Dopo la nuova scoperta dell’acqua calda, cioè che un’opera costosissima come il MOSE di dubbia utilità e di probabile pericolosità per l’ecoambiente della laguna, ha vinto tutte le resistenze coinvolgendo il massimo numero possibile di coloro che avrebbero dovuto controllare l’impatto e il costo dei lavori, è cominciata una penosa gara a chi propone i rimedi più energici alla “piaga della corruzione”.
C’è stato il senatore Giarrusso del M5S che ha proposto la ghigliottina, evidentemente affascinato dalla certezza che tutti i pennivendoli di regime lo avrebbero preso alla lettera e denunciato come boia sanguinario. Pare che l’idea di offrire un assist all’avversario sia irresistibile per alcuni. Naturalmente Renzi non poteva farsi superare, e quindi ha sparato la proposta di considerare la corruzione dei politici “alto tradimento”. Un reato che in tempo di guerra comportava la pena di morte.
Renzi ha parlato anche di “Daspo a vita”, sicuro che l’allusione al gergo del calcio e del tifo sia più comprensibile. Vorrebbe dire: fuori per sempre i corrotti dagli incarichi politici, ma che sia solo una battuta lo si capisce da quanti corrotti, da sempre denunciati dalla rara stampa non arruolata, o in libri documentatissimi, riempiono le sale di parlamenti e consigli regionali, comunali, ecc. Non solo, ma anche nel PD!
Per funzionare, queste proposte avrebbero comunque bisogno di una “piccola riforma”: non dover aspettare il giudizio in cassazione per mandar via i politici corrotti. Ma nessuna delle forze presenti, tutte implicate in questo o quello scandalo, può rinunciare alla presunzione di innocenza, e accettare che si decada sistematicamente dall’incarico appena si viene scoperti con le mani nel sacco. E anche molti cittadini onesti, che però non considerano infallibile la magistratura, sarebbero preoccupati da un’eventuale eliminazione del ricorso in appello dopo una condanna.
Va detto per giunta che in Italia nelle carceri c’è solo uno 0,4% di “colletti bianchi” detenuti, mentre la media UE è del 4,1%. E si badi che “colletti bianchi” non vuol dire i grandi imprenditori e i personaggi politici di primo piano, che di norma al massimo vanno ad aspettare l’assoluzione ai domiciliari, cioè nella villa con piscine ed eliporto che si sono fatti regalare dai “soci”, ma si riferisce agli impiegati, le segretarie, i portaborse che hanno collaborato da subalterni al crimine del loro capo e ne hanno ricevuto le briciole.
Comunque, per essere efficace, la proposta di Renzi avrebbe bisogno di un’altra cosa: che i soli corrotti e corruttori fossero gli uomini politici. Mentre invece, all’origine della corruzione c’è semplicemente l’enorme sperequazione tra le enormi ricchezze di pochi capitalisti, e la massa dei cittadini. Compresi gli ufficiali della Guardia di Finanza, pagati un po’ più della media, ma sempre molto meno di quelli che dovrebbero controllare. Ne avevo accennato in un recente articolo su La grande corruzione delle “Grandi Opere” , ma poi su “il Fatto quotidiano” un’intera pagina ha ricordato i molti casi in cui vennero scoperti i malfattori proprio al vertice delle Fiamme Gialle, fin dal lontano 1973 in cui esplose il primo caso clamoroso: il comandante generale Raffaele Giudice e il capo di Stato maggiore Donato Lo Prete furono trovati immischiati in una colossale truffa allo Stato, che approfittava della differenza di tassazione tra i combustibili normali e quelli destinati all’agricoltura. I due erano appoggiati dal servizio di intelligence della Finanza, e da molti altri ufficiali, che casualmente risultarono tutti iscritti alla P2. Altri hanno avuto la stessa sorte e molti, come Marco Milanese, che è poi diventato il braccio destro di Tremonti, che ospitava a casa sua, hanno cominciato la loro ascesa come ufficiali della Finanza. E così tanti alti funzionari dell’Agenzia delle Entrate (da Marco Di Capua a Luigi Magistro, ma l’elenco sarebbe troppo lungo) provenivano dalle Fiamme Gialle.
Una predisposizione? No. Certo non tutti hanno partecipato al banchetto, alcuni hanno collaborato con i giudici contribuendo a smascherare i loro superiori. Ma è una traccia per capire cosa c’è a monte della corruzione: la sperequazione tra le entrate. Molti ufficiali della Finanza osservando l’economia reale, ad esempio i profitti favolosi consentiti ai petrolieri, e realizzati spesso giocando sullo scarto tra i prezzi effettivi del combustibile importato e quelli finali, sono stati tentati di arrotondare lo stipendio lubrificando i traffici in cui si imbattevano, e alla fine partecipando in proprio come veri e propri soci. Era la conseguenza dell’esistenza di enormi ricchezze in poche mani, accompagnata sempre da varie forme di illegalità, di elusione o di vera e propria evasione o riciclaggio.
Basta ammorbidire un rapporto e il mancato controllore ricava somme da capogiro per “grazia ricevuta”. O riceve prestazioni particolari, dalle escort messe a disposizione, alla ristrutturazione di una casa, ecc. D’altra parte nessuno dall’alto chiede severità, sono interessati in molti a lasciare le cose come stanno, e spesso denunciano i giudici “giustizialisti” e “populisti”. Così la corruzione inevitabilmente ha coinvolto un numero crescente di uomini politici, tanto più facilmente in un epoca in cui si era proclamata la fine delle ideologie, rottamate insieme all’etica.
Tutte le scelte politiche d’altra parte, da almeno quarant’anni, sono state finalizzate a garantire sgravi fiscali alla fascia superiore dei redditi, facendo aumentare vertiginosamente le disuguaglianze (e il debito). Le banche italiane, ben prima che esistesse la BCE, assicuravano tassi irrisori a chi già possedeva grandi capitali, e tassi usurai a chi chiedeva semplicemente un mutuo. L’obiettivo dichiarato era incoraggiare i capitalisti grandi e piccoli a investire. Ma tutti sanno che lo hanno fatto solo dove gli si garantiva un profitto maggiore, e quindi hanno preferito avventure speculative in paesi lontani, lasciando invecchiare e decadere le fabbriche in Italia.
E qui veniamo alle proposte che circolano in questa fase di grande emozione per l’immensità dello scandalo: non è solo applicando con severità e tempestività il carcere ai corrotti e corruttori (come si fa agli altri cittadini) che si risolve il problema. Neppure allungando le pene previste, o col blocco dei vitalizi per i corrotti, che è stato proposto da Grasso. Primo dubbio: non dovevano essere eliminati per tutti? Secondo: come evitare ricorsi contro una misura punitiva applicata prima di una condanna definitiva? Possiamo stare sicuri che disponendo di legioni di avvocati, i colpiti sparerebbero ricorsi su ricorsi alla corte costituzionale o a quella europea.
Ben più efficace e semplice sarebbe la confisca totale e immediata dei beni sottratti alla comunità o dei fondi neri scoperti, o dei capitali esportati illegalmente, come è stato fatto per un certo periodo con la mafia (che tuttavia spesso si ricomprava le proprietà confiscate, che nessuno osava acquistare). Una misura che servirebbe non solo per rispondere al malcontento di chi vede che ti confiscano la macchina o i mobili se non hai pagato una tassa, mentre i corrotti si tengono il malloppo.
Una campagna di smascheramento dell’evasione con l’obiettivo della confisca potrebbe ottenere la collaborazione di molti dipendenti che hanno visto i passaggi illegali senza esserne responsabili, e che capirebbero che potremmo pagare tutti un po’ meno tasse, se si riuscisse a farle pagare a chi non le ha mai pagate.
Ogni anno annunciano solennemente che hanno trovato decine di miliardi di evasione, ma le entrate effettive ricavate da questa voce risultano poi irrisorie. Le multe, anche nella nuova legge proposta dal guardasigilli Orlando, sono una beffa: da 10.000 a 100.000 euro! I pagamenti delle penali per i signori evasori sono poi sempre rateizzate e dilazionate. Per i capitalisti di ogni genere, anche i più rapaci e non ben distinguibili dalla criminalità organizzata, di cui spesso riciclano i miliardi, si prevedono facilitazioni permanenti. Per l’occupazione, si annuncia periodicamente, ci saranno sgravi fiscali. Ma non sono per i lavoratori, bensì per i “prenditori”…
L’argomento principe degli ipocriti è che non si tratta di modificare le norme, ma di punire i singoli ladri (ricalcando il giudizio di Craxi su Tangentopoli, che attribuiva a un singolo “mariuolo”, Mario Chiesa). Soprattutto, si ripete, non si possono bloccare i lavori del MOSE e dell’Expo15 che, anche se in grave ritardo, devono concludersi entro il 2015, per il bene dell’Italia. Questa è una pura sciocchezza. Se sono inutili e dannosi (come sicuramente l’Expo15), sarebbe meglio fermarlo e riciclare parte di quel che è stato costruito, come è stato già fatto trasformando in canale di scolo quello che doveva essere un canale navigabile… Anche perché è ridicolo pensare che vengano 20.000.000 di persone per vedere l’Expo15. Lo scopo del progetto erano solo i miliardi da lucrare.
Ma se proprio si deve finire, non sono i capitalisti che ci hanno mangiato sopra quelli indispensabili per finire i lavori. Loro sono specialisti solo nel pagare e riscuotere tangenti, invece ci sono gli ingegneri, gli architetti e i tecnici, che insieme ai lavoratori potrebbero proseguire i lavori se si decidesse che smettere ora costerebbe più caro. Questo vale anche e soprattutto per il MOSE. Sempre se si concludesse che non è pericoloso come sostengono tanti scienziati, si potrebbe finirlo anche con i responsabili delle ruberie chiusi in carcere. Semplicemente si toglierebbero i soldi a chi se ne è appropriato, per garantire la conclusione.
È la stessa logica che abbiamo proposto per l’ILVA: esproprio totale senza indennizzo per i capitalisti criminali e incompetenti della famiglia Riva e i manager provenienti dalla vecchia gestione IRI dell’Italsider, la cui funzione non è indispensabile; la ristrutturazione e risanamento potrebbero avvenire senza la chiusura totale e permanente degli impianti utilizzando la competenza di quelle minoranze di tecnici e operai che avevano denunciato i crimini ambientali e il mancato adeguamento degli impianti finalizzato ai profitti dei Riva, e con la collaborazione e il controllo di medici e scienziati che hanno studiato gli effetti sciagurati della gestione attuale e di quella precedente.
Avevo già denunciato il coro che ripete su tutti i mass media: “bisogna punire i corrotti, ma non si deve rinunciare alle Grandi Opere, che servono alla crescita dell’Italia”. Eppure a una di esse, la più spudorata, e la più apertamente collegata ad esigenze della criminalità (mafiosa, della ndrangheta, o della politica bipartisan), cioè il Ponte sullo Stretto, si è rinunciato, anche se erano stati già spesi insensatamente molti soldi, mentre mancava la viabilità al di qua e al di là dell’ipotetico ponte. Per la TAV in Val di Susa si farebbe in tempo benissimo a smettere, perché le spese maggiori fatte sono quelle per la “sicurezza” dei lavori proteggendoli dalla popolazione che non li vuole, mentre gli scavi veri e propri sono molto indietro.
Ma occorre una grande campagna per far capire a livello di massa che la corruzione più grave è nella scelta stessa di “Grandi Opere” inutili e costosissime, in un paese che non ha più la manutenzione ordinaria delle sue ferrovie, degli argini dei fiumi, delle montagne che franano, ha tagliato l’assistenza a malati e anziani, e non offre la certezza di una pensione adeguata a chi ha lavorato per una vita. Una politica di “piccole opere” controllate dalle comunità locali costerebbe molto meno, ma soprattutto offrirebbe una prospettiva concreta di lavoro ai giovani, senza costringerli a cercarlo in terre lontane.