Con l’elezione del nuovo governo e il varo di un progetto di costituzione la “Repubblica di Donetsk” si conferma sempre di più come un’organizzazione completamente controllata da estremisti di destra. Intanto si apre un profondo scontro al suo interno tra l’ala militare di Slavyansk, guidata dal cittadino russo Igor Strelkov, e quella “politica” di Donetsk, un rimescolamento delle carte sul cui sfondo va letta anche l’improvvisa svolta dell’oligarca Rinat Akhmetov.
Dopo lo svolgimento del referendum per l’indipendenza di cui hanno riferito ampiamente i media, all’interno della cosiddetta “Repubblica Popolare di Donetsk” (RPD) è in atto un rimescolamento delle carte. Il tutto sta avvenendo, come è accaduto sempre fin dal suo inizio a metà aprile, senza alcuna forma di partecipazione democratica o popolare. Anzi, raggiunto lo scopo di organizzare in qualche modo un referendum, gli estremisti di destra della RPD hanno ormai rinunciato anche alle mobilitazioni simboliche che fino a oggi portavano in piazza qualche centinaia di persone o al massimo un paio di migliaia. Le recenti nuove nomine ai vertici della RPD confermano ancora, se ce ne era bisogno, che la “repubblica” è una struttura completamente controllata da esponenti dell’estrema destra e neofascisti, che sono per la quasi totalità persone del tutto estranee alla vita democratica della regione (per maggiori particolari sulla natura neofascista della RPD si veda il nostro articolo “L’anima nera della Repubblica di Donetsk”).
Il 16 maggio il “consiglio supremo” della RPD, organo che, come tutti gli altri organi della “Repubblica”, non è eletto, ma formato da membri autonominatisi, ha proclamato come premier Aleksandr Borodaj. Si tratta di un personaggio che fino a oggi era ignoto ai più. Borodaj è strettamente legato a Igor Strelkov (vero nome, Igor Girkin), il capo delle “forze armate” della RPD e, come lui, è un cittadino della Russia. Ufficialmente di professione Borodaj è politologo. Ha sempre vissuto e lavorato a Mosca, da dove si è trasferito solo a inizio marzo in Crimea, insieme a Strelkov, per lavorare come consigliere di Sergej Aksenov, poi diventato il nuovo capo della regione annessa dalla Russia. Come scrive il giornalista Ilya Shepelin, Borodaj a partire dagli anni novanta e fino all’inverno scorso ha pubblicato attivamente su “Zavtra”, l’organo ufficioso dell’estrema destra imperialista russa del quale sono collaboratori regolari anche Strelkov e il guru neofascista Aleksandr Dugin. Negli anni novanta ha lavorato per l’agenzia RIA Novosti, in particolare facendo corrispondenze dalla Cecenia. Nel 2001 ha dato vita a una sua agenzia di pubbliche relazioni, la Sotsiomaster, che ha lavorato tra gli altri anche per il Ministero delle regioni russo. Il neoproclamato premier della RPD ha lavorato anche per il businessman Arkadij Rotenberg, molto vicino a Putin. Ma il vero nume tutelare di Borodaj è Konstantin Malofeev, un miliardario anch’egli vicino al Cremlino, del cui fondo di investimento Marshall Capital il neopremier della RPD è stato a lungo rappresentante. Malofeev è anch’egli legato all’estrema destra russa: è stato vicino al metropolita Yoan Snychev, dalle note simpatie neofasciste, ed è in rapporti di amicizia con il già citato Dugin.
Nonostante Borodaj sia un estremista di destra come tutti gli altri suoi colleghi che controllano la RPD, la sua nomina segnala secondo molti osservatori una spaccatura all’interno dell’autoproclamata repubblica. Secondo il giornalista Oleg Kashin, il potente Igor Strelkov che, lo ricordiamo, controlla militarmente la roccaforte di Slavyansk diventata ormai una specie di contraltare allo sconquassato circo del nucleo che a Donetsk ha occupato diversi edifici proclamando la repubblica separatista, ha imposto la nomina di Borodaj per avere un controllo non più solo militare, ma anche politico, sulla RPD. A rafforzare ulteriormente le voci di una divergenza all’interno della RPD ci sono state le dichiarazioni di Pavel Gubarev, che il 1° marzo si era autoproclamato governatore di Donetsk e successivamente era stato arrestato dalle autorità ucraine il 6 marzo. Gubarev è stato liberato il 7 maggio proprio a Slavyansk, nell’ambito di uno scambio di prigionieri organizzato da Igor Strelkov. Poco dopo la sua liberazione Gubarev ha concesso un’intervista alla Rossiyskaya Gazeta, organo ufficiale del governo russo, nella quale ha attaccato duramente i dirigenti di Donetsk della RPD, affermando che fin dall’inizio sono stati tutti al soldo dell’oligarca Rinat Akhmetov. Va notato a questo proposito che Gubarev attualmente non riveste alcuna carica all’interno della RPD, visto che il suo nome non compare nell’elenco dei ministri della “repubblica”, dal quale è stata tra l’altro estromessa sua moglie, che fino a qualche giorno fa ufficialmente ne era il ministro degli esteri. Gubarev ha poi annunciato per il 22 maggio il lancio di un suo partito, “Novorossiya” (“Nuova Russia”, non a caso lo stesso termine che Putin recentemente ha utilizzato in un discorso per indicare l’Ucraina). E’ difficile definire esattamente la sostanza di questo conflitto in seno alla RPD, vista l’assoluta mancanza di trasparenza e di dibattito democratico interno nella “repubblica”. La nostra ipotesi (tutta da verificare, lo sottolineiamo) è che l’operazione “Repubblica di Donetsk” sia stata organizzata fin dall’inizio su due binari. Il primo sarebbe quello dell’utilizzo di una già precedentemente esistente organizzazione locale di neofascisti (denominata per l’appunto “Repubblica di Donetsk”) come nucleo dell’azione di occupazione dell’edificio dell’amministrazione regionale di Donetsk il 7 aprile, con l’evidente ma non esplicito sostegno dell’oligarca Rinat Akhmetov. Il secondo binario sarebbe quello delle azioni dei paramilitari (provenienti in larga parte, come confermano sia Strelkov che Borodaj, dalla Crimea) che hanno preso il controllo di Slavyansk, Kramatorsk e altri centri minori il 12-13 aprile, con la funzione tra le altre di fare da “cani da guardia” dei neofascisti di Donetsk. L’estrazione di estrema destra di entrambi i gruppi è un elemento che evidentemente serve a fare da collante politico per garantire un minimo di omogeneità. Con il tempo il gruppo di Donetsk ha probabilmente alzato la testa e aumentato le proprie ambizioni, o comunque con il suo agire da “fenomeno da baraccone” non si è rivelato all’altezza della situazione, entrando in particolare in conflitto con gli interessi dell’oligarca Akhmetov. Ora il circo di Donetsk viene messo nuovamente sotto tutela dall’ala militare di Slavyansk, evidentemente più controllabile dal Cremlino (la “pista russa” sembrerebbe confermata dal fatto che Strelkov e Borodaj sono russi e chiaramente legati ai servizi segreti di Mosca, dal fatto che il conflitto si è aperto con l’intervista di Gubarev non a un giornale qualsiasi, ma all’organo ufficiale del governo russo e, su un altro fronte, dalla richiesta fatta all’ultimo momento da Putin di rimandare il referendum, richiesta che non è stata accolta dai dirigenti della RPD). Tra tutti il più in difficoltà sembra essere Akhmetov, che in questi ultimi giorni ha invertito completamente rotta attaccando la dirigenza della RPD e organizzando addirittura uno “sciopero” dei suoi dipendenti contro di essa, mentre a sua volta la RPD ha annunciato la nazionalizzazione delle sue proprietà (sulla figura di Akhmetov e sulla sua svolta torneremo quanto prima). Le reali dinamiche del conflitto interno alla RPD rimangono comunque poco chiare e a complicare ulteriormente le cose è giunta la notizia che il “sindaco popolare” di Slavyansk, Vyacheslav Ponomarev, una delle figure più importanti della “fazione di Slavyansk”, ha attaccato durissimamente la dirigenza della RPD minacciando addirittura di marciare sulla città con il suo esercito per riportare l’ordine a Donetsk.
Nel frattempo alcuni nuovi particolari confermano il profilo di estrema destra e piccolo borghese della “repubblica”. La RPD ha approvato un progetto di costituzione che riprende molti dei temi più cari all’intera estrema destra europea. Come spiega nei dettagli il sito anarchico Nihilist alla base della costituzione c’è un integralismo religioso di stampo reazionario e ultranazionalista, come evidenziato da uno dei primi articoli, che parla della “creazione di uno stato indipendente e sovrano mirato a ripristinare lo spazio culturale e di civiltà omogeneo del Mondo Russo, sulla base dei suoi valori religiosi, sociali, culturali e morali tradizionali, con la prospettiva di entrare a fare parte della Grande Russia in quanto aureola del territorio del Mondo Russo, […] rimanendo legati agli ideali e ai valori del Mondo Russo e onorando la memoria degli antenati”. Il progetto assegna inoltre alla Chiesa ortodossa russa (patriarcato di Mosca) il ruolo di colonna portante della repubblica: “L’esperienza e il ruolo storico dell’Ortodossia e della Chiesa Ortodossa Russa (Patriarcato di Mosca) vengono da noi riconosciuti e rispettati, tra le altre cose, anche come colonne sistemiche del Mondo Russo”. L’articolo 21 autorizza la “repubblica”, senza porre limiti, a proteggere i cittadini dalle sette religiose mettendole fuori legge, ma senza definire in alcun modo tali sette e aprendo così la strada alla persecuzione di qualsiasi religione non gradita alla Chiesa Ortodossa Russa. L’articolo 4.3 promuove i valori della “famiglia tradizionale”, bandiera dell’estrema destra europea: “si garantisce il sostegno dello stato alla famiglia tradizionale quale unione tra uomo e donna registrata e regolata dalla legge”. L’articolo 31.3 è apertamente omofobo: “Nessuna forma di unione perversa tra persone dello stesso sesso viene riconosciuta o consentita dalla Repubblica Popolare di Donetsk e ogni tale tipo di unione verrà perseguito dalla legge”. Gli articoli 3 e 12.2 sanciscono il diritto alla vita fin dal momento del concepimento, implicando in tale modo il divieto di aborto.
Il sito ucraino “Insider” e il sito russo “Slon” hanno pubblicato degli interessanti profili di alcuni dei più noti esponenti della RPD, aggiungendo alcuni particolari nuovi a quanto era già noto su di loro. Il potente “sindaco” di Slavyansk, Vyacheslav Ponomarev negli ultimi anni è stato dirigente di azienda ed è proprietario di due imprese. Il passato del già citato Igor Strelkov è in parte ignoto, secondo i servizi segreti ucraini si tratterebbe di un colonnello della Direzione centrale dei servizi segreti del Quartier generale delle forze armate di Mosca, ma come è ovvio non vi sono conferme. Igor Strelkov in passato ha combattuto per svariati anni in Bosnia e in Cecenia ed è un estremista di destra, nostalgico in particolare della “guardia bianca” di Vrangel. Denis Pushilin, il “presidente della repubblica” è stato fino alla fine del 2013, come avevamo già scritto, un funzionario della piramide finanziaria MMM e in più fino all’inizio del 2012 è stato direttore della società commerciale Slaviya-Skhid, di proprietà di un deputato locale del Partito delle Regioni. Roman Lyagin, salito all’onore delle cronache come presidente della commissione che ha organizzato il recente referendum, è un ex funzionario del Partito delle Regioni e ha fondato un’organizzazione non governativa insieme alla moglie di un altro dirigente della RPD, il neofascista Andrey Purgin. Va qui notato che lo stesso Purgin è stato ora nominato vicepremier del governo della “repubblica” e secondo alcune fonti ne é il vero premier, viste le scarse capacità politiche di Pushilin. Il portavoce del parlamento Vladimir Makovich è un imprenditore e ha presieduto la locale Associazione dei Piccoli Imprenditori. Oltre al comune passato (e presente!) neofascista della quasi totalità degli esponenti della RPD, va rilevato che la maggior parte di essi proviene dal mondo imprenditoriale e della piccola borghesia, che costituisce storicamente il terreno di coltura ideale per il fascismo: Gubarev e il suo braccio destro Tsyplakov sono padroni di società pubblicitarie, Borodaj è proprietario di una società di pubbliche relazioni, Makovich, oltre a essere imprenditore lui stesso, ha presieduto un’associazione locale dei piccoli imprenditori locale, Ponomarev è imprenditore e Pushilin è dirigente di azienda.
A Mosca è infine riemerso dando un’intervista Aleksandr Matyushin, il neofascista di Donetsk molto attivo a marzo e aprile nelle occupazioni degli edifici della sua città che hanno portato alla creazione della “Repubblica di Donetsk” e del quale avevamo scritto per esteso. Matyushin ora, in qualità di rappresentante in possesso di un mandato della RPD mantiene i contatti con Mosca e la Bielorussia, grazie anche ai suoi precedenti rapporti con il movimento eurasiatico di Dugin. Nel frattempo è emersa la presenza di un altro noto neofascista tra le fila dei separatisti. Si tratta di Dmitriy Steshin, il quale attualmente, come altri estremisti di destra della Russia, si trova nella regione di Donetsk sotto le mentite spoglie di giornalista (nel suo caso, della filogovernativa “Komsomolskaya Pravda”), salito all’onore delle cronache in questi giorni perché ha pubblicamente richiesto ai paramilitari di Slavyansk di arrestare il collega tedesco Paul Ronzheimer, colpevole di avere criticato nei suoi articoli le modalità di svolgimento del referendum dell’11 maggio. Ronzheimer è stato poi in effetti sequestrato, per essere infine liberato (lo stesso tra l’altro è accaduto al giornalista di “Novaya Gazeta” Pavel Kanygin, colpevole anche lui di avere scritto senza peli sulla lingua delle enormi irregolarità nello svolgimento del referendum). Steshin è stato insieme a Nikita Tikhonov (autore dell’assassinio degli antifascisti Stanislav Markelov e Anastasia Baburova), uno dei più importanti esponenti di “Immagine Russa” (“Russkiy Obraz”), il gruppo neonazista della Russia che, come abbiamo visto nel nostro già citato precedente articolo, è strettamente legato agli attivisti della “Repubblica di Donetsk”. Il cerchio tra i neofascisti della RPD e quelli della Russia si chiude quindi ancora di più.
Infine, “Zavtra”, l’organo dell’estrema destra russa per il quale scrivono sia Strelkov che Borodaj, ha pubblicato il 15 maggio un lungo articolo programmatico di Aleksandr Dugin che, prendendo spunto in particolare dalla strage di Odessa e attaccando ripetutamente l'”ebreo nazista” Kolomojskij (l’oligarca pro-Kiev che controlla la regione di Dnepropetrovsk) invita in particolare Putin a passare subito e con decisione all’attacco prima che i suoi nemici possano fare mosse decisive. E’ interessante notare che per Dugin il presidente russo deve agire non solo direttamente sul fronte ucraino, ma anche su quello interno. Qui Putin, secondo Dugin, deve sbarazzarsi quanto prima e se necessario con metodi sommari sia della “quinta colonna”, cioè l’opposizione liberale, che di quella che definisce la “sesta colonna”, cioè i vari imprenditori e politici che attualmente lo sostengono, ma non sono sufficientemente fidati. Insomma, Dugin invita Putin a togliersi anche gli ultimi veli instaurando un regime ancora più repressivo e militarizzato. Ricordiamo che Dugin, oltre a essere padre spirituale della “Repubblica di Donetsk” e amico personale di molti suoi membri, è in Russia anche un personaggio istituzionale, essendo consigliere della Duma e professore all’Università statale di Mosca.