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melfiE’ un agosto molto difficile ed amaro per le classi lavoratrici e per tutte le forze progressiste e realmente di sinistra in Italia e nel mondo.

In primo luogo per gli avvenimenti ogni giorno più tragici ed inquietanti che emergono dallo scacchiere internazionale, segnatamente quello della Palestina, dove la tragedia del popolo palestinese si consuma ogni giorno senza fine nell’indifferenza e nel cinismo dei governi occidentali (e non solo), compreso quello italiano, complici più che mai delle politiche colonialiste e razziste del governo di estrema destra israeliano.

Più in generale il lungo retaggio coloniale e neocoloniale europeo, congiunto agli interventi americani degli ultimi venti anni, dispiegano tutti i loro veleni e contraddizioni dall’Iraq all’Afghanistan, portando alla ribalta forze ultrareazionarie ed oscurantistiche nel quadro della disgregazione ed anche della vera e propria dissoluzione della strutture portanti del vecchio stato nazionale o ripresentando nuove feroci dittature militari.
Di tutto questo proviamo a dare conto nei tanti articoli che abbiamo pubblicato sul nostro sito.
Scopo di questo testo è invece focalizzare le ultime miserie italiane e le modalità con cui continuano ad essere portate avanti le politiche dell’austerità contro le classi popolari, prima esercitate da Berlusconi e Monti e poi da Letta e da Renzi.

 

La recessione economica e le risposte di Renzi e Confindustria
Partiamo dai recenti dati economici e dalla certificazione dell’Istat che il nostro paese è in recessione; non solo non c’è la ripresa tante volte promessa grazie ai “sacrifici” fatti, ma il PIL arretra ancora, fotografando una situazione materiale, ben conosciuta dalle famiglie e dai lavoratori alle prese con salari e stipendi sempre più falcidiati, con l’incubo della cassa integrazione, della chiusura delle aziende, del licenziamento.
Chi mai avrebbe potuto pensare seriamente che in questa situazione potesse esserci un forte rilancio dei consumi e dell’occupazione grazie ai mirabolanti 80 euro di Renzi? Questi si sono rivelati per quello che erano: una elemosina propagandistica, volta a rendere credibile il Presidente del Consiglio che, come e più di Berlusconi, si regge su promesse fasulle e sull’immagine dell’uomo salvifico, per coprire le tante malefatte che sta compiendo.
Tutti poi fanno finta di dimenticarsi dell’enorme rapina che negli ultimi 15 anni c’è stata ai danni dei salari e degli stipendi per l’inflazione mai recuperata, lo svilimento dei contratti, il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, che hanno sottratto ogni anno alle lavoratrici e ai lavoratori 4-5 mila euro, per non parlare dei miliardi persi per effetto della cassa integrazione e del venir meno tout court del reddito per coloro che hanno perso il posto di lavoro: “La Stampa”, di qualche giorno fa, parla di 1 milione e 600.000 persone dall’inizio della grande crisi.
Ancor più tutti si dimenticano dei 15 miliardi e più sottratti alla sanità, e della cifra altrettanto ragguardevole sottratta agli Enti locali e di tutti gli altri tagli alla spesa pubblica con le varie manovre economiche prodotte negli ultimi anni: sono tutte risorse sottratte ai servizi, agli stipendi delle lavoratrici dei lavoratori e quindi ai consumi della popolazione, producendo una dinamica recessiva.
In realtà queste risorse o, come loro dicono, “risparmi” sono stati trasferiti altrove a vantaggio delle rendite finanziarie dei possessori sia italiani che esteri. Ma lasciamo parlare il Sole 24 ore attraverso la penna, un pochino ermetica, ma comprensibile, di Alessandro Zeli dell’8 di agosto: “Le politiche di contenimento della spesa sono pertanto sempre più finalizzate al servizio del debito creando un circuito redistributivo che va dal contribuente (o dal beneficiario dei trasferimenti statali – pensionati, fruitori dei servizi sociali, ndr -) verso i creditori (nazionali ed esteri) dello Stato, ossia il sistema finanziario……. Le dinamiche comparate della spesa primaria – quella al netto degli interessi del debito, ndr. – mettono ancor più in evidenza il divaricamento in favore di queste ultime. La spesa primaria e, quindi, tutte le spese dello Stato per la sua organizzazione e le spese per i trasferimenti alle famiglie (pensioni, sanità, welfare) per la prima volta, negli ultimi tre anni diminuiscono.”
Chiaro chi paga!
Quale è stata la reazione dei potenti, governo e Confindustria ai dati dell’Istat?
Forse un ripensamento sulle politiche delle austerità? Forse qualche dubbio su una politica redistributiva dal basso verso l’alto come ci ha spiegato l’articolo di Zeli? Forse un ripresa del dibattito sul ruolo dell’intervento pubblico?
Niente di tutto questo. Anzi i dati negativi sono stati usati per ribadire che occorre andare nella stessa direzione, ma ancora più in fretta. Da Renzi alla Confindustria, dai giornali alla televisione, tutti insieme a spiegarci che la causa della recessione consiste nel fatto che non sono state fatte abbastanza “riforme”, termine perfetto e positivo per illudere il popolo che ci sarà un mutamento favorevole e per nascondere il suo vero significato di controriforma liberista e di distruzione dei diritti del lavoro e sociali.
Come un mantra la parola riforma ritorna in tutte le forme, comprese quelle più auliche e mistificatrici del Sole 24 ore: “Riforme strutturali per avere mercati più competitivi e Stati più efficienti” parole che arrivano di rincalzo alle dichiarazioni del nuovo guru, Draghi, governatore della Banca centrale europea che pontifica:” incertezza e troppe tasse hanno determinato il calo del PIL…. meno tasse – per chi?, ndr – più riforme… solo così in Italia si rilanceranno gli investimenti privati e la crescita economica.”
E Renzi, di fronte ai chiari di luna economici, risponde pigiando ancor di più l’acceleratore sulle riforme istituzionali autoritarie e assicurando che non ci sarà una nuova dura manovra economica e che il governo non ha alcuna intenzione di farla.
In realtà Renzi gioca sul fatto che la commissione europea, se pure un poco sottovoce e con qualche riserva, gli ha dato il permesso, a meno di ulteriori precipizi economici, non escludibili, di non intervenire con una manovra correttiva sul bilancio di quest’anno, ma la contropartita è molto chiara: sarà la legge di stabilità, sempre da fare in autunno, valevole per il 2015 che dovrà contenere tutte le misure necessarie per rispettare i famigerati vincoli di bilancio europei e l’ancor più famigerato fiscal compact. Infatti mentre Renzi va in giro a rassicurare, ovverosia a cercare di gabbare le cittadine e i cittadini, tutti gli economisti, di governo o meno, stanno ragionando sui contenuti di questa nuova stangata che già oggi parte dal livello dei 20 miliardi di euro.!
Se non ci fosse da piangere ( per i lavoratori, i pensionati, i precari e i disoccupati) ci sarebbe da ridere su come i giornali affrontano il problema della recessione economica. Due soli esempi. “La Stampa del 4 agosto in un ampio dossier sulla grande crisi 2007-2014, riesce in una pagina a “spiegare” “tutti gli errori che hanno complicato le cose”, compresi la scelta dell’austerità assoluta e del rigore che ci “ha portato alla recessione”, salvo poi nella pagina successiva, riproporre tutti i logori slogan liberisti e spiegarci che la Spagna sta riprendendosi bene perché ha fatto le riforme più dure, dalla libertà del licenziamento al taglio agli ammortizzatori sociali, dalla riduzione dei sussidi di disoccupazione all’accetta sulla spesa pubblica. Un programma davvero allettante…per i capitalisti.
Non è male nemmeno il più autorevole, sul piano economico, Sole 24 ore, che riprendendo le parole di Draghi, ci spiega che le troppe tasse sono la causa della crisi e che occorre riprendere “la politica della concorrenza, in tutti i mercati e settori, incluso quello del lavoro”. Così sono in tanti, a partire dall’ineffabile Alfano a riproporre l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quasi che esso non sia già stato in gran parte azzerato, con nessun effetto sul piano dell’occupazione, ma con pesantissimi effetti sulla capacità di ricatto e di sfruttamento delle aziende. Non è un caso che Renzi molto più abilmente, ma anche più pericolosamente, parli invece di una riscrittura complessiva dello Statuto dei lavoratori. Visti lo spirito dei tempi e le precedenti misure del governo, c’è di che essere preoccupati.
Nello stesso numero del Sole c’è poi l’articolo secondario, riflessivo ed individuale, quello già citato di Zini, che ci spiega che “E’ ora che lo Stato torni ad investire e… la politica fiscale non può avere come scopo solo i tagli alla spesa” che sottolinea uno degli aspetti chiave della situazione italiana; il vero e proprio crollo degli investimenti sia quelli privati, che pubblici, dal 22% del PIl nel 2007 al 17% del 2013.La previsione è una parziale ripresa al 20% ma soltanto nel 2019.
In conclusione: governo e padroni utilizzano, grazie al ruolo dei media, la persistenza della recessione, moltiplicata dalle loro misure, per riproporre e rilanciare le loro disastrose ricette.

 

Lo stravolgimento della Costituzione del ’48

Dopo una dura lotta parlamentare contro i grillini e i diversi oppositori Renzi è riuscito a far decretare alla maggioranza del Senato, la dissoluzione di questo organismo, una delle istituzioni portanti della Carta istituzionale e di garanzia degli equilibri tra i diversi poteri dello Stato.
Lo ha potuto fare solo grazie all’aiuto decisivo di Berlusconi che così è tornato ad essere un attore fondamentale della scena politica, disponendo di un evidente potere di condizionamento del giovane segretario del PD. E non sappiamo ancora quali possano essere tutte le porcate che i due hanno concordato nel sempre più oscuro patto del Nazareno.
Siamo di fronte non a qualche correzione di rilievo della Costituzione, ma a una riscrittura sostanziale del testo che ne modifica completamente il quadro democratico, riducendo fortemente la stessa espressione della sovranità popolare nella sua correlazione con la nuova legge elettorale già approvata dalla Camera, complicando anche la possibilità di espressione diretta della volontà popolare tramite gli istituti di legge popolare e di referendum. Il meccanismo è autoritario e il premio di maggioranza con cui sarà formata la Camera permetterà all’uomo solo al comando, chiunque esso sia, di avere il controllo del Parlamento e di poter eleggere a Presidente della Repubblica un uomo a suo piacimento ed anche di predeterminare, senza troppe mediazioni la formazione della stessa Corte costituzionale. Un progetto a lungo inseguito da vari soggetti politici e che oggi arriva a compimento. Come ha spiegato il senatore dissidente Tocci del PD . ” ci voleva Renzi per realizzare il piano di B… Diciamo la verità. Se Berlusconi avesse modificato la costituzione indebolendo l’indipendenza della Presidenza della repubblica avremmo riempito le piazze”.
La presidenza del PD della Commissione affari costituzione, Anna Finocchiaro, con un excusatio non petita ha descritto quale sia il futuro senato: “Il nuovo Senato delle autonomie non è un senaticchio, ma un organo innovativo di grande rilievo istituzionale”, aggiungendo poi che è stato realizzato un primato mondiale con una Camera che abolisce se stessa….. Senaticchio, cioè un organo non eletto dai cittadini ed inutile e dannoso, appunto.
La natura dell’operazione ha trovata la sua più valida espressione plastica e pornografica a conclusione nel voto finale in un tripudio, di abbracci e baci non solo tra la Finocchiaro e un personaggio come Schifani di Forza Italia, ma tra i due artefici del progetto di legge, la Ministra Elena Boschi del Pd e l’affarista Verdini di Forza Italia, rinviato a giudizio per associazione a delinquere, bancarotta e truffa.. per non parlare degli altri che hanno partecipato alla festa finale.
Le fotografie degli abbracci sono anche l’espressione della contiguità non solo politica, ma anche culturale e morale tra i vecchi marpioni e piduisti della destra, variamente pregiudicati e i giovani rampanti del PD, ultraliberisti e privi di qualsiasi visione politica e storica.
La legge essendo di natura costituzionale deve ottenere la doppia approvazione del Senato e della Camera. L’iter dunque è ancora lungo e quindi è ancora possibile, anche se difficile, costruire una battaglia contro questo scempio istituzionale democratico.
Anche perché le modalità con cui la cordata Renzi e Boschi del PD e Berlusconi Verdini di FI, hanno imposta la legge sono tutt’altro che secondarie e sono egualmente inquietanti e foriere di ulteriori forzature democratiche.
Per intanto un parlamento che per sentenza stessa della Corte Costituzionale è da considerare un parlamento sub iudice se non direttamente illegittimo perché formatosi sulla base di una legge elettorale giudicata incostituzionale, non ha alcuna legittimità e tanto meno autorevolezza per mettere mano alle norme costitutive della Repubblica.
Tanto meno poteva pensare di farlo con tempi contingentati e senza una reale discussione politica.
Inoltre non era mai successo che un governo proponesse ed imponesse una modifica costituzionale, da sempre appannaggio del potere legislativo.
Il Presidente della Repubblica invece di essere super parte è stato un soggetto attivo di propulsione della modifica istituzionale, venendo meno ai suoi stessi impegni costituzionali.
Per non parlar di Grasso, Presidente del Senato, seconda carica della Repubblica, che ne ha fatto di cotte e di crude per gestire la volontà del governo, gestendo i regolamenti in funzione di questo obbiettivo.
Da più parti sono emerse testimonianze sui ricatti, minacce ed intimidazioni che i cosiddetti dissidenti delle varie parti hanno subito, per limitare il loro grado di autonomia e di giudizio. E’ un quadro che promette nulla di buono per il futuro.
Renzi, tanto più con la situazione economica che si ritrova, deve mostrare i muscoli. Come ha scritto l’editorialista Folli del Sole 24 ore: ” Il premier ritiene giustamente che nel progetto innovatore ci sia un dividendo psicologico da incassare subito , trasmettendo agli italiani l’idea di una marcia inarrestabile”.
Siamo quindi di fronte ad un vulnus che non può essere sottovalutato; chi agisce con totale disprezzo delle regole e con soperchieria, se non contrastato, sarà disposto a farlo ancora e sui più diversi terreni e ci sarà la spinta a interiorizzare queste modalità dell’azione politica: un capo che agisce a prescindere e che disciplina non solo le istituzioni, ma il suo stesso partito e la maggioranza. E poi, si sa, siamo pure un paese che ha conosciuto Crispi e il fascismo….

 

L’affare Alitalia
C’è un ulteriore elemento drammatico della vita sociale ed economica di queste settimane che testimonia della deriva che il paese sta subendo senza per ora una adeguata reazione, ed è la vicenda Alitalia.
In tutti questi anni abbiamo assistito a un inarrestabile declino della Compagnia di Bandiera in cui i vari interventi che si sono prodotti, hanno avuto sempre e solo una priorità, salvare gli interessi dei privati (compresi quelli pieni di debiti di coloro possedevano Airone) o gli interessi specifici di qualche premier in cerca di facile popolarità. A farne le spese sono state le casse pubbliche con interventi massicci, senza che ci fosse un vero piano produttivo e soprattutto le lavoratrici e i lavoratori che nelle successive ristrutturazioni hanno pagato in termini di perdita di posto di lavoro e di stipendi.
Ora siamo verso l’epilogo (forse) con l’intervento di Etihad; non sappiamo quale sarò il futuro e le eventuali fortune della nuova compagnia, ma sono certi due elementi: a pagare sono le lavoratrici e i lavoratori, che subiscono profonde riduzioni di stipendio e soprattutto pagano un prezzo occupazionale inaccettabile: 2000 licenziamenti. A dire il vero non ricordo un altro licenziamento di massa di queste dimensioni nel nostro paese. Altri casi, come quello della Fiat o di altre aziende avevano numeri anche maggiori, ma condizioni totalmente diverse, perché rimaneva il rapporto con l’azienda e perché veniva attivato l’istituto della cassa integrazione per lunghi periodi.
Qui siamo a un altro livello.
Inoltre tutto questo avviene nella totale indifferenza della collettività, con l’avallo e l’accettazione piena delle direzioni sindacali e con i lavoratori che subiscono questo scempio lasciati isolati e a se stessi.
Di fronte a una generica e non attuata proposta e forma di lotta, la reazione dei potenti a partire da quel personaggio governativo, proveniente da Comunione Liberazione e da Forza Italia ed oggi ministro per il Nuovo centrodestra, Lupi, già scatenato contro il movimento No Tav, è stata di una violenza inaudita a cui si sono aggiunti tutti i vari soggetti politici e i sempre pennivendoli giornalisti. Tutti costoro hanno espresso un vero odio di classe. Contro chi? Contro i lavoratori che perdevano il posto di lavoro, contro i più deboli. Infami. In compenso un non più giovane disoccupato della Fiat, tale Montezemolo, grazie ai suoi servigi, forse diventerà presidente della nuova società. Tutto vergognoso, compresi i silenzi di Renzi. Ma vergognoso anche il ruolo dei dirigenti sindacali.
Il problema ulteriore è che, anche in questo caso, la vittoria dura del padronato con una violenta ristrutturazione in un luogo di lavoro così importante, sarà un esempio, una prova generale che servirà ai capitalisti per imporre nuovi ricatti ed operazioni dello stesso segno altrove. Per questo la vicenda Alitalia non può considerarsi chiusa da nessun punto di vista. Per loro, ma anche per noi.
E’ uno degli elementi centrali su cui le forze di classe devono riflettere, come quello della scelta autoritaria di Marino di imporre il suo contratto alle lavoratrici e ai lavoratori del comune di Roma, per provare a mettere in campo una nuova mobilitazione e risposta in questo autunno ormai molto vicino.

 

Reagire alle difficoltà e all’amarezza costruendo la mobilitazione nell’autunno

Queste considerazioni sulle grandi difficoltà del movimento dei lavoratori e delle forze autenticamente di sinistra hanno solo lo scopo di riflettere lucidamente sulla portata dei problemi come precondizione per individuare quali iniziative e quali obbiettivi sia possibile perseguire per mettere in campo nell’autunno forme più efficaci di mobilitazione rispetto a quanto è avvenuto negli ultimi anni.
Perché, nonostante tutto, nel nostro paese sono molte le persone, i soggetti sociali, i lavoratori che non sono disponibili a rassegnarsi all’esistente. In campo ci sono già diverse proposte di mobilitazioni autunnali. Si tratta di lavorare per la loro massima convergenza ed unità.
Per questo condividiamo il metodo di lavoro che la corrente di sinistra nella CGIL, nel suo recente coordinamento di fino luglio, ha avanzato: “Proponiamo a tutto il sindacalismo conflittuale, ai movimenti sociali, alle tante realtà che lavorano a forme di mobilitazione capaci di incrociare ed intrecciare le diverse soggettività della nuova composizione sociale di classe, di costruire insieme e di unificare le lotte in campo. Occorre superare la ritualità di scadenze calate dall’alto che non riescono a unificare, consolidare e dare continuità alla mobilitazione”.
Aggiungiamo noi: perché non pensare a un assemblea comune, a un momento significativo e nazionale preparato dal basso che indichi a un pubblico largo di lavoratrici e lavoratori, di precari, di disoccupati di giovani e studenti, che si vuole mobilitarsi tutti insieme e proponga e prepari le scadenze dell’autunno?
Perché le forze politiche della sinistra non debbono lavorare nella stessa direzione per aiutare e favorire questo percorso?
Stiamo parlando della messa a punto di una piattaforma sociale di difesa dei salari, di lotta per l’occupazione, di riconquistare i contenuti del welfare che sono andati persi (a partire dalla famigerata controriforma Fornero).
Nello stesso tempo si pone un problema, che si è ripresentato più volte nel movimento dei lavoratori: come collegare le battaglie economiche e sociali a quelle democratiche, nel caso concreto contro le derive autoritarie e di involuzione istituzionale democratica su cui sono impegnati, fino ad ora separatamente, alcuni settori di giuristi democratici, ed anche qualche intellettuale, espressione di una opinione pubblica democratica ancora esistente se pur minoritaria?
Le recenti vicende parlamentari hanno messo in luce ancora una volta tutti i limiti del Movimento 5 Stelle, che per sua natura, appare incapace di unire la sua sacrosanta battaglia democratica fatta in parlamento con una vera e propria mobilitazione sociale di massa nelle strade e nelle piazze, qualche volta evocata, ma di cui non ha in realtà la minima idea su come e cosa debba essere.
Per altro molti esponenti di quell’area democratica richiamata, preoccupata per gli inciuci tra Renzi e Berlusconi, non ha, a sua volta, un’idea precisa, sul fatto che la battaglia democratica senza una solida mobilitazione sociale non ha possibilità di vittoria. L’involuzione istituzionale è portata avanti proprio per poter gestire al meglio e senza condizionamenti le politiche dell’austerità. Il modello di Renzi Berlusconi in realtà non è altro che il modello su cui si è costruita l’Unione Europea, cioè il predominio totale dell’esecutivo sul legislativo, il potere delle élites economiche e finanziarie sulla classe lavoratrice e sui cittadini. Un modello autoritario necessario ai padroni ai tempi del fiscal compact e in questa fase di capitalismo ultrarampante ed aggressivo, ma anche molto in crisi per le contraddizioni profonde che lo attraverso e che possono essere gestite solo con una classe lavoratrice piegata e sconfitta e con struttura autoritaria di gestione della società.
Non sarà facile costruire un ponte e l’unità di intenti tra le “aree democratiche” e le “aree sindacali e sociali di classe”, ma tuttavia è necessario provarci, perché si tratta di mettere in campo tutte le iniziative possibili e utili per demistificare l’azione del governo, la violenza e le falsità dei capitalisti e della loro stampa asservita. Appaiono per ora invincibili, ma la loro forza si regge in gran parte sulla demoralizzazione e sulla complicità delle organizzazioni sindacali maggiori. Non c’è scritto da nessuna parte che questo stato di cose non possa cambiare se cominciano a generalizzarsi le mobilitazioni dei settori più combattivi e disponibili, se appare che nel nostro paese sono ancora in tanti a non accettare l’involuzione sociale e democratica, a guardare anche fuori nel nostro paese per sostenere le lotte degli oppressi, e che molti sono disposti a tornare nelle piazze ed anche a scioperare. Vale la pena di provarci.