Quale elemento può accomunare la serie di risultati che hanno caratterizzato il voto europeo dello scorso 25 maggio, al di là della forma elettorale che essi hanno assunto? No vi sono dubbi che questo elemento sia rappresentato da una chiara opposizione alle politiche di austerità che si manifestano, da ormai da tempo, in tutti i paesi europei e che negli ultimi anni hanno subito una profonda accelerazione anche in conseguenza dell’adozione di misure a livello europeo (basti pensare, ad esempio, al cosiddetto fiscal compact).
Non possono essere interpretati altrimenti i risultati che condannano le forze politiche al potere (qualunque sia il loro orientamento formale: a “sinistra” o a “destra”) che, in questi ultimi anni, si sono dimostrate zelanti nell’applicazione delle politiche di austerità: pensiamo, ad esempio, al risultato in paesi come la Francia, la Grecia, la Spagna che hanno visto affermarsi forze che, da angolazioni radicalmente diverse, contestano la politica condotta dall’Unione europea e dai partiti che ne sono responsabili: cioè i partiti di origine democristiana (confluiti nel Partito Popolare Europeo – PPE) e quelli social-liberali (rappresentati dal Partito Socialista Europe – PSE).
Rappresentativi di due modi diversi di capitalizzare a livello elettorale la critica alla politica di austerità condotta a livello europeo (e che si manifesta, lo ricordiamo, con decisioni concrete che condizionano in modo determinante le politiche dei singoli paesi nazionali) sono il caso di Syriza in Grecia e quello del Front National (o, meglio, del Rassemblement Bleu Marine – RBM) in Francia.
In Grecia, seppur con qualche incertezza e qualche scivolamento da parte del gruppo maggioritario all’interno di Syriza, l’idea di una radicale politica economica, finanziaria e sociale viene portata avanti, operando un legame profondo tra i cambiamenti necessari a livello nazionale e quelli a livello europeo.
In Francia l’alternativa alla critica all’attuale politica dell’EU (e dei partiti che la dirigono: un aspetto sul quale insiste il RBM) è invece una risposta di tipo “sovranista”, che vorrebbe rilanciare una politica di concorrenza nazionale, nel quadro internazionale, rafforzata da una politica di “preferenza nazionale” che metta in concorrenza lavoratori nazionali con immigrati. Come si vede un quadro, in definitiva, non troppo lontano da quello difeso da diversi partiti dell’accoppiata PPE-PSE…
Né si possono considerare come negatori di questa nostra lettura i risultati italiani e quelli tedeschi.
Renzi ha potuto sicuramente sfruttare un capitale di “simpatia” per la sua campagna attorno agli 80 euro (tutt’altro che da sottovalutare in un contesto di crisi sociale come quella italiana) e dai suoi annunci di voler lottare contro gli eccessi della “casta” e della odiata ed inefficiente “burocrazia” italiana. Senza dimenticare la capacità dello stesso Renzi, sostenuto dalla stampa e dai gruppi economici maggiori, di far balenare la prospettiva di una non meglio definita “Europa diversa”, un’UE che fosse in grado di cambiare il passo rispetto alle politiche di austerità. Renzi ha sicuramente approfittato di questo contesto: ed essere al governo da poco tempo gli ha permesso di rendere credibile questo discorso.
In Germania (leggero calo della CDU e leggero aumento della SPD) il tema della politica di austerità è ormai acquisito: sono stati i governi degli anni 2000 a dominanza socialdemocratica e poi quelli successivi (CDU o alleati) a realizzarla con la benevolenza attiva delle grandi centrali sindacali.
Resta il fatto che, e non forse a caso, i paesi nei quali vi è stata una risposta elettorale “più a sinistra” sono quelli che in questi ultimi anni hanno potuto contare su grandi mobilitazioni di massa. Pensiamo al caso della Spagna (con l’ottimo risultato del movimento Podemos) o, ancora alla Grecia, con i risultato di Syriza, primo partito.
Ancora una volta, banalmente, la via maestra per la trasformazione radicale (e reale) della società, per poter pensare di mettere in scacco la brutalità economica e sociale del capitalismo reale, è quella della mobilitazione dei salariati, dei giovani, delle donne, dei migranti: cioè di tutti coloro che, in qualche modo, subiscono le oppressioni di questo sistema.
Le elezioni non sono che un rispecchiamento, per altro fortemente deformato, di questa realtà politica e sociale. Cerchiamo di ricordarcelo.
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