Benjamin Netanyahu, primo ministro e ministro della difesa israeliano ha dato ordine giovedì sera all’esercito di Israele di lanciare un’offensiva terrestre su Gaza. Prima di venerdì, il giorno musulmano della preghiera.
Un comunicato dell’esercito israeliano ha dichiarato che l’offensiva israeliana coinvolgerà «la fanteria, mezzi corazzati, corpi di ingegneri, dell’artiglieria e squadre di informazione, combinati con un sostegno aereo e navale».
L’occupante israeliano ha ammassato decine di migliaia di soldati al confine di Gaza per l’offensiva terrestre. L’operazione, iniziata giovedì sera 17 luglio ha già ucciso molte persone.
Gli ospedali sovraffollati straripano. Medici palestinesi sottolineano la probabilità dell’utilizzo di gas incapacitanti. Gli obitori rigurgitano di cadaveri. Questo, in nome della «difesa della popolazione israeliana» contro i missili che sono neutralizzati dalla «Cupola di ferro».
Secondo l’ONU, almeno 1370 case sono state distrutte nella striscia di Gaza, e più di 22.000 persone sono sfollate in seguito ai recenti attacchi.
L’invasione progressiva inasprirà una forma di tortura imposta a una popolazione costretta a vivere in una prigione a cielo aperto: Gaza.
La rete elettrica e quella idrica sono quasi annientate, cosa che è l’espressione dell’occupazione di fatto di Gaza, che si pretende evacuata nel 2005. Fathi Sheik Khalil, direttore dell’Ufficio dell’elettricità a Gaza ha dichiarato all’AFP, il 18 luglio: «Tutte le linee con Israele sono state tagliate. Non riceviamo niente elettricità da Israele. Normalmente riceviamo 120 MW. Oggi, zero». E aggiunge «Abbiamo chiesto alla Croce Rossa di cooperare con le nostre squadre per riparare alcune delle linee tagliate a Gaza. Abbiamo anche chiesto ai servizi israeliani dell’elettricità di riparare alcune linee dal loro lato, ma hanno risposto che era troppo pericoloso».
Nella striscia, alla penuria di cibo e all’impennata dei prezzi si aggiunge il rischio di una crisi perenne dell’acqua. Dal decimo giorno di incursioni aeree israeliane, circa 600.000 mila abitanti di Gaza si sono trovati a corto di acqua potabile a causa dei bombardamenti, hanno sottolineato martedì 15 luglio molte associazioni umanitarie.
La situazione, che era stata ristabilita solo molto parzialmente, faceva loro temere, già prima dell’offensiva terrestre, una crisi molto più persistente. «È l’insieme della popolazione che rischia di mancare disperatamente di acqua tra qualche giorno», ha denunciato martedì 15 luglio Jacques de Maio, capo della delegazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) in Israele e nei Territori Occupati. «Se non si fermano le ostilità, il problema non sarà di sapere se, ma quando una popolazione già spossata soffrirà di una grave penuria di acqua».
L’operazione «Margine Protettivo» ha causato gravi danni alle fragili infrastrutture idriche, in particolare nel sud del territorio. «L’approvvigionamento di acqua di più di 31.000 abitanti è stato gravemente alterato, o anche annientato, nelle città di Gaza, Khan Yunis e Beit Hanun» sottolinea Paolo Lubrano, direttore locale di Action contre la faim, nel territorio palestinese occupato. «La rete idrica è stata colpita in diciotto punti: molti pozzi sono distrutti, i danni sono terribili».
La situazione è esacerbata dall’intensificarsi delle incursioni, che impediscono ai tecnici e agli esperti di procede a riparazioni essenziali sulla rete. La morte di molti di loro ha spinto il servizio di distribuzione dell’acqua a sospendere tutti gli interventi sul terreno, finché la sicurezza del suo personale non potrà essere garantita.
Le associazioni umanitarie si organizzano da parte loro per rimediare alla minaccia di una grave penuria. Distribuiscono bottiglie, sistemano tubazioni di fortuna per riconnettere le città alla rete. Ma il loro bilancio permette di trattare appena un terzo dei bisogni, secondo Paolo Lubrano.
Riserve di acqua «sempre più contaminate»
Nell’urgenza, le acque reflue degli impianti di trattamento danneggiati hanno dovuto essere rigettate in mare, sovraesponendo la popolazione alle malattie. Il sistema di purificazione di Gaza era una problematica maggiore di salute pubblica già prima del conflitto: il 90% dell’acqua della striscia è inquinata e non può essere bevuta.
Come ha sottolineato un rapporto della Banca Mondiale e del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) pubblicato nel 2012, Gaza, a causa della scarsità di piogge, dipende quasi interamente dal suo acquifero costiero, una formazione geologica composta di roccia permeabile capace di trattenere l’acqua.
Ora l’acqua, situata a circa 300 metri di profondità, «è sempre più contaminata dai nitrati delle acque reflue non controllate», sottolinea il rapporto, secondo il quale l’inquinamento dell’acquifero potrebbe renderlo non sfruttabile entro il 2016.
Contributo sulla rete idrica di Marie-Lorraine Tresca, La Croix, 16 luglio 2014.