La crisi sociale che attraversa la Francia non poteva non manifestarsi nelle elezioni comunali delle quali si è tenuto il primo turno domenica scorsa. E non sarà necessario attendere il secondo turno per tirare perlomeno un primo bilancio di quello che questo risultato elettorale rappresenta da un punto di vista politico.
Il primo chiaro elemento è la pesante sconfitta social-liberale. Il PS (spesso alleato a Verdi e Partito Comunista Francese – come a Parigi o in altre importanti città francesi) subisce un vero e proprio tracollo, un tracollo che difficilmente può essere addebitato alla tradizionale tendenza elettorale che vede i vincitori delle elezioni presidenziali essere “puniti” negli scrutini successivi (qualsiasi sia la natura di queste elezioni).
Bastava vedere qualche intervista a semplici salariati elettori di sinistra da decenni ed ora migrati elettoralmente verso la destra UMP o il Front National per cogliere la delusione, profonda, verso un governo social-liberale che non ha affrontato alcuna delle emergenze economiche e sociali che questi salariati si trovano ad affrontare. Chiedono, costoro, un cambiamento e si illudono di trovarlo nelle promesse soprattutto di Marine Le Pen e del FN. Ma non sperano più nulla nel partito di François Hollande, memori che costui aveva vinto le elezioni presidenziali all’insegna dello slogan “il cambiamento è adesso”. Disoccupazione, povertà, crisi sociale sempre più profonda: è questo il cambiamento realizzato in questi ultimi due anni di governo social-liberale.
Il grande vincitore, non vi sono dubbi, è il FN di Marie Le Pen. Esso è riuscito a radicarsi elettoralmente e socialmente in tutto il paese: basti dire che la sera del primo turno il FN si era già assicurato 456 eletti nei consigli comunali partendo praticamente da zero: non vi sono dubbi che l’obiettivo di un migliaio di eletti fissato dal FN verrà raggiunto domenica prossima.
Il FN toglie sicuramente consensi all’UMP, ma sicuramente guadagna voti in settori popolari, tradizionalmente legati alla sinistra. Basti pensare al successo nel Sud della Francia o ancora nel Nord, tradizionalmente operaio e progressista.
Marine Le Pen è senz’altro riuscita a combinare un discorso de denuncia della classe politica locale (spesso corrotta e coinvolta in scandali, indipendentemente dal suo colore politico), della sua incapacità a dare risposte sul terreno economico e sociale alla crisi che attraversano molte comunità urbane; allo stesso tempo è riuscita a costruire un discorso identitario, nazionale e sovranista che ha individuato nell’Unione europea, nella sua politica e nella sua moneta gli elementi scatenanti della crisi sociale vissuta dal paese.
Non vi sono dubbi che la politica concordata a livello europeo sia un elemento di aggravamento della crisi capitalistica complessiva; e non vi sono dubbi che, di fronte ad una sinistra social-liberale che applica in modo attivo questa politica pro-ciclica difesa dall’UE, dalla BCE e dall’FMI, sia stato facile per il FN costruirsi un’immagine di partito difensore degli interessi economici, sociale ed occupazionali dei francesi, di fronte all'”ingerenza” di Bruxelles.
In un paese come la Svizzera conosciamo bene questi meccanismi che hanno portato alla crescita ed ai successi elettorali e politici dell’UDC
Infine, a testimoniare della crisi complessiva di un sistema politico (una riflessione che questa che potrebbe essere allargata anche ad altri paesi capitalisti europei) la crescita ulteriore dell’astensione. Una crescita che, in soli vent’anni, è praticamente raddoppiata raggiungendo oggi il 40% dell’elettorato. Se teniamo conto che molti francesi non sono nemmeno più iscritti nelle liste elettorali possiamo affermare che solo poco più del 50% degli aventi diritto di voto ha partecipato a questo scrutinio.
Una disaffezione, per usare un’espressione cara agli analisti di cose politiche, che invece altro non è che la crisi di un sistema politico che riesce a nascondere sempre meno la propria rappresentatività; ma anche la percezione, sempre più diffusa, che il potere, quello determina le nostre vite, non si trova nei palazzi governativi, nei parlamenti, nelle commissioni varie. Che questo potere politico è sostanzialmente al servizio di coloro che, forti del potere economico e finanziario, decidono i nostri destini.
È più che mai necessario, in Francia come altrove, tradurre questa “disaffezione”, questa percezione che il potere è altrove, in una volontà di lotta e di mobilitazione per cambiare veramente le cose. È solo la via della contestazione sociale radicale e di massa che potrà aprire la strada ad una contestazione politica del sistema, compreso il terreno elettorale.
È, ci pare, questa via che stanno perseguendo i nostri compagni francesi del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA) che, malgrado apprezzabili risultati conseguiti sia da soli sia in alleanza con altre forze della sinistra radicale, stanno mettendo nettamente la priorità alla giornata della collera della sinistra del prossimo 12 aprile.