Una sindrome che tocca soprattutto i lavoratori e le lavoratrici del settore sociosanitario e che porta le persone a soffrire di disturbi psichici importanti. Inoltre le persone che si sentono molto stressate sul lavoro o sono a rischio di burn out presentano una probabilità di soffrire di depressione cinque a sei volte superiore rispetto ai lavoratori non esposti a tali disagi.
Questi pochi dati illustrano chiaramente, se ancora ce ne fosse bisogno, qual è la reale condizione in cui una parte sempre più importante di persone è costretta a lavorare. Le profonde trasformazioni portate avanti in questi anni nell’organizzazione del lavoro hanno introdotto elementi di precarizzazione dei rapporti di lavoro che generano nei dipendenti incertezza e paura di perdere il lavoro e possono avere come conseguenza un aumento dello stress percepito.
Inoltre sappiamo da tempo che, complice anche la crisi economica, il lavoro è diventato sempre più intenso i ritmi più serrati e i tempi per terminare un lavoro sempre più stretti. Chi lavora quindi si trova costretto a farlo quasi costantemente sotto pressione con conseguenze inevitabili sulla propria salute.
E questo avviene ormai in quasi tutti i settori economici e produttivi anche quelli che una volta si pensava essere immuni da certi metodi di gestione. Pensiamo per esempio al settore sanitario dove le politiche di razionalizzazione e di risparmio, l’introduzione del nuovo sistema di calcolo della prestazioni (DRG) e l’introduzione di sistemi di gestioni della qualità hanno progressivamente svuotato il lavoro del suo contenuto relazionale e sociale e trasformato anche queste professioni in una corsa contro il tempo per rispondere ad esigenze economiche e di efficienza che molto spesso hanno poco a che vedere con la qualità della cura e del lavoro svolto.
Di fronte a questa situazione cosa si dovrebbe fare. Prima di tutto si tratta di eliminare la precarietà dell’impiego e dare sicurezza ai lavoratori e alle lavoratrici. La sicurezza è un elemento fondamentale che riconosce l’importanza del lavoro svolto dà ognuno e contribuisce a salvaguardarne la salute sia fisica che mentale. Oggi purtroppo si tende ad andare nella direzione opposta aumentano i lavoratori con contratti precari e i licenziamenti e i risultati in termini di malessere sono ormai evidenti.
In secondo luogo si tratta di aumentare la possibilità da parte dei lavoratori e delle lavoratrici di essere coinvolti e consultati sulle modalità di gestione e di organizzazione del lavoro. Permettere ai lavoratori di esprimesi, di organizzarsi collettivamente e di rivendicare alcuni diritti invece che insistere su una gestione centrata sul raggiungimento di obiettivi individuali che ha come unica conseguenza quella di aumentare la rivalità tra dipendenti e quindi anche i livelli di stress.
Inoltre si tratta di ripensare in modo globale la gestione del tempo e degli orari di lavoro e di fare in modo che ci sia una maggiore possibilità di conciliare vita lavorativa e vita privata. Si tratta di rimettere in discussione la lunghezza della giornata di lavoro, dei tempi di trasporto, ecc. I segnali in questa direzione non sono molto incoraggianti si pensi ad esempio alla recente proposta del Consiglio federale di armonizzare gli orari di apertura dei negozi in modo da allungarli. Si tratta di una decisione che inevitabilmente avrà un’incidenza negativa sulla gestione della vita privata di molte persone che lavorano nel settore. Contro questa e altre politiche si tratta di sviluppare una seria campagna di resistenza, in difesa della qualità della vita e della salute dei lavoratori e delle lavoratrici.
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