Ci risiamo. Il governo Renzi, per bocca del sottosegretario all’istruzione Reggi (già sindaco di Piacenza per il PD), ha scoperto le carte su quello che si sapeva da tempo essere il nocciolo delle politiche di austerità applicate alla scuola pubblica italiana: l’aumento dell’orario di lavoro dei docenti a parità di salario.
Il piano consiste nell’aumentare le ore di servizio in presenza a scuola fino a 36 ore nelle scuole primarie e a 24 nelle secondarie. Nessuna novità rispetto alla proposta di Monti e Profumo respinta con una straordinaria mobilitazione del mondo della scuola nell’autunno del 2012. Alcune voci affermano che l’aumento dell’orario di lavoro sarebbe proposto ai docenti che potrebbero individualmente aderirvi o meno, la verità è che l’adesione sarà la condizione per mantenere invariato lo stipendio attuale e gli scatti di anzianità, già ai livelli tra i più bassi in Europa. Gli altri fannullloni sarebbero ridotti in povertà e pubblicamente additati come responsabili di tutti i mali della scuola italiana.
Come se non bastasse il governo propone di aumentare ulteriormente il potere dei dirigenti scolastici, che potrebbero scegliere i docenti a cui afffidare incarichi di collaborazione e specialistici, con incrementi stipendiali fino al 30%. Si reintroduce il concetto della divisione della categoria tra “docenti senior” e la massa di manovali dell’istruzione sottopagata e subordinata, in barba alla libertà di insegnamento prevista dalla Costituzione.
Lo strumento di questa riforma sarebbe una legge delega, che dovrebbe essere proposta dal consiglio dei ministri del prossimo 15 luglio. Non si capisce se una parte di questi provvedimenti verranno contrattati con i sindacati, ma è chiara la volontà del governo di proseguire nel blocco dei contratti pubblici che è già costato circa 400 euro di potere d’acquisto all’anno dall’ultimo – e insufficiente – rinnovo del 2009.
L’equivoco dell’orario di lavoro dei docenti è stato ampiamente demistificato dal movimento delle scuole del 2012. Quello previsto dal contratto è infatti l’orario di presenza in classe (18 ore nelle secondarie) più 80 ore annue di attività aggiuntive. Chi può credere che si possa svolgere la professione dell’insegnante soltanto recandosi in classe per qualche ora al giorno? A raccontare cosa? E le verifiche chi le correggerebbe? L’aumento dell’orario di servizio ridurrebbe la funzione docente a quella di un sorvegliante, di un carceriere di giovani che vengono tenuti coattivamente a scuola (dalle 8 di mattina fino alle 22!), senza la possibilità di preparare lezioni, attività individuali e di gruppo, verifiche. Ma per le verifiche forse si ha in mente un sistema all’americana, con un computer che mette insieme quiz a scelta multipla, anch’essi facili da correggere con un sistema automatizzato…
Questa idea si fonda su un malinteso concetto di produttività sulla base della quale misurare il merito. L’unico modo di misurare la produttività di chi produce servizi pubblici non destinati al mercato, e i cui risultati sono difficilmente misurabili, a meno di non accreditare la farsa dei quiz Invalsi, è quello di dividere le ore lavorate per gli stipendi pagati. Diminuire gli stipendi a parità di lavoro o viceversa tenere a scuola i docenti per un numero di ore maggiore senza aumentare gli stipendi è l’unico modo per aumentare la produttività nel settore dell’istruzione. Conta poco quello che si sarà in grado di insegnare dovendo seguire un numero maggiore di studenti e di classi, senza avere il tempo per studiare ed aggiornarsi sulla propria materia e sui modi di insegnarla.
Come nella migliore tradizione, i tagli alla scuola si propongono a scuole chiuse. Do you remember Tremonti? Altro che aprire un dibattito nella società! Si vuol far passare una legge delega in agosto per lasciare campo libero alla mannaia del governo nel prossimo autunno per tagliare ulteriormente le poche risorse dedicate all’istruzione.
Cosa comporterà questa riforma in termini occupazionali? Su questo punto il sottosegretario Reggi è stato chiaro nelle dichiarazioni rilasciate a Repubblica lo scorso 2 luglio. L’intenzione è quella di rendere inutili le graduatorie d’istituto cui si attinge per le supplenze dopo aver assegnato i posti vacanti ogni anno attraverso le graduatorie provinciali ad esaurimento. I docenti interni sarebbero di fatto obbligati a coprire i buchi che si dovessero determinare per l’assenza di un collega. In questo i 467mila precari iscritti nelle graduatorie di istituto non avrebbero alcuna speranza di lavorare (e accumulare punteggio che serve ad avanzare in graduatoria). Tutti i nuovi abilitati, che hanno pagato migliaia di euro per frequentare i nuovi percorsi abilitanti (Tfa, Pas ecc.), a cui è stata negata la possibilità di inserirsi nelle graduatorie provinciali, non potranno far altro che aspettare un nuovo concorso/lotteria per pochissimi posti – sempre meno, viste le lungimiranti norme sull’allungamento delle soglie pensionistiche – in cui mettersi in concorrenza feroce con i vecchi abilitati, che hanno lavorato da precari per molti anni e che si vedono negato il diritto di essere assunti a tempo indeterminato come prescriverebbero anche le norme europee.
Il governo Renzi conta di portare a casa un risultato che i governi dell’austerità negli anni precedenti non sono riusciti a raggiungere, grazie alla risposta delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola, degli studenti e delle famiglie. Il consenso di cui gode in una parte rilevante della società italiana (molti sono anche i docenti che hanno votato il PD nelle scorse elezioni europee) e la retorica populista rendono più insidioso questo attacco rispetto ai precedenti. Non viene più avanzato l’argomento spuntato del “ce lo chiede l’Europa”, ma si punta sulla guerra tra i lavoratori, facendo credere che gli insegnanti sarebbero dei privilegiati rispetto alla massa di lavoratori che devono stare al lavoro per 40 ore a settimana e oltre. Il punto è che un attacco ai lavoratori del pubblico impiego peggiora le condizioni di salario e diritti di tutte e tutti, oltre a minare alla base diritti costituzionalmente garantiti come quello all’istruzione.
Gli insegnanti stanno già organizzando la risposta. Nonostante la chiusura delle scuole, sono previste assemblee nei prossimi giorni a Roma e Milano e molti altri centri minori. La risposta necessaria tuttavia deve venire dal complesso del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici. Basta con le politiche di austerità, per la dignità del lavoro nel pubblico come nel privato.