Le elezioni europee hanno segnato, come era stato largamente prevedibile, l’ascesa di movimenti e partiti euroscettici di destra e di estrema destra in quasi tutta l’Europa. I risultati più eclatanti sono stati quello francese e quello britannico. In Francia il Front National di Marine Le Pen passa dal 6,3% del 2009 al 25%, diventando il primo partito francese, ben distaccato dall’UMP-PPE e dal PS al governo insieme ai Verdi che pure prendono una sonora batosta.
Nel Regno Unito diventa primo partito l’Ukip di Nigel Farage (partito nato nel 1992 da una scissione di destra del Partito Conservatore). Importanti i risultati anche di Alba Dorata, formazione neonazista greca (9,4%), del Fpoe, il partito fondato da Jorg Haider in Austra (19,5%). In Germania i neonazisti della NPD riescono ad eleggere un eurodeputato per la prima volta nella storia del Parlamento europeo.
I partiti di governo (PPE e PSE) ne escono sconfitti quasi dappertutto, (con le notevoli eccezioni della Germania, in cui avanzano sia la CDU-PPE che la SPD-PSE e l’Italia con la vittoria del PD) ridimensionando la propria rappresentanza nel Parlamento europeo. Il PPE è passato dal 35,8% al 28,5%. Importante è anche l’arretramento del Partito Socialista Europeo, se si esclude il risultato eccezionale ottenuto dal PD in Italia. Continua l’emorragia di consensi alle forze socialdemocratiche tra le classi lavoratrici, che si impoveriscono a seguito delle politiche di austerità, imposte proprio da quelle forze politiche che un tempo rappresentavano il proprio punto di riferimento politico.
La sinistra che fa riferimento al GUE, che troppo spesso in Europa ha fatto da stampella a sinistra dei governi di centrosinistra, ma che oggi è esclusa ovunque dalle grandi coalizioni o dai governi di centrodestra, passa dal 4,6% al 5,6% (senza contare i 3 eurodeputati eletti dalla Lista Tsipras in Italia, che ancora non si sa in che gruppo approderanno) trainata dal fenomeno di Syriza. In Grecia la coalizione guidata da Alexis Tsipras ha ottenuto il 26,6% dei voti, confermandosi primo partito ben al di sopra del 22,7% del principale partito di governo, la Nuova Democrazia. In Spagna vanno bene sia Izquierda Unida (10%) che Podemos – Per la democrazia sociale, formazione in cui sono impegnate/i le/i compagne/i di Izquierda Anticapitalista, che ha preso l’8%, senza contare le altre formazioni di sinistra indipendentista come la sinistra catalana al 4%, la coalizione galego-basca Los Pueblos Deciden (2%) e la Primavera Europea (2%). In Francia tiene il Front de Gauche (6,3%), mentre calano le liste più radicali di Lutte Ouvriere (1%) e Nouveau Parti Anticapitaliste (0,3%), che però non si presentava in tutte le circoscrizioni.
In Germania Die Linke conferma il suo 7,4%.In Portogallo, al contrario, cresce il Partito socialista, avanza il Partito comunista (12,69% con in verdi: 3 eletti), mentre il Bloco de Esquerda arretra con il 4,56% (1 eletto). In Belgio l’alleanza Ptb-go conquista degli eletti nelle due camere (si votava per le politiche) e ottiene il 2,9% alle europee.
Il risultato italiano è caratterizzato in primo luogo dalla bassa affluenza alle urne, che tocca il record negativo del 58,7%. Qui la distanza dei cittadini dalla politica, l’euroscetticismo e la rassegnazione si sono espressi soprattutto nella fortissima astensione.
Tra quelle e quelli che hanno scelto di votare il primo dato che si segnala è la vittoria schiacciante del Partito Democratico (40,8%). Questa costituisce una inversione di tendenza rispetto al risultato deludente delle politiche del 2012, quando il PD aveva perso circa 2,5 milioni di voti portandosi al 25%.
Il centrodesta, come era prevedibile, cala in termini di voti assoluti, perdendone circa 1,5 milioni (sommando Forza Italia e Ncd) rispetto alle già disastrose elezioni politiche. In termini percentuali ottiene risultati simili a quelli delle politiche del 2013, con il 16,8% di Forza Italia e il 4,4% del NCD, mentre il Popolo delle Libertà aveva il 21,6%. Fanno eccezione la Lega Nord che conquista il 6,2% (aveva il 4,1% alle politiche) e Fratelli d’Italia con il 3,7% (aveva il 2%).
Forse meno prevedibile era il tracollo del Movimento 5 stelle, che si assesta al 21,2% con 5,8 milioni di voti (nel 2013 ne aveva presi 8,7 milioni, pari al 25,6%), bucando clamorosamente l’obiettivo dichiarato di superare il PD. Sicuramente non ha pagato la scelta di presentarsi alle elezioni europee con un programma ed una retorica antieuropeista, mettendo insieme pulsioni di destra nazionalista, nazional-riformiste e qualunquiste.
Lo scetticismo verso l’Europa, come abbiamo scritto, si è espresso in Italia soprattutto con un calo di partecipazione al voto, che evidentemente ha colpito in primo luogo il movimento di Grillo e Casaleggio. La mancanza di una linea politica coerente, la gestione autoritaria del movimento da parte dei suoi fondatori, il mancato radicamento sociale di questa formazione interclassista, le contraddizioni che si sono aperte nelle amministrazioni locali guidate dal movimento (si veda da ultimo lo scandalo dei buoni mensa a Pomezia, dove solo i bambini le cui famiglie possono pagare avranno diritto al dolce), hanno confermato la fragilità dei consensi che il M5S aveva guadagnato nelle elezioni dello scorso anno. E’ bastato che Renzi assumesse la retorica nuovista dell’anti-politica e della rottamazione e che elargisse una mancia pre-elettorale di 80 euro per ribaltare il successo ottenuto da Grillo solo un anno fa.
E’ chiaro che la linea populista di Renzi incontrerà ben presto parecchie difficoltà. Le contraddizioni economiche portate dalla crisi capitalista forzeranno la mano alla sua versione socal-paternalista del liberismo. Già gli 80 euro che dovevano essere uno sgravio permanente per le/i lavoratrici/ori dipendenti non hanno ancora copertura per il 2015. E comunque dopo le elezioni è chiaro che ai lavoratori verrà presentato il conto in termini di privatizzazioni, tagli ai servizi pubblici ed ai diritti sociali, come già si sta facendo con il Jobs Act e gli altri provvedimenti che il governo ha messo in cantiere.
Alle politiche di austerità c’è bisogno di rispondere con la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori d’Europa su un programma di emergenza che faccia pagare la crisi a chi ne porta la responsabilità: i capitalisti, le banche commerciali, gli speculatori finanziari.
Purtroppo la strada per la costruzione di una opzione politica di classe e anticapitalista è ancora in salita. La crisi economica ha portato sconfitte ancora più pesanti di quelle subite dalla classe lavoratrice nel corso degli anni 80 e 90. La coscienza di classe è ai minimi storici, e la maggioranza dei lavoratori preferisce affidarsi ad un personaggio carismatico o si disinteressa del tutto alla politica rinunciando finanche a votare.
In questo quadro tuttavia la lista Tsipras ha ottenuto un risultato incoraggiante, superando lo sbarramento del 4%, in barba a tutti i sondaggi che la davano tra il 3,3 e il 3,8%, ma ridimensionando anche le aspettative di chi – come la Spinelli – immaginava di sfondare arrivando anche al 7%. La lista è riuscita a guadagnare un milione e centomila voti nonostante l’oscuramento mediatico (i candidati della lista Tsipras hanno ottenuto solo lo 0,9% dello spazio televisivo sulle reti pubbliche). Sinistra Anticapitalista ha sostenuto alcuni candidati, con un chiaro profilo anticapitalista ed espressione di movimenti sociali sul territorio, che hanno ottenuto ottimi risultati. Nicoletta Dosio del movimento No Tav ha ottenuto oltre 15mila preferenze nella circoscrizione Nord-Ovest, Sandro Medici è risultato il più votato nella città di Roma dopo il capolista (quasi 13mila preferenze, oltre 9mila a Roma), Lucia Bonanni del movimento per la ricostruzione dell’Aquila è stata di gran lunga la più votata nel capoluogo abruzzese, mentre il giornalista pacifista NoMuos Antonio Mazzeo ha raccolto oltre 13.000 preferenze nella circoscrizione di Sicilia e Sardegna.
In questo quadro ricordiamo il grande impegno dei nostri compagni di Rimini che hanno presentato di Sinistra Anticapitalista a Misano conquistando un lusinghiero 2,85%.
Difficile però pensare che le contraddizioni di questa aggregazione permettano la nascita una nuova sinistra in Italia.
Sel si divide tra chi pensa di appoggiare il governo del PD e chi vorrebbe almeno contrattare qualche provvedimento di facciata che indori la pillola; l’area degli intellettuali vicini a Repubblica ha evidentemente sostenuto questa lista immaginando di contenere l’euroscetticismo di sinistra che avrebbe portato voti al M5S, annacquando i contenuti più radicali di cui la stessa Syriza si è fatta portatrice in Grecia.
Molte compagne e compagni però hanno creduto e credono sinceramente nella possibilità di poter fare in Italia come in Grecia: costruire una coalizione di sinistra credibile e radicale, alternativa al Partito Democratico e che potesse mettere sul campo una forza dichiaratamente di classe dalla parte delle/degli sfruttate/i e delle/degli oppresse/i, in Italia come in Europa. E’ a queste compagne e compagni che ci rivolgiamo e a cui vogliamo rivolgere il nostro appello per la costruzione di una sinistra anticapitalista all’altezza delle battaglie che ci stanno di fronte.