Finalmente, ci verrebbe da dire di primo acchito, un nuovo sciopero in un settore più o meno collegato all’edilizia nel canton Ticino: alludiamo allo sciopero dei lavoratori delle cave svoltosi qualche giorno fa. Finalmente poiché ne è trascorso di tempo durante il quale nulla si è mosso, né nel settore principale della costruzione, né in quelli secondari. A conferma di quello che, a più riprese, abbiamo caratterizzato come un declino dell’azione sindacale che si manifesta sia nella sempre meno chiara capacità rivendicativa, sia, soprattutto, nella ormai quasi scomparsa capacità di mobilitare i salariati.
Lo sciopero dei lavoratori delle cave ha palesato, ancora una volta, tutti gli elementi di questo declino sindacale al quale abbiamo accennato. Vediamoli brevemente.
Il primo di questi elementi è il ritardo colpevole con il quale le organizzazioni sindacali hanno deciso di ricorrere alla mobilitazione dei salariati. Lo sciopero degli scorsi giorni è stata lungamente annunciato, minacciato, ribadito, nell’ambito di improbabili “percorsi di lotta”. I nostri sindacalisti marciatori, sempre alla ricerca di nuovi percorsi, si sono dimenticati di darsi da fare per preparare lo sciopero: che è il lavoro più importante dal punto di vista sindacale. Non va dimenticato infatti che da ormai oltre due anni il settore vive, di fatto, una situazione aconvenzionale, cioè una situazione nella quale non viene rispettato, da parte padronale, alcun contratto collettivo di lavoro. Infatti il padronato non rispetta né il CCL cantonale del settore (nel frattempo disdetto e mai rinnovato), né il contratto nazionale mantello dell’edilizia, valido anche per i settori cantonali del granito che non possono contare su un loro CCL specifico cantonale.
Come si sia potuto lasciare che si instaurasse una tale situazione, profondamente negativa per i lavoratori e ancora di più per la credibilità sindacale, resta per noi un mistero. Solo una profonda incapacità tattica e strategica, oltre che una incuranza colpevole,possono spiegare questa situazione. Denunciare per due anni il mancato rispetto delle condizioni contrattuali e non organizzare alcuna azione di risposta è il modo migliore per arrivare ad un risultato alla fine negativo.
Un secondo aspetto è la reazione, forte, dei padroni. Alcune cave hanno fatto ricorso a agenti di sicurezza privati, altre hanno adottato la serrata, altri ancora hanno messo in campo mezzi di pressione per impedire la partecipazione allo sciopero mai visti in passato. Tutti elementi che indicano come, di fronte alla sfida dell’azione di sciopero, il padronato abbia reagito con estrema durezza. Segno di un sentimento di forza che arriva a rimettere in discussione diritti che si ritenevano in parte acquisiti.
Un terzo elemento, e non certo secondario, è il risultato della mobilitazione in termini di partecipazione. Non vi sono dubbi che da questo punto di vista, al di là delle pressioni e tenendo conto che la posta in gioco è stata presentata ai lavoratori come altissima, lo sciopero non è stato coronato da grande successo. Se prendiamo per buoni dati sindacali (che hanno parlato di una novantina di partecipanti: che a noi, per la verità, sono sembrati poco più della metà) e tenendo conto che i lavoratori attivi nelle cave sono più di 300, abbiamo un risultato tutto sommato assai modesto.
La conferma indiretta di questa nostra valutazione l’hanno di fatto data gli stessi dirigenti sindacali che, ancora prima che lo sciopero si concludesse, aveva già imboccato con determinazione una strategia totalmente opposta allo sciopero, alla mobilitazione: e cioè la strada della mediazione, richiesta al Consiglio di Stato. Una opzione che, di fatto, esclude il ricorso ad altre mobilitazioni e che, anzi, conclude qui la mobilitazione a breve-medio termine.
In assenza di qualsiasi ulteriore pressione è difficile immaginare cosa possa succedere alla fine di questa mediazione, né quale sarà il risultato: restiamo fondamentalmente pessimisti, visto anche il contesto politico nel quale tale mediazione avviene. Questo non esclude che, alla fine, questo tentativo potrebbe permettere di salvare qualcosa; ma si tratterà solo di un rinvio alla prossima scadenza alla quale, con questa strategia, il movimento sindacale si presenterà sicuramente perdente.
In attesa degli sviluppi sarebbe più saggio riflettere in modo critico sulla strategia messa in atto, sugli errori commessi, sul fatto che, ormai sempre più, il sindacalismo ticinese (che pure aveva dato prove di grande capacità di mobilitazione sui luoghi di lavoro e nelle strade, oltre che di grande creatività rivendicativa) dimostra uno stato di involuzione ragguardevole, riducendosi sempre più ad aspetti istituzionali o declamatori.