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20140822 hamasTra le conseguenze delle aggressioni imperialiste (da quella di Israele al popolo palestinese alla pretesa dell’imperialismo nordamericano e di quello europeo di imporre le proprie scelte in ogni continente) non ci sono solo i morti. C’è anche il mutamento indotto nelle vittime. Lo aveva già studiato più di cinquant’anni fa il grande psicanalista caraibico Frantz Fanon riflettendo sulla guerra in Algeria.

Ne vediamo le conseguenze anche sulla resistenza eroica del popolo di Gaza: non c’è dubbio sulla responsabilità primaria del sionismo, che dal 1948 ha rinchiuso – in forme variabili – una popolazione di esuli forzati in una prigione a cielo aperto, assediata con tecniche moderne applicate a un assedio che affama, asseta, provoca malattie. Ma non possiamo tacere che questa resistenza – che va comunque sostenuta – finisce per essere condizionata dall’aggressione. Martellata da un incessante bombardamento terroristico, che utilizza ogni pretesto per le sue presunte rappresaglie, Gaza si illude di rispondere con i mezzi modestissimi che i suoi pochi e spesso ambigui amici fanno filtrare attraverso i tunnel che incrinano la ferrea morsa dell’assedio. Così con modesti razzi di cui neppure uno ogni mille arriva a destinazione fornisce ai suoi oppressori nuovi pretesti per scaricare altre centinaia di migliaia di “bombe intelligenti” e di missili efficacemente teleguidati. È vero che se non li lanciasse, nessuno parlerebbe della sua tragedia, ma ciò non toglie che sarebbe auspicabile che cominciasse una riflessione sull’efficacia delle forme di lotta adottate nel corso degli anni (ovviamente senza molte scelte possibili). Non dimenticando l’Intifada, di cui sul nascere Hamas si presentò come interprete e sostenitrice.

Quel che è peggio oggi, è che Hamas finisce per prestarsi a recitare un ruolo che facilita la campagna demonizzante dei mass media che la associa alle diversissime e repellenti forme di integralismo islamico. In ogni guerra, e in ogni esercito, la pena di morte è prevista per chi è scoperto a collaborare col nemico, ma l’esecuzione senza processo pubblico, senza neppure fornire i nomi dei giustiziati, da parte di un plotone di esecuzione a volto coperto, non può che provocare orrore. In realtà l’immagine dei boia mascherati richiama non soltanto quella dell’esecuzione del giornalista americano, ma anche le teste di cuoio di un po’ tutti gli eserciti, a partire da quello degli Stati Uniti (ricordate la cattura di Bin Laden?). Ma a chi controlla la grande informazione nel mondo è facile presentarli come un’esclusiva rappresentazione della barbarie.

La pericolosità di questa scelta di un settore militare di Hamas, ansioso di vendicarsi dell’uccisione di alcuni suoi dirigenti (e di fornire una spiegazione del successo dell’operazione mirata israeliana) non è però solo legata all’offuscamento dell’immagine della resistenza all’aggressione permanente.

Sto rileggendo le cronache degli anni di quella guerra civile che distorse profondamente tra il 1918 e il 1921 le caratteristiche della società russa, creando le premesse di quello che sarà poi il terrore staliniano. Difendersi era necessario, ma le forme in cui fu fatto, sempre più sganciate dalle norme stabilite dalla stessa rivoluzione, ebbero conseguenze irreparabili. Non ho cessato di difendere la rivoluzione russa anche sapendo a quali orrori era stata costretta nel corso di quella ferocissima guerra civile (che fu davvero internazionale: una “crociata di 14 nazioni”, la aveva definita lo stesso Churchill), ma non ho mai dimenticato che nel corso di quegli anni si cancellarono di fatto i soviet, e gran parte delle conquiste morali della rivoluzione. Lenin se ne era accorto – pur senza riuscire a bloccare il processo – prima dello stesso Trotskij. La maggior parte del movimento comunista europeo chiuse invece gli occhi e rinunciò per decenni a quella critica che Gramsci aveva tentato di far pervenire ai dirigenti sovietici nel 1926, pochi giorni prima del suo arresto definitivo. Il ruolo principale di censore allora fu quello di Togliatti, oggi oggetto di una campagna di insidioso recupero da parte di non pochi collaboratori del Manifesto, che ovviamente sorvola sulla sua attiva corresponsabilità nei peggiori crimini dello stalinismo. Ne ho parlato in varie occasioni, a partire da Togliatti e Gramsci, e Togliatti, Bucharin e Stalin, ma anche indirettamente in un testo più organico: Il vicolo cieco. Trionfo, involuzione e tragedia del movimento comunista, ma su queste tematiche ritornerò presto.

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