esempio, casi in cui i lavoratori sono stati puniti per uno sciopero che avevano lanciato mesi prima! Nella fabbrica di zucchero di proprietà di Naguib Sawiris [una delle famiglie più ricche d’Egitto, che ha studiato all’EPFZ, conosciuto soprattutto per il gruppo di telecomunicazioni Orascom, fondato da suo padre], i lavoratori sono stati licenziati in agosto per uno sciopero che si era svolto in aprile. Non è un caso isolato, al contrario: è quanto accaduto in diverse imprese.
Siamo anche stati testimoni di un netto cambiamento nel comportamento del governo dopo il 3 luglio. Anche se pretende di essere “il governo della rivoluzione”, esso non si è mai schierato a fianco dei lavoratori nei loro conflitti con i datori di lavoro, anche quando le rivendicazioni in questione erano assolutamente legali. Il governo ha utilizzato i datori di lavoro contro i lavoratori. Rifiuta di svolgere un ruolo normale e legale. Un esempio è l’atteggiamento tenuto dal Ministro del lavoro.
Il governo, in realtà, non si astiene solamente dal suo dovere legale verso i lavoratori, ma mette anche in atto politiche ostili agli interessi dei lavoratori e al loro movimento. Prendiamo ad esempio la nuova legislazione sul salario minimo, presentata come una vittoria della rivoluzione e della causa della giustizia sociale. Se si esamina la realtà più da vicino, si nota che è tutta una menzogna. Il salario minimo si applica, prima di tutto, solo agli impiegati/e del settore pubblico, secondo quanto afferma il governo stesso. Inoltre, dando uno sguardo alle restrizioni e alle eccezioni che la legislazione contiene, si arriva alla conclusione che a beneficiarne saranno appena due milioni sui sei milioni di dipendenti del settore pubblico.
Per quanto riguarda il settore privato, che impiega più di due terzi dei 26 milioni di lavoratori d’Egitto, i datori di lavoro non hanno alcun obbligo di rispettare il salario minimo. I datori di lavoro esigono numerose concessioni dal governo (altri attacchi ai diritti dei lavoratori) in cambio del rispetto il salario minimo, compresa la riduzione dei premi padronali a favore dei lavoratori in materia di sicurezza sociale e il cambiamento della legge sul lavoro in modo da facilitare ancora di più i licenziamenti.
È particolarmente triste che l’attuale Ministro del lavoro, Kamal Abu Eita, un ex dirigente dell’Egyptian Federation of Independent Trade Unions (EFITU) in questo momento stia elaborando un nuovo progetto di legge sensibilmente peggiore della legislazione esistente!
Al contempo, il governo si astiene dall’applicare la legge sulla libertà sindacale. Al suo posto, continua a mantenere in vigore la legge contro gli scioperi, messa in applicazione dal Consiglio supremo delle forze armate nel marzo 2011, e restringe ulteriormente il diritto a manifestare attraverso la sua recente legislazione contro le manifestazioni.
I lavoratori vengono licenziati più spesso di prima. Altre forme d’oppressione assumono una dimensione sempre maggiore. I lavoratori delle acciaierie di Suez, il cui sciopero è cominciato prima del 30 giugno, sono stati attaccati dall’esercito. I lavoratori del petrolio in sciopero ad Alessandria hanno visto il loro datore di lavoro chiedere i servizi di un’agenzia di sicurezza che usa cani poliziotto per reprimere la loro lotta. Nonostante gli appelli dei lavoratori, il governo non è intervenuto.
Abbiamo anche assistito a un rifiuto generale di accettare le rivendicazioni dei lavoratori. Di conseguenza, gli scioperi tendono a essere più aspri e più lunghi. Nel corso dello sciopero – che ho già menzionato – i lavoratori del petrolio di Alessandria hanno rivendicato invano la loro parte, legalmente stabilita, dei profitti.
Per quanto riguarda la Costituzione recentemente entrata in vigore, malgrado la propaganda che la circonda, essa è, dal punto di vista dei lavoratori, persino peggio della Costituzione varata a suo tempo da Morsi. Quest’ultima conteneva disposizioni sulla rappresentazione dei lavoratori nelle due camere del parlamento e prevedeva la creazione di un Consiglio economico e sociale come forum generale di negoziazioni tra i lavoratori e i datori di lavoro. Queste due disposizioni sono ormai state abolite.
Questo non ha impedito ad Abou Aïta d’incitare i lavoratori a votare a favore della Costituzione, usando a tal fine la macchina dello Stato. Ancora una volta, la giustificazione è stata: “nessuna voce deve alzarsi sopra la battaglia” e che ci troviamo al centro di una “guerra al terrorismo” dalla quale i disaccordi e la dissidenza sono esclusi. Restauriamo prima di tutto la stabilità, prosegue questo tipo di ragionamento, e poi vedremo.
I sindacati indipendenti, uno dei frutti più importanti della rivoluzione egiziana, sono marginalizzati. Ci sono tentativi che mirano a snaturarli, a fare di loro una nuova versione della vecchia federazione burocratizzata, agli ordini del governo. La pluralità sindacale è vuotata di ogni contenuto.
In occasione di una recente manifestazione di lavoratori a Port Saïd, difesa da un sindacato indipendente, i datori di lavoro hanno espressamente detto ai loro lavoratori: “Noi vogliamo negoziare con voi e sentire le vostre rivendicazioni, a condizione che rigettiate i sindacati indipendenti e smettiate di riferirvi a loro”. I datori di lavoro sono coscienti che i sindacati indipendenti, attraverso il loro attivismo, hanno già tessuto dei legami tra i lavoratori. Fanno del loro meglio per marginalizzarli.
Come ho dichiarato all’inizio, la rivoluzione egiziana nel suo insieme si trova in una congiuntura critica. Non c’è dunque nulla di strano nel fatto che i lavoratori e il loro movimento, in particolare i sindacati indipendenti, siano di fronte a tempi difficili.
In questo momento, l’esistenza stessa della rivoluzione egiziana e del movimento dei lavoratori è in gioco. Tutti gli scenari sono aperti.
Una prima possibilità è quella di una sconfitta, sebbene essa non durerà a lungo. Questa può prendere la forma di ulteriori divisioni e della cooptazione dei sindacati da parte del regime e dei datori di lavoro. Un’altra possibilità, molto migliore, è che i lavoratori, i quali dispongono oggi di una preziosa esperienza di lotta, ricostruiscano di nuovo i loro sindacati e le loro federazioni, in modo che diventino più rappresentative delle loro rivendicazioni. In diversi luoghi di lavoro, ci sono tentativi di riunirsi, di tenere assemblee generali, d’imparare dalle battaglie passate e dalle diverse esperienze. Il successo non è assicurato, ma la battaglia continua.
All’interno dell’EFITU, anche se la tendenza militante che chiama i sindacati a lottare nell’interesse dei lavoratori dal basso e di legare i loro interessi a quelli della lotta rivoluzionaria più ampia è sempre stata in minoranza, all’apice della lotta rivoluzionaria essa è riuscita a imporre la sua voce. Non è più il caso oggi. Altre strutture organizzative del movimento dei lavoratori fanno fronte alla stessa situazione. È evidente che oggi ci sono dei problemi strutturali significativi in tutti i tentativi di sindacalismo indipendente e militante in Egitto. Ciononostante, l’esperienza delle battaglie precedenti offre una possibilità di “distillare” le esperienze e di riconoscere quelle correnti che esprimono autenticamente le rivendicazioni e gli interessi dei lavoratori.
Malgrado tutte le difficoltà, andare avanti è la sola possibilità reale. Ciò necessita uno sforzo continuo e un duro lavoro. Ciò richiede anche solidarietà e scambi di esperienze.
Ci troviamo in una tappa in cui le federazioni indipendenti, come l’EFITU di cui sono membra, prendono posizioni negative e reazionarie contro i loro membri. I tentativi di criticare il governo o di esprimere solidarietà con i lavoratori in lotta sono soffocati all’interno dell’ufficio dell’esecutivo dell’EFITU.
Una ragione per essere comunque ottimisti è che l’atmosfera è molto diversa alla base. C’è attualmente un’ondata crescente di proteste sulla questione del salario minimo. Il movimento è particolarmente forte tra gli impiegati dello Stato che fanno l’esperienza delle menzogne e della propaganda governativa. Ci sono segni che il settore privato seguirà. Il movimento continuerà. Ma anche le pressioni violente contro di esso.
In ultima analisi, la sorte del movimento operaio è intimamente legata a quella della lotta rivoluzionaria nel suo insieme. Più il movimento largo sarà forte, più le lavoratrici e i lavoratori saranno incoraggiati a ribadire le loro rivendicazioni e a esprimerle con lotte più radicali. Allo stesso tempo, più il movimento dei lavoratori sarà sano e forte, più la lotta ampia sarà capace di proseguire e di approfondirsi.
Spero che riusciremo a resistere durante questa congiuntura critica. In questo momento stiamo affrontando accuse di tradimento, mentre proseguiamo la nostra lotta per la democrazia e la giustizia sociale. Ma quelli che oggi sono sotto l’influenza della propaganda favorevole ad Al-Sissi e degli appelli alla stabilità o alla necessità che la “ruota produttiva” giri scopriranno, presto o tardi, tutte le manipolazioni di cui sono vittime. Scopriranno che l’attuale regime è contro le masse e che esprime gli interessi dei ricchi e dei potenti della società.
La lotta continua! Grazie!

 

* La traduzione in italiano, dal francese, è stata curata dalla redazione di Solidarietà. L’intervento, di Fatma Ramadan,membro del comitato esecutivo della Federazione egiziana dei sindacati indipendenti (EFITU), è avvenuto via skype lo scorso 8 febbraio in occasione di un’attività di solidarietà a New York).