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tsipras-al-valle-romaSabato scorso si è tenuta a Roma l’assemblea nazionale dei comitati della lista Tsipras, il primo appuntamento nazionale importante dopo le elezioni europee. Il risultato positivo della Lista Tsipras, conquistato contro venti e maree, ha creato un clima positivo di discussione e di nuove speranze: per costruire le resistenze sociali contro le politiche dei governi dell’austerità, ma anche per ricomporre le forze sparse della sinistra per essere più efficaci e credibili e per rendere meno lontano un progetto di unità delle classe lavoratrici per un’Europa alternativa a quella capitalista, l’Europa del lavoro e dei diritti.

La nostra organizzazione aveva dato indicazione di voto per quelle compagne e compagni con un chiaro profilo politico anticapitalista ed espressione di movimenti sociali. Da subito abbiamo interloquito con le compagne e i compagni che hanno animato questo aggregato nella fase precedente le elezioni, partecipando alle assemblee locali e portando il nostro contributo critico.

Nella fase successiva alle elezioni europee sono emerse alcune delle contraddizioni che erano insite alla composizione dei settori politici che avevano preso l’iniziativa della presentazione della lista, vale a dire il gruppo degli intellettuali, Sel e Rifondazione. Il nodo principale riguarda il rapporto con il Partito Democratico, soprattutto dopo il risultato eccezionale di Renzi in termini di percentuale di consenso. Una parte dei rappresentanti istituzionali di Sel sono entrati in aperta polemica con il proprio gruppo dirigente ed alla fine hanno lasciato il partito proprio per sostenere un rapporto più stretto con il PD, credendo che solo in quell’ambito politico sia possibile fare una battaglia di sinistra per condizionare/calmierare le politiche di austerità del governo Renzi. Sel rimane ancorata ad una visione centrista tra l’opzione di subalternità al Pd e quella riformista radicale rappresentata in Europa dalla Sinistra Europea e in Italia da Rifondazione. Tuttavia anche la proposta della Sinistra Europea – e della sua componente italiana – non ha sciolto fino in fondo il nodo delle alleanze con quel che resta della socialdemocrazia europea.

Questi nodi non sono stati sciolti nell’assemblea del Teatro Vittoria, che pure aveva i numeri di una forte partecipazione (quasi come la prima assemblea di Cambiare si può che si tenne un anno e mezzo fa nello stesso teatro) e che invece è stata in gran parte una kermesse in cui si sono succedute poche e lunghe relazioni dei rappresentanti più in vista della lista Tsipras, e in cui poco o nullo è stato lo spazio per il dibattito tra i militanti dei comitati locali, dei movimenti sociali e le forze politiche e sociali che potrebbero convergere su un’opzione di ricomposizione della sinistra radicale in Italia.

Già il saluto di Alexis Tsipras, letto all’inizio dell’assemblea da Roberto Morea, ha lasciato basiti molti dei presenti quando ha affermato che Renzi andrà valutato nel medio periodo, avendo dalla sua parte suscitato grandi speranze delle masse. La tattica di Tsipras di accarezzare Renzi per avere uno spazio riformista di correzione delle politiche di austerità si è scontrata con la realtà italiana, dove proprio il governo Renzi sta portando avanti un attacco alle lavoratrici e ai lavoratori di portata storica (riforma della Pubblica Amministrazione, tagli alla scuola pubblica, controriforma costituzionale…).

La stessa Barbara Spinelli ha dovuto correggere le aperture di credito di Tsipras nel suo intervento, chiarendo che Renzi non è neanche degno di essere definito un socialdemocratico. Come se la socialdemocrazia avesse avuto un ruolo progressivo nella storia europea, dopo aver appoggiato gli imperialismi nazionali che hanno portato alla Prima guerra mondiale, represso i movimenti rivoluzionari, e più recentemente essere stata la forza principale ad attuare le politiche di austerità e rigore economico ai danni dei lavoratori. Quanto ai contenuti politici, quello su cui la relazione della Spinelli ha più insistito è stata la necessità di investimenti per l’occupazione, un nuovo new deal, come recita l’appello internazionale da lei promosso e firmato, tra gli altri, anche da Romano Prodi, il campione delle privatizzazioni e della precarizzazione del lavoro quando ha governato in Italia.

La relazione più consistente è stata quella di Marco Revelli, una vera e propria relazione introduttiva che ha analizzato le dinamiche dei flussi di voto e della composizione sociale dell’elettorato che si è scherato con la lista Tsipras il 25 maggio (giovani, donne, persone con alto grado di istruzione, meno i lavoratori e le periferie urbane). Revelli ha provato ad affrontare alcuni dei nodi politici che saranno all’ordine del giorno già dal prossimo autunno, in occasione della tornata di elezioni amministrative e regionali. Che fare con l’ipotesi di alleanze con il Pd? La risposta di Revelli è di apertura a questa opzione: “non si può fare l’errore di confondere la politica nazionale con quella nei territori”. E allora la scelta passa ai territori, che dovrebbero in autonomia valutare la possibilità di presentazioni unitarie. L’intervento di Revelli è stato molto radicale nell’attaccare Renzi e il renzismo, ma lo ha fatto accusandolo di essere il “terminator” del Pd, cioè di aver vinto contro il suo stesso partito. Cosa vuol dire questo? C’è un segretario del Pd cattivo e un Pd buono? Non lo crediamo, anzi Renzi è la migliore espressione della deriva odierna del Partito Democratico, ormai inserito a pieno titolo nelle dinamiche di governo del capitalismo e dei suoi processi di crisi e di attacchi ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Renzi consente a quel partito di conquistare consensi elettorali grazie alla sua retorica populista e al suo piglio bonapartista, nonostante la crisi di tutti i partiti di governo della socialdemocrazia europea, sanzionati nelle ultime elezioni proprio per aver applicato le stesse politiche di austerità che il Pd avanza in Italia.

A chiudere la mattinata è stato l’intervento di Moni Ovadia sulla tragica vicenda palestinese, che ha condannato senza appello le aggressioni di questi giorni da parte di Israele e la sua politica colonialista che nega l’esistenza di un popolo e ne pratica lo sterminio. Le sue parole sono state giustamente quelle più sentite ed applaudite dalla platea, anche per la chiarezza dello schieramento con i più deboli e gli oppressi in quella vicenda. Rimane tuttavia l’illlusione che l’Europa possa avere un ruolo di mediatore terzo nella vicenda palestinese, quando ormai i governi europei hanno dimostrato ampiamente di aver perso ogni autonomia di giudizio sulle questioni mediorientali e di essere perfettamente allineati alla politica estera degli USA e di Israele.

L’assemblea si è così sciolta nei gruppi di lavoro, ambito in cui si sono manifestate le contraddizioni tra le aspettative radicali di molti dei presenti e gli orientamenti ambigui dei garanti e dei partiti che compongono la coalizione. Nel gruppo di lavoro sull’agenda politica la questione molto dibattuta delle alleanze per le prossime elezioni regionali è stata rinviata al dibattito nei territori. Le contraddizioni presenti sono esplosive: Sel sa bene che se si presenta in alleanza con il PD rischia di assumersi la responsabilità della rottura della Lista Tsipras, con il rischio di essere severamente punita anche sul piano elettorale. L’unica mediazione possibile è la presentazione alternativa al PD, ma questa scelta si scontra con l’orientamento strategico del partito di Vendola. Per quanto riguarda l’agenda dell’autunno, sono state messe in campo diverse mobilitazioni, da quelle della FIOM del 18 ottobre (probabilmente insieme alla scuola) ad una manifestazione europea con corteo a dicembre in conclusione del semestre europeo.

Nel gruppo di lavoro sulle forme organizzative gli interventi si sono alternati tra ipotesi di metodo del consenso e il criterio di una testa un voto, la sensazione è che la decisione già assunta è quella di un coordinamento provvisorio da costituirsi per il 50% da soggetti espressione dei comitati locali, il resto sarebbe invece appannaggio del coordinamento uscente, di eletti, non eletti, garanti e forze politiche. Insomma un modo per imbrigliare le tendenze più radicali che si erano espresse in queste settimane nei comitati locali.

Da parte nostra, come avevamo scritto in una lettera che poi il manifesto ha deciso di non pubblicare, indirizzata ai militanti dei comitati della lista Tsipras, pensiamo che la costruzione di una coalizione della sinistra radicale debba avere tre bussole essenziali per svolgere quel ruolo di alternativa che auspichiamo.

In primo luogo la completa alternatività alle politiche borghesi, che significa anche l’alternatività a coloro che la gestiscono sul piano politico. In Italia questo ruolo è svolto dal PD che è oggi la carta di governo fondamentale della classe borghese. Una sinistra nel nostro paese è utile e realmente alternativa solo se è alternativa al PD, così come Syriza è stata ed è alternativa al Pasok. E questa alternatività si deve esprimere anche nelle prossime scadenze elettorali regionali, a partire da quelle dell’Emilia Romagna e della Calabria previste in autunno.
In secondo luogo un processo di ricomposizione politica non puo’ vivere e avere forza se contemporaneamente non mutano i rapporti di forza sociali, cioè se questa sinistra che prova a convergere non ha una particolare attenzione a un lavoro di massa e sociale e alla costruzione dei movimenti sociali e a ricomporre le lotte e le resistenze, ad organizzarsi, a pesare complessivamente sui rapporti di forza. La ricomposizione del fronte sociale e della ricostruzione di un nuovo blocco sociale con quello della coalizione politica non potrebbero avere successo se non riuscissero ad entrare in sinergia, cioè a sostenersi una con l’altra.
Il terzo elemento è che per costruire questo processo si deve partire non tanto da progetti generici o ideologici, quanto sulla pratica delle lotte e delle mobilitazioni sociali, condizione indispensabile per fare dei passi avanti nella realizzazione di una nuova credibile organizzazione di classe. Occorre un’ afflusso di nuove energie militanti che solo con la ripresa del conflitto di classe può alimentare la ricostruzione di una sinistra radicale. Per tutte queste ragioni essa non potrà che essere democratica, plurale, inclusiva e partecipata, capace di accogliere tutte le diverse forze e soggettività che vorranno parteciparvi.

In questa prospettiva Sinistra Anticapitalista è aperta a discutere con tutte le compagne e i compagni, singoli e organizzati nell’arcipelago della sinistra politica e sociale, che hanno a cuore la costruzione di un fronte ampio di lotta contro le politiche di austerità e di ricomposizione di una sinistra anticapitalista in Italia e in Europa.