Tempo di lettura: 3 minuti

Bombardamenti-Gaza-reutersPubblichiamo qui di seguito un estratto dell’intervista realizzata da Radio France International a Julien Salingue, militante pro-palestinese e autore di diversi libri sulla “resistenza palestinese e la politica di Israele” e andata in onda lo scorso 20 luglio 2014.

Crede che questa operazione terrestre condurrà a qualcosa, se non alla morte di centinaia di civili?
Julien Salingue: Non può condurre al altro che alla morte di centinaia di civili. Quello che fa lo Stato di Israele non è, in realtà, di colpire l’infrastruttura militare di Hamas. Ma di colpire le infrastrutture della striscia di Gaza e di colpire la popolazione della striscia di Gaza in generale.

Perché Benyamin Netanyahou, secondo lei, si incaponisce su questa via militare?
Benyamin Netanyahou ha fatto la scelta in occasione delle ultime elezioni legislative di presentarsi con l’estrema destra. Vale a dire che non è semplicemente una coalizione di governo, è una coalizione elettorale con delle liste comuni, un programma comune. Vale a dire che Benyamin Netanyahou ha fatto la scelta di governare con – e all’- estrema destra.

È l’estrema destra che l’ha spinto a fare questa scelta dell’offensiva terrestre?
Non è l’estrema destra che l’ha spinto a scegliere di governare con l’estrema destra. Benyamin Netanyahou dirige una coalizione che è la coalizione più radicale della storia recente di Israele. E dunque, è normale –tra virgolette- che agisca in questo modo. Non sono per nulla sorpreso.
E, in seguito alla scomparsa di tre giovani Israeliani in prossimità di una collina in Cisgiordania, si è visto il moltiplicarsi di appelli all’odio, alla vendetta, alla violenza e al passaggio all’atto in Israele e nei territori palestinesi. Quello che fa Benyamin Netanyahou è semplicemente di rispondere a queste domande. Continua a governare come l’ha fatto da diversi anni. Sappiamo benissimo che non c’è alcuna soluzione militare alla situazione nella striscia di Gaza. C’è solo una soluzione politica: la fine dell’embargo, il riconoscimento dei diritti nazionali palestinesi e interrompere le operazioni militari a ripetizione. Non cambiano nulla. Aggravano solo di più le situazione degli abitanti della striscia.

Prendere il rischio di decapitare Hamas, non è anche prendere il rischio di rinforzare dei gruppi come la Jihad islamica?
Penso che Israele “giochi” in parte su questo terreno. Hamas, contrariamente a quello che si racconta, non aveva tirato alcun razzi su Israele dalla precedente offensiva israeliana del novembre 2012. È solo a partire dal momento n cui lo Stato di Israele ha preso di mira i quadri e i militanti di Hamas che Hamas ha ripreso il lancio di razzi.
È un’operazione di politica interna per Benyamin Netanyahou: mostrare che è almeno altrettanto radicale dei più radicali in Israele. È anche un messaggio in direzione dei Palestinesi che dice: fintanto che continuerete a resistere, a rivendicare i vostri diritti, torneremo regolarmente, noi vi bombarderemo. Ci saranno centinaia di vittime.

Mahmoud Abbas, il presidente dell’autorità palestinese, è atteso a Doha (il 19 luglio) per incontrare Khaled Mechaal, il capo di Hamas in esilio. Cosa può ottenere secondo lei?
Il problema non è tanto ottenere qualcosa da Hamas, ma di ottenere qualcosa dallo Stato di Israele. Se Hamas avesse rifiutato la pseudo-tregua proposta poco meno di una settimana fa dall’Egitto, sarebbe stato che consisteva in una semplice cessate il fuoco senza alcuna condizione. Hamas domanda delle cose che sono quelle che domandano anche le organizzazioni umanitarie, comprese le Nazioni Unite. Vale a dire togliere l’embargo, libertà di circolazione per i Palestinesi, liberazione dei prigionieri che sono stati riarrestati, allorché erano stati liberati in cambio di Gilad Shalit.
Dunque, quello che può uscire da questo incontro tra Hamas e Abbas è eventualmente una proposta palestinese comune di cessate il fuoco di fronte allo Stato di Israele, forse appoggiata dal Qatar. Forse con delle condizioni dato che in realtà non ha molto senso proporre e spiegare ai Palestinesi che si propone un cessate il fuoco che implica di ritornare a uno statu quo ante.

La situazione diplomatica è, allo stesso modo, totalmente bloccata. La comunità internazionale può fare ancora qualcosa?
Potrebbe. Avrebbe le capacità di fare qualcosa. Non bisogna andare a cercare molto lontano nella storia per rendersi conto che quando la comunità internazionale o le Nazioni unite ritengono che uno stato vada troppo in là, sono capaci di prendere delle sanzioni economiche, diplomatiche, politiche. (…) Dunque delle sanzioni potrebbero essere efficaci, se ci fosse solo un po’ più coraggio politico da parte dei dirigenti dei paesi occidentali.
Penso in particolare al presidente Hollande, che ha preso una posizione di sostegno all’offensiva israeliani, spiegando che Israele aveva il diritto di ricorrere a tutti i mezzi per protegge le sue popolazioni civili. Se ci pensiamo bene, ci rendiamo conto che è una posizione semplicemente scandalosa.