Sta ormai giungendo al termine la procedura di consultazione in seno alle commissioni regionali che, una volta conclusa, permetterà al Consiglio di Stato di elaborare il messaggio sulla nuova pianificazione ospedaliera all’attenzione del Gran Consiglio che ne discuterà, verosimilmente, nel corso dell’autunno.
In queste ultimi settimane sono emersi diversi aspetti del progetto di pianificazione; tutti aspetti che hanno confermato le indicazioni fornite dall’MPS già a metà novembre quando abbiamo avviato la nostra campagna contro gli orientamenti di fondo di questa pianificazione: la chiusura, di fatto, degli ospedali di Faido e Acquarossa (in quanto ospedali di zona), l’apertura al settore privato (le cosiddette forme di collaborazione nel settore dell’ostetricia), l’assegnazione di alcune specialità sulla base di criteri che nulla hanno a che vedere con quelli proclamati come base della pianificazione (efficienza, competenze, ecc): significativo in questo ambito il destino della ortopedia e della chirurgia della mano.
Un attacco alla medicina di prossimità
La vicenda che ha finora attirato la maggiore attenzione è quella legata ai due ospedali di zona ( Acquarossa e Faido) che di fatto non saranno più degli ospedali. Diventeranno, ci viene detto, degli istituti di cura, cioè delle strutture di degenza per paziente che, con differenti gradi di disturbi, hanno terminato il loro percorso in un ospedale acuto e devono ora affrontare la fase di riabilitazione. Lo stesso destino di Acquarossa e Faido sarà riservato ad altre strutture (come l’ospedale di Castelrotto), in zone tuttavia dove l’offerta ospedaliera (pubblica e privata) è ben diversa da quella delle Tre Valli.
Corollari di questa trasformazione dei due ospedali saranno la chiusura dei due reparti di medicina di base (con una ventina di letti ognuno) , dei due pronto soccorso (entrambi gli ospedali hanno oggi un pronto soccorso di tipo B) e, per Acquarossa, la perdita anche del reparto di geriatria (circa 20 letti).
Un bilancio complessivamente pesante che significherà anche una perdita significativa di posti di lavoro (almeno la metà a nostro modo di vedere) sia a Faido (forse in forma più contenuta) che ad Acquarossa.
Ma il significato più profondo di queste eventuali scelte sta nella concezione che esse veicolano: e cioè l’idea che le strutture ospedaliere debbano forzatamente seguire le stesse logiche delle strutture produttive capitalistiche. E laddove la produzione capitalistica segue la logica della concentrazione e dell’efficienza dei costi, ecco applicare la stessa logica, corroborata inoltre da logiche concorrenziali interne, alle strutture ospedaliere. Naturalmente a costoro sfugge la differenza fondamentale che passa tra produrre, che so, rotoli di carta igienica e produrre cure per un essere umano. Non è evidentemente la stessa cosa. E la dimensione di un ospedale, la sua organizzazione, la sua specializzazione (non solo verso la medicina di punta ma anche, ad esempio, nella medicina di base e di prossimità) sono tutti elementi fondamentali nella cura di quella delicatissima macchina chiamato essere umano. È proprio il caso di ricordare che la nostra vita vale più di qualsiasi profitto (sia esso pubblico o privato).
Le aperture al privato
Non vi sono dubbi che con questo progetto di pianificazione il settore privato (già fortemente presente con il 40% dei letti nel settore ospedaliero cantonale – più del doppio rispetto al resto della Svizzera) esce rafforzato. Un rafforzamento fortemente voluto dal DSS di Paolo Beltraminelli, non a caso proveniente da una tradizione politica “amica” di questo settore ospedaliero privato.
Il modo in cui si è giunti alle “intese di collaborazione” tra gli ospedali dell’EOC di Lugano e Locarno da una parte e le cliniche private St.Anna e Santa Chiara dall’altra è significativo della dinamica nella quale ci si vuole avviare.
Come si ricorderà in una prima versione delle proposte pianificatorie (in settembre – decisione denunciata nella nostra prima presa di posizione pubblica) il settore pubblico (l’Ospedale regionale di Lugano e di Locarno) era stato escluso dall’assegnazione delle specialità legate all’ostetricia. Una mossa che mirava ad ottenere quanto poi realizzato: cioè obbligare il settore pubblico a negoziare una collaborazione con quello privato. Detto in altro modo: il cantone ha “obbligato” il proprio fornitore di un servizio pubblico fondamentale a dividerlo con un fornitore privato che, seppur agendo nel quadro della fornitura di un servizio al (e sottolineiamo questa proposizione che fa tutta la differenza) pubblico, agisce in una prospettiva diversa da quella in cui dovrebbe agire un servizio pubblico (anche qui il condizionale è d’obbligo visto gli sviluppi del servizio pubblico negli ultimi anni).
La prospettiva di collaborazione annunciata rappresenta quindi un ulteriore passo avanti nel rafforzamento del settore privato in materia di ostetrica e di neonatologia. Non vi sono infatti dubbi che l’attuale dotazione e capacità di intervento della clinica St.Anna sia limitata ad una ostetricia di base (per qualità delle strutture, per qualità della presa a carico, per la qualità ed il livello di specializzazione del proprio personale medico e infermieristico) e sia assai limitata per quel che riguarda la neonatologia.
Questa nuova collaborazione permetterebbe dunque al settore privato di “mettere i piedi” in ambiti finora di competenza del settore pubblico; ambiti nei quali saranno sempre più necessarie importanti risorse materiali e di personale i. Se poi questa collaborazione dovesse, come appare probabile, tradursi in una presa a carico della parte pubblica delle problematiche più complesse ed onerose finanziariamente (neonatologica, ostetricia complessa, ecc.) lasciando alla parte privata la gestione (crescente) dell’ostetricia di base e non complessa, sarebbe allora evidente l’interesse finanziario di tutta l’operazione per l’attore privato coinvolto nel progetto.
A questi interrogativi se ne aggiungono altri. In particolare l’indicazione di voler far sorgere a Sorengo, quindi nell’ambito di strutture di proprietà del gruppo Genolier, l’eventuale futuro centro comune. Anche qui si tratterebbe di una grave e grande concessione al settore privato. Settore privato che non ha nessuna intenzione, e ci viene detto chiaramente nel comunicato, di adeguare le proprie condizioni in materia di personale a quelle in vigore nel settore pubblico. È noto che nelle cliniche private vi siano livelli salariali e condizioni di lavoro peggiori a quelle vigenti in seno all’EOC. Il fatto che ci si impegni a continuare l’attività garantendo al personale “condizioni equivalenti a quelle attuali” conferma che il settore privato voglia mantenere il proprio vantaggio competitivo nei confronti di quelli pubblico. Un posizione assolutamente inaccettabile.
Ostetricia: un terreno di sintesi tra concentrazione e privatizzazione
Infine vi è da notare come su questo terreno (ostetricia) le due logiche, quella della privatizzazione e quella della concentrazione, si manifestino in modo estremamente preoccupante. La collaborazione nel Luganese dovrebbe portare, secondo le dichiarazioni che abbiamo sopra ricordato, alla costruzione/creazione di un “centro donna/madre/bambino” dove verrebbero concentrati tutti gli aspetti legati alla ostetricia, ginecologia, neonatologia, ecc. D’altro canto, a più riprese (ultima in occasione di un recente dibattito alla TSI – 60 minuti dello scorso 17 febbraio) il direttore dell’EOC ha dichiarato che reparti di maternità con 200 o 300 parti all’anno non sono più sostenibili. Uno più uno fa due: e questo significa che la prospettiva è di creare un unico centro cantonale nel quale avverranno tutti i quasi tremila parti che si contano ogni anno in Ticino. Una prospettiva che, dal punto di vista finanziario e dell’efficienza economica potrebbero dare dei risultati; ma che andrebbero, in una logica di qualità, in un senso radicalmente opposto a quello che da piû parti e giustamente viene evocato. Quale tipo di nascita di qualità si potrebbe garantire in una struttura mastodontica di questo tipo?
In questo numero del giornale (cfr. qui sotto) pubblichiamo la presa di posizione dell’Associazione nascere bene. Una serie di proposte sulla “qualità” della nascita (se così vogliamo chiamarle) assolutamente condivisibili. Ma che, per potersi realizzare, devono poter contare su premesse materiali (personale,risorse e tipo di strutture) che vanno esattamente all’opposto di quanto si vuole ipotizzare. La qualità e la quantità sono aspetti che si determinano e si influenzano vicendevolmente: non a caso, concludiamo con questo richiamo scherzoso ma non troppo, Marx ricordava che questo rapporto era l’aspetto centrale della dialettica materialista!
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Ospedale di Acquarossa: le bugie ed i “no” di Beltraminelli
Come molti altri abbiamo assistito al dibattito organizzato dall’Associazione dei comuni della Valle di Blenio sul futuro dell’Ospedali di Acquarossa nell’ambito della pianificazione ospedaliera.
La presenza del consigliere di Stato Beltraminelli e del direttore dell’EOC Pellanda avrebbe dovuto portare risposte chiare sul futuro dell’Ospedale di Acquarossa; avrebbe dovuto portare soprattutto risposte alle questioni che sono sul tappeto e che sono state riprese nella petizione dell’MPS e in quella, complementare, che i comuni della Valle hanno voluto lanciare.
Ebbene, Beltraminelli e Pellanda hanno risposto in modo chiaro a queste rivendicazioni, di fatto confermando le intenzioni alla base del progetto di pianificazione attualmente in consultazione e che l’MPS aveva già denunciato nell’assemblea organizzata ad Acquarossa lo scorso 4 dicembre.
In altre parole Beltraminelli ha risposto «no» a due delle rivendicazioni avanzate dalle petizioni: e sulle altre due rivendicazioni ha semplicemente mentito. Naturalmente coprendo le sue menzogne con affermazioni che hanno la parvenza di concessioni e di risposte adeguate; ma che, alla prova dei fatti, non reggono. Vediamo più in dettaglio come sono andate le cose.
La prima rivendicazione è quella del mantenimento di un reparto di medicina di base presso l’Ospedale (vi sono attualmente una ventina di letti). Su questo punto la risposta è stata chiara: questo reparto verrà soppresso. Resterà un intervento di medicina che però sarà essenzialmente rivolto ai pazienti dell’istituto di cura (cure riabilitativie post e sub-acute) che di fatto sostituirà l’Ospedale di Acquarossa.
La seconda rivendicazione è quella di mantenere gli attuali 20 letti del reparto di geriatria. Anche su questo punto la risposta di Pellanda e Beltraminelli è stata chiara: la geriatria verrà assegnata ad altri istituti pubblici e privati (Locarno e Lugano).
La terza rivendicazione è quella di mantere un servizio di pronto soccorso.
Su questo punto il tentativo di depistaggio è notevole. Da settimane ormai EOC e DSS parlano, per placare il giusto risentimento della popolazione, della creazione di un «servizio di urgenza» che garantirebbe cure adeguate 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, in particolare in collaborazione con il picchetto dei medici di valle.
In realtà il progetto è poco più che una enunciazione (e di fatti, alle domande concrete, nessuno è stato in grado di offrire indicazioni concrete).
Poi approfondendo le cose (e nel dibattito questi aspetti sono chiaramente venuti alla luce) si scopre che questa struttura d’urgenza non ha nulla a che vedere con il pronto soccorso così come ora funziona.Confermando così che le affermazioni di Beltraminelli («non cambierà nulla») sono solo bugie tese a calmare il gioco.
Infatti, ad esempio, è stato confermato che le ambulanze della Valle a partire dal prossimo anno andranno sempre (cioè per tutti i casi) direttamente a Bellinzona.
E che le cose cambieranno è stato indirettamente confermato dal medico cantonale, pure presente all’assemblea. Questi ha confermato che questa futura struttura d’urgenza non potrà essere assimilata ad un pronto soccorso di tipo B: questa è infatti oggi la caratteristica dei due pronto soccorso di Faido ed Acquarossa, così come indicato dalla legislazione cantonale tuttora valida.
Molti elementi che hanno convinto i presenti che la struttura di pronto soccorso così come oggi è conosciuta verrà smantellata.
Infine, ultima rivendicazione, la richiesta di mantenere i posti di lavoro nella Valle. Anche qui le garanzie di Beltraminelli sono apparse parole vuote; in particolare quando qualcuno ha fatto notare che per l’assegnazione del fabbisogno di personale i coefficienti legati ad un letto di un reparto di medicina sono ben diversi da quelli di uno di riabilitazione. Così per ognuno dei 20 letti di medicina che spariranno si calcola un coefficiente di 0,98 posti di lavoro; un coefficiente che è della metà per un letto di riabilitazione (0,48). Se a questo elemento aggiungiamo la soppressione del reparto di geriatria, la conclusione è chiara: metà del centinaio di posti di lavoro che ruotano oggi attorno all’ospedale di Acquarossa sono destinati a scomparire.
Ma, ha aggiunto Beltraminelli, abbiamo intenzione di potenziare l’intervento nell’ambito delle case per anziani e di offrire altri 20 letti per anziani nella casa situata a fianco dell’ospedale.
Gli hanno risposto, adeguatamente i responsabili della casa per anziani, facendo notare che questa offerta non corrisponde ad una necessità e che altri comuni delle Tre Valli stanno già pianificando la costruzione di case per anziani, collegandole, giustamente, ai futuri bisogni.
Un no quindi su tutta la linea, su alcuni aspetti camuffatto con false promesse che, fin da oggi, mostrano la loro vera natura.
Da qui la necessitâ di continuare la mobilitazione, in particolare sostenendo la petizione lanciata dall’MPS(e anche quella lanciata dai sindaci della Valle) e di partecipare a tutti i prossimi momenti di mobilitazione in difesa degli ospedali delle Tre Valli.