Per quale ragione via sms ed Internet si sta sviluppando una campagna di denuncia della cosiddetta “teoria di genere”, condotta sia da ambienti legati a gruppi di estrema destra, che a correnti religiose, cristiane o musulmane? Quali sono gli aspetti della differenziazione tra sesso e genere?
Il modo di dire polemico “teoria di genere” non è mai stato usato dai sociologi o dai ricercatori di altre discipline, per la semplice ragione che non ne esiste una teoria unica. Il genere è soprattutto una categoria o un concetto che permette di definire l’aspetto sociale di un dato naturale, il sesso biologico. E’ anche un campo di studio, un insieme di studi sui rapporti tra uomini e donne, reso caricaturale da coloro che hanno lanciato le discussioni recenti e che squalificano questo tipo di ricerche. Questo campo di lavoro, che analizza gli aspetti sociali legati alla differenza di sesso, non è né una dottrina né un’ideologia.
Queste campagne denunciano non solo il concetto di uguaglianza, in particolare la parità tra uomo e donna, ma anche i diritti delle minoranze sessuali [1], . Costoro vogliono delegittimare le conoscenze scientifiche, quelle prodotte dalle scienze sociali, e rimettono in causa gli scopi della scuola, luogo idealmente centrale e primario, dove l’insegnamento promuove l’uguaglianza ed il rispetto reciproco, dove i bambini imparano a rispettare le differenze (culturali, sessuali, religiose) ed a riflettere sugli stereotipi legati ai sessi biologici.
La polemica è iniziata in Vaticano dieci anni fa e rilanciata dai vescovi di Francia e di Navarra. Nell’agosto del 2004, il cardinale Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, allora capo della Congregazione per la dottrina della fede [2], ha indirizzato una lettera ai 4000 vescovi del pianeta, nella quale criticava pesantemente le distinzioni tra sesso e genere [3] , accusando in particolare le femministe di avere “mire paritarie”, di “occultare la differenza o la dualità dei sessi”. “Un’antropologia di questo tipo che vuole favorire mire paritarie per la donna, liberandola da ogni determinismo biologico, di fatto ha ispirato ideologie che promuovono la messa in causa della famiglia, della sua natura bi-parentale, composta cioè da un padre e da una madre, così come pone sul medesimo piano l’omosessualità e l’eterosessualità, avallando un modello nuovo di sessualità polimorfa” [4], scrive il cardinale Ratzinger nel suo messaggio.
Di fatto, questa campagna retrograda attacca ogni forma di emancipazione, individuale e collettiva, e in particolare quella delle donne. In Francia, come in numerosi altri paesi e dopo molti decenni, la legge sancisce oggi che le donne sono uguali agli uomini. Il diritto di voto è stato ottenuto solamente nel 1944 [in Svizzera nel 1971], alcuni decenni dopo le campagne indette dalle femministe alla fine del XIX e XX secolo, chiamate “suffragette”.
Durante gli anni 1970-1976, la seconda ondata del movimento delle donne ha reso possibile i miglioramenti del diritto delle donne a disporre del proprio corpo: ha permesso di rendere effettivo il diritto alla contraccezione, votato in Francia nel 1967 e di raggiungere la depenalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) votata la prima volta nel 1975, a titolo provvisorio per cinque anni, e definitivamente nel 1979. Ma gli attacchi continuano e sono frequenti, soprattutto da parte degli anti IVG in Francia come dappertutto nel mondo, contro il diritto all’aborto, causando restrizioni importanti in molti paesi, come recentemente in Spagna.
Negli ultimi decenni, il movimento delle donne ha potuto modificare i regimi matrimoniali e parentali. La scolarizzazione di massa delle ragazze, lo sviluppo dell’attività professionale delle donne e il controllo della fecondità hanno contribuito strutturalmente alla trasformazione dei rapporti tra donna e uomo. Eppure persistono ancora disuguaglianze in molti ambiti, nella sfera privata e nel ambito pubblico o nell’attività professionale.[5],
Parallelamente a questi miglioramenti, le ricercatrici femministe hanno sviluppato conoscenze critiche sui rapporti tra donne e uomini. Occorre insistere sulla diversità, la ricchezza, ma anche su certi limiti delle analisi prodotte dalle scienze sociali. E’ in particolare il movimento delle donne negli anni 1969/1976 che ha iniziato questo tipo di ricerche. Anche riflessioni ed analisi più antiche hanno sicuramente alimentato l’origine di questa critica femminista, come per esempio il libro di Simone de Beauvoir “Il Secondo Sesso,” apparso all’indomani della Seconda Guerra mondiale o quello ancora antecedente, di Friedrich Engels [6] che aveva descritto come la condizione servile della donna non sia un fatto “naturale” ma il prodotto di rapporti storici e sociali.
Le correnti di pensiero nate durante gli anni 1970-1990 sono state molto numerose e ricche. In una prima fase sono stati abbandonati i concetti di patriarcato, modo produttivo domestico e divisione sessuale del lavoro, ed anche quelli di sesso sociale, classe e tipo di sesso. Sono poi apparsi i concetti di genere e di rapporto sociale di sesso. Ma questa sociologia critica non ha beneficiato di grandi attenzioni mediatiche come il femminismo radicale ampiamente descritto nelle riviste e incensato dal Vaticano. Le varie categorie nascono dalla molteplicità dell’oppressione che porta sia allo sfruttamento, come al dominio, alla discriminazione, e alla stigmatizzazione delle donne.
Le ricercatrici femministe sono partite dall’idea che gli uomini e le donne sono categorie che nascono dalla raffigurazione sociale di un dato naturale, che spiega largamente le variazioni riscontrate nel tempo e nello spazio. I lavori precedenti privilegiavano approcci in termini di “condizione femminile”, espressione che rinvia ad un modo d’essere predeterminato, o ad un “ruolo dei sessi”, atteso o preteso, in particolare per quanto riguarda “i ruoli coniugali ” [7]. La sociologia della famiglia era fortemente impregnata di concetti normativi: la famiglia nucleare standard poggiava sulla complementarietà di un ruolo strumentale affidato all’uomo ed un ruolo espressivo riservato alla donna. Il primo era chiamato ad assicurare il legame con la società globale ed a provvedere, con la sua attività professionale, al mantenimento dei membri della famiglia. La seconda, con il suo lavoro domestico e la sua presenza continua, al funzionamento quotidiano della famiglia ed alla socializzazione dei bambini. Vengono identifi sia le basi naturali sulle quali poggia questa visione che i rapporti di potere che nascono in questa cosiddetta “complementarietà dei ruoli”.
In Francia, il concetto di “rapporti sociali di sesso” è stato elaborato in forte connessione con quello di “divisione sessuale del lavoro”, con l’analisi di come a uomini e donne vengono assegnati compiti differenti, sia nell’ambito professionale che domestico. Il concetto di “rapporti sociali di sesso”, analizza i rapporti di sesso e i rapporti di classe, e sottolinea la dimensione antagonista dei rapporti tra la classe degli uomini e quella delle donne, senza dimenticare la centralità del lavoro. Questa è la leva della dominazione che si esercita sulle donne nel quadro dei rapporti sociali di sesso, ma anche, e contemporaneamente, quella della loro emancipazione [8].
Quanto al termine genere [gender]: è apparso nel 1972 nel contesto femminista anglo-sassone: si riferisce al sesso sociale in contrapposizione al sesso biologico, ma ben presto il genere viene pensato prima come sistema e poi come rapporto sociale. Per questo deve sempre essere usato al singolare. Al plurale il concetto perde la sua dimensione critica e funziona semplicemente come un vago sinonimo pseudo-saccente di sesso.
Il concetto di genere si è imposto nelle scienze sociali soprattutto nel senso di un rapporto di potere o un rapporto sociale. La polisemia del concetto spiega il suo successo ma anche i suoi limiti. Per esempio, in certi utilizzi, quando viene dimenticata, spesso negata, la sua dimensione razionale, il genere riesce a cancellare la dimensione disuguale e conflittuale dei rapporti tra uomini e donne. Quando l’approccio genere viene fatto senza tener conto degli altri rapporti sociali, in particolare delle classi sociali di appartenenza degli uomini e delle donne, questo approccio può contribuire ad occultare le classi. Dimenticare o nascondere le classi può anche avere come conseguenza la denegazione a priori dei sessi sociali.
Il genere è quindi in primo luogo un concetto scaturito da tutta una serie di ricerche ed è anche un campo di studio, gli studi di genere, all’interno del quale convivono approcci e posizioni molto diverse, con lo scopo di riflettere sull’oppressione delle donne e di proporre i mezzi per porvi termine.
Di fatto, è questo che inquieta parecchio coloro che hanno lanciato questa campagna di denuncia e di disinformazione.
[1] Si potrà trovare qui una reazione collettiva a questa campagna, la petizione « le genre, la recherche, l’éducation: la bonne rencontre»: http://www.petitionpublique.fr/?pi=P2014N45876
[2] Essa ha preso il posto della Sacra Inquisizione della Congregazione romana e universale.
[3] Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo. Nel sito del Vaticano : http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20040731_collaboration_fr.html
[4] Lettera citata da Le Monde, 7 agosto 2004.
[5] Per un bilancio sintetico vedi Alain Bihr, Roland Pfefferkorn, Hommes-Femmes, quelle égalité ?, Paris, Éditions de l’Atelier, 2002.
[6] L’origine de la famille, de la propriété et de l’Etat [1884], Le temps des cerises, 2012, con un’introduzione critica di Christophe Darmangeat.
[7] In Svizzera, Le Matin Dimanche del 9 febbraio 2014 dava la parola a una liberale-conservatrice, protestante, molto conosciuta, Suzette Sandoz, che riassumeva il principio della complementarietà cosiddetta naturale e vitale dell’uomo e della donna: «Per ragioni legate alla natura, l’uomo è sicuramente più bellicoso della donna. Mentre la donna, con il suo istinto materno, ha una capacità di adattamento, ricerca la sopravvivenza. E’ il matrimonio tra queste due forze che fa proseguire la vita. (Réd. A l’Encontre)
[8] Abbiamo trattato questa questione in un libro precedente che abbiamo pubblicato con Philippe Cardon e Danielle Kergoat : Chemins de l’émancipation et rapports sociaux de sexe (La Dispute, 2009).
* Roland Pfefferkorn è professore di sociologia presso l’università di Strasburgo, autore di numerosi libri, come Hommes-femmes. Quelle égalité ? (Editions de l’Atelier, 2002, con Alain Bihr), Inégalités et rapports sociaux. Rapports de classe, rapports de sexe (La Dispute, 2007). Ha coordinato due numeri della rivista Les cahiers du genre. Ha pubblicato recentemente in edizione tascabile un piccolo libro pedagogico: Genre et rapports sociaux de sexe (Lausanne, Editions Page 2, 2012 ; riedito in Québec, M éditions, 2013).