I quotidiani ticinesi hanno annunciato l’intenzione dell’ALVAD (Associazione Locarnese e Valmaggese di aiuto a domicilio) di seguire la strada della disdetta del Contratto di lavoro per il personale occupato presso i Servizi di assistenza e cura a domicilio (SACD) già imboccata dal loro omologo luganese (SCUDO).
Al di là della questione delle pesanti conseguenze che avrebbe sugli addetti del settore e sulla risposta che metteranno in campo i sindacati per combattere questo attacco frontale alle condizioni di lavoro di questa categoria di lavoratori, questa notizia ci interroga su almeno altre due questioni.
In primo luogo ci permette di ritornare sulla tematica del dumping salariale e della sua applicazione concreta nel mondo reale (e non solo nelle fantasie di taluni) da parte di padronato, autorità e, per stoltezza e ingenuità, dei sindacati.
In secondo luogo sulle conseguenze future per i salariati del settore nel processo di privatizzazione in corso nel settore della sanità.
Sanità pubblica e privata
Quanto sta succedendo nel settore delle cure a domicilio deve essere in primo luogo letto nel contesto più ampio dell’accelerazione in atto nella privatizzazione della sanità in Svizzera. Accelerazione che è fatta non solo di aumento della parte di cure frontale dal privato come sta avvenendo del resto anche in Ticino con la nuova pianificazione ospedaliera, ma anche con il cambiamento di logica in atto all’interno di questo mondo. Infatti, il cambiamento di paradigma da fornitore di un servizio sanitario pubblico a degli utenti a quello di fornitore di un servizio a dei clienti modifica profondamente le logiche sottostanti a tutti gli attori del settore. A Neuchâtel si è già visto cosa significa per i lavoratori del settore passare da un ospedale pubblico a uno privato, naturalmente con il beneplacito delle autorità politiche di tutte le sfumature di colore del panorama politico istituzionale svizzero. Ma questa logica che in Ticino ha già fatto capolino alla fine dello scorso anno con l’esternalizzazione di alcuni servizi dell’ARS medica (a nuove condizioni di lavoro naturalmente) si ripresenta prepotentemente sulla scena cantonale con le disdette del SACD in Ticino.
Accordi bilaterali e dumping salariale
È evidente che lo scopo di queste disdette è quello di peggiorare le condizioni di lavoro dei salariati del settore adattandole al nuovo livello salariale di base dato dagli effetti degli accordi bilaterali. È bene ricordare a questo punto cos’è in sostanza il salario. Il salario di un lavoratore è in ultima istanza la remunerazione del solo lavoro socialmente necessario alla sua sussistenza, secondo il tenore di vita tradizionale in un luogo geografico storicamente determinato. In questo senso l’avvento dei bilaterali e la liberalizzazione del mercato del lavoro in Ticino non ha fatto che assimilare il Ticino a un mercato molto più ampio del lavoro che è la vicina Lombardia, dove il salario inteso come sopra è decisamente più basso di quanto lo sia in Ticino. Se questa è la situazione odierna è evidente che le condizioni di base per una situazione di dumping salariale sono date. Non c’è quindi da stupirsi se la tendenza dei salari di riferimento è al ribasso in Ticino.
Nuovi salari di riferimento nel settore socio-sanitario
Come dicevamo poc’anzi, la nuova logica dominante nel settore sanitario è quella del privato e della valorizzazione del capitale. Ne deriva che, come tutti i padroni, in un periodo storico come questo il mantenimento di un tasso di profitto interessante, a fronte anche delle pressioni tariffarie in atto nel settore sanitario, non può che passare da una compressione dei salari reali versati al personale.
È quello che è già successo a Neuchâtel, che sta succedendo all’ARS medica e che potrebbe succedere nel settore delle cure a domicilio e nella sanità tutta se non si inverte la rotta.
Il Contratto Normale di Lavoro come strumento istituzionale per fare dumping?
Per fare questo il padronato ha trovato nel Contratto normale di lavoro, riportato in auge con le misure di accompagnamento, uno strumento fantastico. In primo luogo perché ha un carattere legale e quindi un livello di legittimazione molto alto, indipendentemente dalla legittimità reale che può derivare dalle condizioni di salario e lavoro che garantisce. Ma anche perché, essendo emanato da una commissione tripartita, lega automaticamente le mani a tutti gli attori istituzionali in campo (sindacati e social-liberali compresi). L’ALVAD l’ha ben capito e giustamente (dal suo punto di vista) lo afferma: “in passato avevamo già vissuto senza il CCL, con un semplice contratto normale di lavoro, che non ha assolutamente dato alcun problema con i collaboratori e le collaboratrici”.
Per loro di problemi non ce ne sono sicuramente anche perché a tutt’oggi il Contratto Normale di Lavoro di riferimento sarebbe quello del personale domestico che garantisce unicamente un salario di fr. 2970.- al mese. È quindi evidente che è questo l’orizzonte a cui loro puntano e che non fa che avvicinarsi sempre di più a quello (fr. 3000.–) che può essere definito il nuovo un salario legale insubrico visto dalla nostra parte della ramina.
Contratti normali di lavoro e salari d’uso
Potremmo anche andare oltre dicendo che questo modo di procedere è perfettamente compatibile anche con dei futuri scenari senza accordi bilaterali. Infatti, nel regime di regolazione precedente, in mancanza di contratti collettivi di lavoro, per la concessione di nuovi permessi di lavoro si verificava la conformità dei salari minimi con quelli dei contratti normali di lavoro in vigore e, in assenza di questi, con i salari d’uso. È palese per tutti che, in assenza di un CCL e di un probabilmente comunque inutile se non dannoso CNL, il nuovo salario d’uso in Ticino tenderà ai fr. 3000.—al mese. Quindi chi si muove in questa logica di smantellamento dei contratti collettivi di lavoro sa già che l’attuale dibattito sulle conseguenze dell’ultima votazione federale non inficia in alcun modo la sua strada.
Marxismo, padronato e social-liberali
In un intervista pubblicata sul Corriere del Ticino l’ex-Consigliere di Stato Pietro Martinelli taccia Christoph Blocher di essere marxista. Al di là del fatto che come marxisti non possiamo che ritenerla un’offesa e una dimostrazione plateale di analfabetismo politico di ritorno, a parte questo, in un certo senso Martinelli ha ragione. Benché Blocher non sia per nulla marxista, parte, da buon padrone cosciente della sua posizione di classe, dai suoi interessi materiali per leggere la realtà presente e le prospettive future e per costruire poi, cosa in cui l’UDC è molto abile (checché ne dica Martinelli) “le idee e la cultura che cambiano il mondo”. I risultati dell’ultima votazione sono lì per dimostrarlo!
Ma forse non ci resta che un’ottica di nuovo hegelianismo per leggere la posizione dei social-liberali (liberalismo che Martinelli stesso rivendica con fierezza -in opposizione a un presunto antiliberalismo di Blocher- in questa intervista) nei confronti della questione dei bilaterali.
Il necessario ritorno dei lavoratori sulla scena
Ripartiamo quindi da Marx per guardare al futuro. Nella Sacra Famiglia Marx diceva che “le idee non possono realizzare nulla. Per realizzare le idee, c’è bisogno degli uomini, che mettono in gioco una forza pratica.” È appunto da qua che bisogna ripartire per condurre la lotta dei salariati contro il dumping salariale. Questo significa andare sui luoghi di lavoro e interagire e organizzare lavoratori e utenti del servizio pubblico sanità per organizzare la lotta per una un servizio pubblico di qualità a tutti i livelli. Gli esempi ci sono anche in Europa, basterebbe pensare al movimento della Marea bianca in Spagna che è riuscito a bloccare l’ondata di privatizzazioni in atto nel settore sanitario costruendo appunto nell’azione, con metodi sindacali non burocratici, una grande convergenza tra lavoratori e utenti del settore sanitario. Movimento passato inosservato alle nostre latitudine, compreso sulla stampa sindacale.
O si imbocca questa via o ALVAD, SCUDO e consociati potranno presto annunciare: operazione riuscita: il paziente è morto!