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renzieuropaIl Consiglio Europeo, l’organismo che definisce i grandi orientamenti dell’Unione Europea e di cui fanno parte i capi di stato e di governo dei diversi paesi del continente, è impegnato da alcuni giorni in un’articolata trattativa per definire il testo politico e la proposta del Presidente della Commissione Europea.

I giornali presentano la realtà come ci si trovasse di fronte a un acceso confronto tra quelli che vorrebbero superare l’austerità come il Presidente del Consiglio Renzi e quelli (i nordici) che vogliono lasciare le cose come stanno.

La posta in gioco della discussione del Consiglio Europeo è invece di trovare gli equilibri necessari tra i diversi interessi delle borghesie nazionali, ma restando ben all’interno della realtà neoliberista da tutti i soggetti difesa e sostenuta. Come ha specificato chiaramente la stessa Merkel. ” Nessuno ha chiesto un cambiamento delle regole sui deficit e nessuno lo chiederà”. “Flessibilità e riforme” sono così le parole magiche ripetute all’infinito con cui si cerca di rispondere al voto delle recenti elezioni europee in cui, in diverse forme, è emerso tutto il malessere, lo scontento ed anche la disperazione di vasti settori della popolazione di fronte ai disastri compiuti dalle politiche dell’austerità; le parole sono la nebbia con cui mascherare le regole dei trattati e del fiscal compact, che rimangono intatte con tutto il loro portato di misure antipopolari, di precarietà, di disoccupazione di attacco alle condizioni di vita e di lavoro delle classi popolari.

Per spiegare ancora una volta le manovre e la propaganda ingannevole del nostro Presidente del Consiglio in Italia e in Europa riprendiamo un articolo di Luca Pandolfi dal Manifesto di venerdì che ripercorre i contenuti dei trattati e dei regolamenti europei che né la Merkel, né Hollande, né Renzi, né tanto meno Juncker hanno intenzione di rimettere in discussione e che sono alla base dell’attuale modello capitalista di integrazione europea (N.d.R.)

Italia-Europa. È in corso un imbroglio da parte di chi non ha la minima intenzione di mettere in discussione l’attuale modello di integrazione europea.

Da un po’ di tempo a que­sta parte, tirare all’austerity è diven­tato lo sport pre­fe­rito degli uomini poli­tici e di governo del nostro paese. Tra i cam­pioni di que­sta disci­plina spicca per per­vi­ca­cia il pre­mier Renzi, che di dichia­ra­zioni anti-austerity ha riem­pito in poco più di un anno un cam­pio­na­rio da guin­ness dei primati.

Nes­suno, però, men che meno il gio­vane capo del governo, ha spie­gato come l’Italia, con­cre­ta­mente, potrebbe scio­gliersi dalla morsa asfis­siante dei vin­coli euro­pei, che, banal­mente, discen­dono da trat­tati e rego­la­menti la cui pater­nità è anche nostra, in quanto mem­bri del Con­si­glio euro­peo e dell’Eurogruppo.
Si tratta, chia­ra­mente, di un imbro­glio, con­su­mato scien­te­mente a danno degli ita­liani, da parte di chi, governo com­preso, non ha la minima inten­zione di met­tere in discus­sione l’attuale modello di inte­gra­zione europea.

Il nostro paese, insieme agli altri part­ner dell’Eurozona, sog­giace ad una serie di regole che ne limi­tano pesan­te­mente l’autonomia sul ver­sante delle poli­ti­che eco­no­mi­che e di bilan­cio. È giu­sto ritor­narci, per­ché un’eventuale – e auspi­ca­bile — fuo­riu­scita dall’austerity non potrebbe pre­scin­dere dalla rot­tura della gab­bia d’acciaio in cui attual­mente siamo rinchiusi.

Tale gab­bia si chiama gover­nance euro­pea e si com­pone di una serie di vin­coli per i bilanci pub­blici — ispi­rati a rigidi con­cetti di sta­bi­lità e di soste­ni­bi­lità delle poli­ti­che che vi affe­ri­scono, tra cui spic­cano i noti (o fami­ge­rati) para­me­tri sul defi­cit e sul debito in rap­porto al Pil — e di stru­menti atti a pre­ve­nirne o a cor­reg­gerne gli squilibri.

Per quanto riguarda la regola del defi­cit, da Maa­stri­cht in giù sono cam­biate tante cose. A comin­ciare dalla stessa soglia del 3% di cui molto – e spesso a spro­po­sito – si parla. Essa rimane, ovvia­mente, come limite inva­li­ca­bile, ma l’introduzione dell’Obiettivo di Medio Ter­mine (Omt) nel 2005 ha impo­sto agli stati mem­bri dell’area euro nuovi e più strin­genti para­me­tri (defi­cit com­preso tra –1% del Pil e il pareg­gio, o il sur­plus, tenendo conto del saldo strut­tu­rale, ovvero del saldo di bilan­cio al netto della com­po­nente ciclica e delle misure una tantum).

Col Fiscal com­pact, nel 2012, l’Omt per i paesi dell’Eurozona è stato fis­sato allo 0,5%. Com’è noto, accanto alla «regola del defi­cit» c’è la «regola del debito», intro­dotta nel 2011 con il Six Pack, l’insieme dei rego­la­menti che hanno pro­fon­da­mente modi­fi­cato la gover­nance euro­pea, poi ripresa nel Fiscal compact.

Cosa dice que­sta regola? Che la quota del rap­porto debito/PIL in eccesso rispetto al valore del 60% debba essere ridotta ad un tasso di 1/20 all’anno, avendo come rife­ri­mento la media dei tre pre­ce­denti eser­cizi. L’ora «x» per il nostro paese (valu­ta­zione di con­for­mità della Com­mis­sione) è fis­sata al 2015.

Il cer­chio si chiude, come già accen­na­vamo, con gli stru­menti di pre­ven­zione, di sor­ve­glianza e di cor­re­zione auto­ma­tica, che con­sen­tono al sistema di «funzionare».

Nella sostanza par­liamo di una serie di inter­venti a monte (brac­cio pre­ven­tivo) e a valle (brac­cio cor­ret­tivo) nel pro­ce­di­mento di for­ma­zione del bilan­cio dello stato e nella defi­ni­zione delle poli­ti­che eco­no­mi­che pub­bli­che che, di fatto, hanno esau­to­rato i governi ed i par­la­menti nazio­nali nelle loro pre­ro­ga­tive costi­tu­zio­nali in mate­ria (lo chia­mano «coor­di­na­mento e sor­ve­glianza delle poli­ti­che eco­no­mi­che e di bilan­cio nell’Unione»). Alla base di que­sto com­pli­ca­tis­simo edi­fi­cio di regole e di poteri c’è un prin­ci­pio sem­pli­cis­simo: l’indebitamento è un pro­blema e come tale va affron­tato e risolto, agendo sulla sua matrice (spesa in defi­cit) ed ope­rando a tappe for­zate per la sua ridu­zione (deleveraging).

Il dramma è che l’accelerazione su que­sto ver­sante si è avuta quando la crisi stava già pro­du­cendo i suoi effetti reces­sivi sull’economia euro­pea. E’ stata la rispo­sta – folle – che l’Europa, attra­verso le sue isti­tu­zioni, ha dato alla crisi scop­piata oltreo­ceano nel 2007–2008.

I danni sono sotto gli occhi di tutti: è stato asse­con­dato il ciclo eco­no­mico nega­tivo anzi­ché con­tra­starlo. Basta fer­marsi ai dati sulla disoc­cu­pa­zione. Dal 2007 al 2013 i disoc­cu­pati nell’Eurozona sono pas­sati da 11,6 a più di 19 milioni. In Ita­lia da 1,5 a 3,1 milioni, pra­ti­ca­mente il doppio.

Nel 2009 il nostro paese «van­tava» un tasso di disoc­cu­pa­zione infe­riore di 2 punti per­cen­tuali alla media euro­pea (7,4% con­tro 9,5% Ue), oggi viag­giamo intorno al 14% (gio­va­nile al 46%). E’ il debito? Nel nostro paese, sia in ter­mini asso­luti che in rap­porto alla ric­chezza nazio­nale, è andato alle stelle. Quando si dice “ete­ro­ge­nesi dei fini”! Fa bene, per­ciò, il pre­mier Renzi a dire che l’austerità ci sta facendo male. Ma, com’è nella sua abi­tu­dine, non ci spiega come que­sta sua «sen­si­bi­lità» («Basta auste­rità, biso­gna cam­biare verso») possa spo­sarsi con il rispetto dei vin­coli euro­pei («Dob­biamo tenere i conti in ordine per i nostri figli»), intorno ai quali ruota tutta l’impalcatura del Def appro­vato ad aprile. Né ha chia­rito come il man­te­ni­mento della tabella di mar­cia con­te­nuta in quest’ultimo atto, rela­ti­va­mente agli obiet­tivi di finanza pub­blica (con­se­gui­mento del pareg­gio strut­tu­rale nel 2016 e rispetto della regola del debito), sia com­pa­ti­bile con i dati reali che pro­ven­gono dall’economia, quasi tutti al ribasso rispetto alle pre­vi­sioni già «pru­denti» di qual­che mese fa. Dicia­molo chia­ra­mente: il nostro paese non è nelle con­di­zioni di rispet­tare que­gli impe­gni. Sareb­bero neces­sari sur­plus pri­mari (eccesso della rac­colta fiscale sulla spesa pub­blica al netto degli inte­ressi sul debito) straor­di­nari, il cui con­se­gui­mento impor­rebbe tagli dra­co­niani alla spesa e livelli di tas­sa­zione del tutto inso­ste­ni­bili (gli 80 euro sono ser­viti come arma di distra­zione?). Il 1 luglio si apre il seme­stre di pre­si­denza ita­liana della Ue. Il pre­mier vorrà essere con­se­guente con le sue pro­po­si­zioni? Ponga all’ordine del giorno la revi­sione dell’intera gover­nance europea.

Ci stu­pi­sca, insomma, oppure la smetta di pren­dere in giro gli italiani.