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Nigel-FarageHo polemizzato spesso invano con chi presentava come fascista Beppe Grillo e i suoi deputati e senatori, che giustamente ammettevano di essere “inesperienti” (la strana ma efficace definizione era di una delle prime portavoce). Le loro ambiguità ricalcavano semplicemente il senso comune di una discreta percentuale di italiani.

Grillo non era e non è fascista, ma è stato capace di farsi interprete efficace degli umori e delle aspirazioni di un bel pezzo di Italia, che erano il riflesso di un vero e proprio imbarbarimento culturale di cui quella che un tempo era la sinistra porta la prima responsabilità, più di Berlusconi o Bossi. I due però avevano saputo per primi approfittare della situazione, ritagliandosi un ampio spazio di consensi in un paese scontento, un paese allo sbando, per effetto soprattutto dell’emergere della corruzione bipartisan di Tangentopoli. Tutti e due avevano approfittato anche della complicità aperta dei vertici sindacali (CGIL in testa) che avevano consentito lo smantellamento della grande forza operaia che per un decennio aveva pesato – sia pur indirettamente – anche sul terreno politico: ce ne dimentichiamo spesso, ma molte riforme inutilmente discusse per decenni (dalle regioni al divorzio e all’aborto, o all’equo canone), furono realizzate solo dopo l’autunno caldo.

Per anni abbiamo sentito gli sciocchi confondere causa ed effetto, attribuendo la responsabilità di ogni male dell’Italia all’abile ciarlatano emerso nel 1994, dimenticando che la sua resistibile ascesa, dovuta in primo luogo alle sue esigenze personali, era stata facilitata proprio dal PCI-PDS in vario modo: in primo luogo fornendo a una nullità come Mario Segni la forza per realizzare i suoi referendum che aprivano la strada al maggioritario, e poi permettendo al padronato di espellere dalla produzione decine di migliaia di quadri sindacali combattivi e politicamente impegnati. E naturalmente sperando in più occasioni di arrivare a un’intesa duratura con B., chiudendo gli occhi sul conflitto di interessi, e accettandolo come interlocutore privilegiato per le modifiche alla costituzione.

Non dimentichiamo mai che Berlusconi era arrivato al governo soltanto dopo che era stata avviata la controriforma elettorale e dopo che la decimazione dei quadri operai cominciata alla FIAT nel 1980 era stata estesa a tutta l’industria, e aveva permesso il grande attacco all’occupazione, prima causa del disorientamento e della sfiducia che ha portato gran parte della base operaia all’astensionismo o peggio ancora ad abboccare successivamente alle proposte xenofobe della Lega o alle promesse senza pudore del Dulcamara di Arcore.

L’amarezza e l’astensionismo di chi aveva votato a sinistra crebbero dopo molte altre esperienze negative. In primo luogo il salvataggio del programma di Berlusconi, dopo la sua prima caduta. Già dopo pochi mesi di governo si era trovato in difficoltà per l’ampiezza della protesta di piazza nei confronti della sua controriforma delle pensioni, che aveva allarmato la Lega spingendola a sfilarsi dalla maggioranza. Berlusconi era caduto, ma altri ne portarono avanti il programma, e lui sarebbe riemerso più volte grazie al disorientamento del “popolo della sinistra”, regolarmente privato delle sue apparenti vittorie: ad esempio dopo la caduta del primo governo Berlusconi, si era visto riproporre la stessa infame “riforma delle pensioni” da un governo sostenuto dalla sinistra, affidato all’ex ministro dell’economia Lamberto Dini. I sindacati, grazie a ritocchi marginali, cantavano vittoria e diventavano ancora una volta complici e quindi impossibilitati a proporre alternative di lotta. Berlusconi avrebbe recuperato poi nuovamente terreno grazie all’impopolarità di molte misure del centrosinistra, tra cui quelle che hanno introdotto e legalizzato molte forme di lavoro precario e gli attacchi continui a sanità pubblica e scuola di Stato. L’astensione crescente penalizzava prevalentemente la sinistra, delusa dai suoi capi, che portavano avanti senza pudore il programma della destra.

Berlusconi non era diabolico, era ed è ancora (anche se ormai pesantemente ridimensionato e danneggiato dalla inconsistenza della sua squadra) solo un abile comunicatore in grado di interpretare e canalizzare in direzioni sbagliate il malcontento della gente. È importante tenerlo presente, perché Grillo quando ha deciso di entrare in politica, dopo essersi dedicato alla lotta contro i televisori prima, o i computer in una fase successiva, ha tenuto conto largamente della sua esperienza; comunque ha beneficiato di almeno un ventennio di “lotta alle ideologie”, di cui la responsabilità non era del solo Berlusconi. Anzi, la responsabilità del cav. era senz’altro minore di quella dei quadri provenienti dal PCI, che erano stati in prima linea nella cancellazione del loro patrimonio originario di idee, compreso lo stesso antifascismo; avevano anche smantellato la struttura militante del partito, sostituendo le sezioni con circoli leggeri puramente elettoralistici, e i congressi con le primarie all’americana, aperte anche ai passanti e in certe regioni anche agli organizzatori di truppe cammellate fornite dalla criminalità. Quanto alla formazione dei quadri, di cui ora riparla Renzi dopo venti anni di interruzione, avevo avuto modo di vedere da vicino il penoso funzionamento della Scuola di partito delle Frattocchie nei suoi ultimi anni, poco prima della sua totale soppressione nel 1993. Era bizzarramente eclettica e assolutamente inutile. Va detto che neanche le attività di formazione più volte lanciate nel PRC avevano un minimo di utilità. Chissà che potrà venir fuori dai cervelli renziani…

Grillo si è mosso con abilità tattica nella situazione creata da un ventennale alternarsi di governi di partiti diversi, ma con programmi analoghi ed evidentissime intese dietro le accese polemiche di facciata. Ha creato una leadership personale che beneficia delle sue capacità di istrione, ma ricavarne la tesi che questo provi la natura fascista del suo movimento è grottesco. Ben altra e più terribile forza era il fascismo, che non si identificava con il semplice leaderismo. Come ignorare d’altra parte che oggi la lotta politica ed elettorale, in assenza di ideologie e programmi diversi, si riduce al confronto tra leader, e che tale è stata anche in queste europee? La forza di Renzi è stata quella del primo Berlusconi: l’aggressività e lo spaccio di vecchie ricette per nuovissime e indispensabili medicine, oltre al fatto di essere meno respingente dei suoi scialbi e penosi predecessori alla segreteria del PD.

Presentare Grillo come fascista serve a negare le colpe delle forze politiche preesistenti, del cui discredito si era avvantaggiato il M5S apparendo un’alternativa ad esse (senza esserlo) nelle elezioni del febbraio 2013. D’altra parte si è avvantaggiato anche in queste, mantenendo un livello non trascurabile di consensi nonostante l’effetto congiunto dell’attacco distruttore di tutti i media, combinato con le gaffes e gli errori del suo imprevedibile e imprudente capo. Il suo 20%, con candidati del tutto sconosciuti, sarebbe stato un sogno per il PRC anche ai suoi tempi migliori.

Quando lo scontro non è sui programmi (anche quello del M5S non è un vero programma, ma un’insieme di proposte frammentarie spesso corrette ma assolutamente non incisive), diventa logico che il confronto e la scelta avvenga prevalentemente sulle immagini dei leader. Mi pare assurdo che si chieda a Grillo di dimettersi (da che cosa?) come fanno da pulpiti diversi alcuni discutibili personaggi che hanno accumulato ben altre sconfitte nel corso di anni. In questo modo si spinge a un arroccamento intorno a lui e a un rinvio di un dibattito necessario, mentre sarebbe auspicabile che nel movimento si riesca ad avere un funzionamento più collegiale, utilizzando l’esperienza accumulata da molti dei deputati e senatori del movimento. Per farlo, si dovrebbe adottare una struttura di consultazione più formale, non legata solo alla scelta dei candidati, tanto più tenendo conto che sia Grillo che molti “cittadini” hanno ormai cominciato a definirsi a volte “il secondo partito”.

Ovviamente Grillo farebbe bene a smettere di prendere iniziative che offrono preziosi assist alla squadra avversaria, come quella di cercare, per giunta all’insaputa della maggior parte degli eletti, una inutile e dannosa alleanza col movimento Ukip di Nigel Farage. Anche se Alessandro Di Battista nel suo blog scrive spiritosamente che “inqueste ore molti (non tutti) i media inglese stanno allarmando i cittadini sulla possibilità che Farage faccia un gruppo parlamentare a Bruxelles assieme ad un pericoloso nazista-comunista-eversivo come Beppe Grillo”, ed è sostanzialmente vero, l’intesa con quel partito è priva di senso in un movimento che ha sempre rifiutato qualsiasi accordo con forze politiche italiane. L’Ukip proviene dal partito conservatore, quello della Thatcher. Non è razzista, dice, ma chi ha mai conosciuto qualcuno che ammetta di esserlo? La formula abituale è: “non sono razzista, ma…”http://feeds.feedburner.com/%7Er/AlessandroDiBattista/%7E4/dnfAv_7oMW0?utm_source=feedburner&utm_medium=email Comunque Farage ha grande stima per Putin, chissà se questo lo renderà più accettabile a certi “campisti” del manifesto schierati pregiudizialmente contro l’Ucraina?

Il problema principale è un altro. Mentre il M5S, in parte inevitabilmente, per la sua formazione recentissima, ha su molte questioni posizioni assai sfumate e vaghe, l’Ukip in venti anni ha consolidato molte idee inequivocabilmente di destra, a partire dall’appoggio al nucleare e dall’attacco alle migrazioni anche all’interno della comunità europea (anche se con perfetta incoerenza Farage ha una moglie continentale, come Bossi ce l’ha siciliana). Il problema è che per fare un gruppo insieme bisogna avere deputati eletti in ben sette paesi diversi. Una norma antidemocratica, senza dubbio, e che non facilita la chiarezza, come invece sostiene Di Maio, ma solo accordi ipertattici e ambigui. Per questo l’Ukip aveva fatto alleanza con la Lega Nord rappresentata dall’immondo Borghezio, che ha poi scaricato quando questo ha esagerato con le sue provocazioni, e l’aveva fatta col MSI quando il partito neofascista c’era… Insomma si mette insieme una assurda compagnia di destra che come minimo farebbe saltare l’argomento principe del M5S: “non siamo né di destra né di sinistra”. Farage garantisce che darebbe libertà di dire quel che vuole a ciascuno: bel contributo alla chiarezza!

E per ottenere che cosa? Questo è il problema principale. Il Parlamento europeo conta pochissimo e conterà ancora meno con questa composizione e i pasticci e i compromessi che saranno necessari tra i grandi blocchi di eletti per spartirsi gli incarichi. Di fatto, come per il parlamento italiano (di cui il M5S ha una specie di culto immotivato, al punto che ha fatto perfino seminari di discussione del suo regolamento), il M5S rischia di screditarsi trovandosi in pessime compagnie pur di ottenere una vicepresidenza di commissione o qualcosa del genere. Che non conta niente, come dovrebbero aver capito alla Camera e al Senato italiani. Insomma, più che discutere se sono meglio i verdi (non lo sono neanche loro, che hanno nella loro coalizione diversi esponenti di pessimi partiti sostenitori degli interventi NATO, o peggio) o la cordata di Farage, bisognerebbe capire che si deve usare anche l’europarlamento soprattutto come tribuna, magari sconvolgendone i noiosi e paralizzanti rituali che Alain Krivine, che vi fu eletto per una legislatura, descrisse magistralmente su una pagina di Le Monde, ripresa in Italia dal Manifesto. Anche divertendosi a fare casino, benissimo, ma ciascuno per conto suo, per denunciarlo, senza illusioni di rendere democratico uno strumento nato come assolutamente burocratico…

Postilla. Un compagno mi ha chiesto perché insisto tanto nel negare che Grillo sia fascista. Basterebbe una spiegazione elementare: perché non lo è, e non c’è nulla di più pericoloso del fare una diagnosi scorretta. D’altra parte mi ha sempre dato fastidio che la sinistra vedesse fascisti ovunque, anche se erano solo dei semplici reazionari. Per gran parte della “nuova sinistra” era fascista Fanfani, anzi era “fanfascista”, lo era Comunione e Liberazione, per il PCI erano fasciste l’Autonomia Operaia e le Brigate Rosse, per non parlare del partito comunista tedesco che tra il 1929 e il 1932 considerava fascisti i predecessori democristiani di Hitler come Brüning, ecc. Dire che Grillo non è fascista quindi è una semplice constatazione, non un appoggio alla sua linea, dato che sono altre le critiche che gli si possono fare, ad esempio sulla fragilità della sua proposta contro la “casta”, di cui non coglie che non è il centro del potere reale ma è subalterna al grande capitale (non a caso la campagna contro la casta è partita da due giornalisti del principale quotidiano della borghesia italiana). Sul fascismo e la sua definizione mi limito a rinviare sia al mio opuscolo inserito sul sito (Fascismo vecchio e nuovo), sia al testo di Alain Bihr http://anticapitalista.org/2014/04/28/alain-bihr-su-destra-in-europa-lo-stato-fascista-non-e-lunica-forma-possibile-di-stato-deccezione-in-uno-scenario-capitalista/ e anche a La crisi del 1929 e l’ascesa del fascismo

Ma c’è un’altra ragione per non partecipare al coro da stadio bipartisan che presenta il M5S come se fosse l’unico problema dell’Italia. Una parte del movimento comincia ad essere inquieto sull’insufficienza delle analisi e delle proposte fatte finora, e pur ribadendo la loro fedeltà al progetto originario vorrebbe ridiscuterlo alla luce delle esperienze fatte nelle istituzioni. Ho scritto più volte che la mancanza di un meccanismo di consultazione democratica (che manca al M5S come peraltro a tutte le altre forze politiche) rischia di provocare crisi esplosive, anche per la diversa provenienza dei militanti e degli eletti, crisi che potrebbero essere superate senza traumi solo attraverso un dibattito generale ben organizzato. In caso contrario e in seguito ad altri possibili arretramenti, è possibile che agiscano forze centrifughe di varia natura (per il momento sembra che tra le prime dissidenze e tra gli espulsi prevalga sciaguratamente l’attrazione fatale del PD).

Come può la sinistra disinteressarsi dell’esito di questo processo? Una parte del M5S nel corso di quest’anno ha spesso sostenuto tematiche di sinistra, ha combattuto il PD definendolo di destra: perché escludere che possa contribuire alla ricostruzione di una sinistra? Se anche solo la metà di quel che è ora il M5S assumesse queste caratteristiche, sarebbe sempre superiore numericamente al PRC nei suoi momenti migliori. Se si separeranno o meno, se prevarranno le tematiche di sinistra o quelle legate ai mal di pancia della “gente” più spoliticizzata e confusa, non dipende da noi. Ma una critica seria e senza definizioni insultanti potrebbe facilitare il loro dibattito, mentre le demonizzazioni isteriche spingono sicuramente all’arroccamento, alla chiusura, che porta a respingere (assimilandoli ai nemici più accaniti) perfino quelli che potrebbero essere compagni di strada autorevoli e prestigiosi, appena muovono critiche: è toccato a Stefano Rodotà, e ora, a distanza di pochi giorni dal grande spazio lasciatogli al comizio di San Giovanni, a Ferdinando Imposimato, per non parlare della sorte toccata a Marco Travaglio. Ma ci sono molti altri esempi. Va detto però che l’apertura di Barbara Spinelli al M5S è stata ignorata, anche perché subito si è levato un coro indignato contro di lei dall’interno della Lista Tsipras.

Ci vorrebbe una tattica, quindi delle proposte concrete di azione comune, non certo gli insulti. Ma siamo ben lontani dal farlo, più comodo esorcizzare il diavolo di turno, evitando di interrogarci sulle nostre responsabilità.