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old-28698 640Appare un po’ paradossale, e francamente incomprensibile, la votazione sul freno ai disavanzi sul quale saremo chiamati a votare il prossimo 18 maggio. Il tema, ufficialmente, è quello del cosiddetto freno ai disavanzi. Si introduce nella costituzione il principio dell’equilibrio finanziario. Se questo equilibrio non è rispettato debbono scattare misure di risparmio sulla spesa in modo da riportare in parità i conti. E se questo non avviene il Parlamento potrà decidere (con una maggioranza dei 2/3) un aumento del moltiplicatore di imposta.

I cittadini e le cittadine di questo cantone che volessero capire il fondo di quanto discusso ed approvato dal Parlamento (con la sola opposizione, sul principio, del rappresentante dell’MPS), farebbero un po’ fatica.

In effetti quella che è andata in onda è una vera e propria mistificazione, poiché l’idea, apparentemente un po’ brutale di frenare la spesa, è stata, diciamo così, nascosta dietro una formulazione più accettabile come quella del freno all’indebitamento.
Ora sappiamo benissimo tutti che i due concetti e i due modi di procedere sono, in linea teorica, diversi: si può benissimo avere una politica di aumento della spesa senza per questo aumentare automaticamente l’indebitamento.
Ma, questo, in una prospettiva del tutto astratta e teorica. Oggi, in Ticino, nel contesto economico e politico in cui viviamo non vi sono dubbi che l’unico modo in cui si concretizzerà il freno all’indebitamento sarà quello di un freno (ed anche brutale) alla spesa.
L’unica forza che contesta l’orientamento di fondo che ispira la riforma costituzionale (sul fondo e non tanto sugli aspetti tecnici) è l’MPS il cui rappresentante si è opposto in Gran Consiglio.

 

Tutti d’accordo: risparmiare!

Tutti i partiti (dalla sinistra alla destra, passando per i Verdi) condividono l’idea che, in qualche modo, si debba contenere e riorganizzare la spesa pubblica. Questa convinzione è strettamente connessa ad un’altra idea di fondo: che il livello del debito pubblico sia eccessivamente elevato (cominci cioè ad essere “insopportabile”) e che, in qualche modo, appaia necessario contenerlo, vedi diminuirlo. Per diminuirlo, ed anche su questo vi è una sostanziale convergenza di fondo, è necessario ritornare nello spazio di qualche tempo a conti di esercizio sostanzialmente in pareggio (qui le prospettive variano anche se i partiti di governo, proprio perché sono di governo, dovrebbero far riferimento alla posizione dell’esecutivo che è di tornare al pareggio entro il 2015 o giù di lì).

 

Freno ai disavanzi o freno alla spesa: che dilemma!

Fatte queste premesse il dibattito che “divide” gli schieramenti politici appare, ancora un volta poco chiaro e un po’ fumoso. È nato un dibattito, si fa per dire, tra chi vorrebbe il freno alla spesa e chi invece, con piglio un po’ intellettuale, vorrebbe il freno ai disavanzi. E su questa “grande” differenza si sono cominciati a costruire degli schieramenti, considerati più o meno regressivi (nel caso del freno alla spesa) o più o meno progressisti (nel caso del freno ai disavanzi).
Una situazione del tutto surreale, sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista delle riflessioni politiche collegate.
Tanto per cominciare il risultato concreto delle due opzioni, se visto dal punto di vista di coloro che pensano urgente e necessario un aumento della spesa, alla fine è identico. Sia che si opti per il modello di freno alla spesa, sia che si opti per contenere i disavanzi (il 3% pena l’aumento delle imposte), gli attuali rapporti di forza parlamentari faranno sì che l’esercizio si concluda sostanzialmente con l’affermarsi di una politica di austerità.
Dal punto di vista politica ci pare veramente difficile scegliere: è un po’ come una scelta tra peste e colera. Basti pensare che il meccanismo proposto da Laura Sadis (freno ai disavanzi) e visto con piacere dai socialisti altro non è che una brutta copia di quei deprecati meccanismi approvati dall’Unione Europea (il cosiddetto fiscal compact), approvati – addirittura con modifica costituzionale, come si vuole fare in Ticino, dai Parlamenti e che stanno contribuendo in modo decisivo a distruggere ulteriormente le già martoriate economie di molti paesi europei. Che cosa vi sia di progressista in qualcosa che assomiglia a tutto questo ci è difficile capirlo.

 

Insopportabile debito ?

È evidente che, per far passare questo discorso sono necessarie due premesse.
La prima è che non si possa far eccessiva pressione sul piano fiscale, in particolare attraverso una politica selettiva di pressione fiscale su alti redditi e detentori di patrimoni, oltre che sui valori immobiliari e altre rendite di vario genere.
La seconda è che il livello di indebitamento del cantone sia “eccessivo” e cominci a diventare “insopportabile”, con tutte le frasi ad effetto quali “non lasciare debiti alle future generazioni”, “prendere come esempio una famiglia”, ed amenità di questo tipo.
Sulla prima premessa abbiamo già detto a più riprese: il Ticino è un cantone per ricchi e con una concentrazione di ricchezza assai impressionante. Inoltre vi sono sacche di rendita patrimoniale e finanziaria alle quali si potrebbe attingere facilmente e senza “mettere in fuga” proprio nessuno. Basti pensare, per non fare che un solo esempio, allo scandalo delle tassazioni globali. Persino la prudenza del governo e del Parlamento ha dovuto riconoscere implicitamente tale scandalo e, nel giro di due anni, proporre un raddoppio del reddito di base imponibile (da 200’000 a 400’000 franchi). Ma tale privilegio andrebbe abolito e frutterebbe decine di milioni di maggiore imposta.
Sulla seconda premessa abbiamo scritto e detto in abbondanza. Riprendiamo alcune considerazioni fatte da Matteo Pronzini, proprio su questo punto, nel suo intervento in Gran Consiglio: “Nei primi anni ’80 il debito pubblico del cantone si è costantemente tenuto al di sopra del miliardo. Ha raggiunto, per l’esattezza nel 1983, la cifra di 1’226’319 mila franchi. Come si vede cifre simili a quelle raggiunte in alcuni degli anni più recenti (2007,2008, 2009) e non molto lontane dal miliardo e 400 milioni fatto segnare dal consuntivo 2012. Potremmo anche aggiungere, per restare alle cifre reali, che il miliardo debito pubblico era pure stato raggiunto e superato verso la fine dello scorso millennio (1998 e 1999). Infine, val la pena ricordare che l’aumento del debito pubblico non può , a rigore, essere considerata nemmeno da un punto di vista meramente contabile (lasciamo a dopo le riflessioni di ordine politico) un’emergenza recentissima: ricordiamo che è da ormai un decennio che il debito pubblico supera sistematicamente il miliardo, raggiungendo anche punto vicinissime all’attuale situazione (ricordiamo quello del 2004 – praticamente un miliardo e 400 milioni).
Tutto questo per dire che, anche visto in cifre assolute, l’attuale livello del debito pubblico ticinese è tutt’altro che eccezionale, insopportabile, pericoloso, ecc.: tutti termini spesso ripetuti e con i quali si vuole, con obiettivi precisi, drammatizzare la situazione.
Naturalmente tutti potranno poi comprendere come se queste cifre assolute vengono rapportate alla realtà economica del cantone, in particolare alla ricchezza prodotta, cioè al suo reddito cantonale. Non abbiamo i dati relativi al reddito cantonale per gli anni ’80, ma possiamo ipotizzare, facendo collegamenti con l’evoluzione dei dati nazionali, che questo reddito sia aumentato almeno nella misura del 35-40%. o anche di più. Il che ci porta alla conclusione che l’attuale debito pubblico è di una leggerezza estrema nei confronti di quello che, ad esempio, sopportavamo nei primi anni ’80 o, ancora, verso la fine degli anni ’90.
Se poi questo debito dovessimo spalmarlo pro-capite (è un esercizio non molto significativo: ma i rappresentanti dei partiti borghesi -e coloro che ragionano come loro – amano spesso farlo per mostrare quanto sia “insopportabile” il peso del debito che ogni cittadino sembrerebbe doversi portare in groppa ogni giorni, quasi non riuscendo a muoversi) ci renderemmo conto che all’inizio degli anni ’80 questo debito si fissava a 4’300 franchi a testa; circa dieci anni fa (nel 2004 per l’esattezza) era di 4374 fr. ed oggi è più basso di questi anni precedentemente indicati: abbiamo infatti un debito pro-capite di 4’222 franchi. Naturalmente prendendo qualche altro anno di riferimento o prendendo qualche altro tipo di popolazione per fare il calcolo (ad esempio la popolazione economica e non quella residente) avremmo alcune variazioni: ma la tendenza di fondo non muterebbe: abbiamo un debito pro-capite pari a quello di 30 anni fa!
Una seconda riflessione deve riguardare le spese. Anche qui, senza voler annoiare con eccessivi dati, ricordiamo l’evoluzione della spesa pro-capite negli ultimi dieci anni. I dati del cantone ci dicono che essa è aumentata del 15% circa. Se togliamo l’inflazione abbiamo, nell’ultimo decennio, un aumento di circa il 7% della spesa pro-capite. Non ci pare essere una tragedia.”

 

No al freno ai disavanzi, senza «se» e senza «ma»

La politica di freno alle spese, nella sua variante di freno ai disavanzi, deve essere condotta sulla base di un posizione di principio che mostri, in modo chiaro, come nell’attuale contesto essa sia uno strumento per una politica di austerità.
A questo va aggiunta una lotta ideologica e politica contro tutti gli aspetti legati alla questione del debito pubblico. In particolare mostrando come il debito pubblico non sia il risultato di politiche che premierebbero in modo eccessivo i salariati, offrendo loro prestazioni non più sopportabili; ma come il debito pubblico sia lo strumento con il quale la borghesia dirige il proprio Stato, traendone, dal suo funzionamento e dal suo finanziamento, lauti guadagni.