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treguaUn nuova tregua di 72 ore è iniziata e dovrebbe finire la sera di mercoledì 13 agosto. Al Cairo sono riprese le trattative indirette svolte volute dal presidente egiziano Al Sisi interrotte venerdì. La tregua sembra reggere. L’incubo a Gaza, tuttavia, non è finito. Questo fine settimana sono ripresi i violenti raid israeliana sulla striscia di Gaza.

Le vittime sono, oramai, quasi 2000, senza contare i feriti, le decine di migliaia di bambini che saranno traumatizzati per tutta la vita, gli sfollati le cui case sono state distrutte. La striscia è oramai ridotta allo stremo. Ora si può nuovamente scavare sotto le macerie. E’ probabile che il tragico conto delle vittime salga a più di 2000.

La repressione, d’altro, canto continua a colpire la Cisgiordania dove le manifestazioni in solidarietà con Gaza non si sono mai interrotte e dove la polizia israeliana ha ucciso nelle ultime ore due giovani manifestanti.

Israele, fino ad ora, non ha accettato alcuna richiesta palestinese (presente ai negoziati in forma non ufficiale). Netanyahu non è intenzionato a fare le ben minime concessioni come l’estensione dei diritti di pesca, la costruzione di un porto marittimo; il ripristino di un logico collegamento tra la striscia di Gaza e la Cisgiordania; la soppressione della “zona di rispetto insomma quelle richieste che permettano il diritto alla libera circolazione della popolazione di Gaza e il diritto a svolgere quelle attività che le permettano di non essere stritolata. Non a caso, vi è in discussione tra l’altro l’apertura del valico di Erez che fornirebbe un po’ di ossigeno a quello che è diventato, come afferma la corrispondente di Haaretz dai Territori occupati, Amira Haas, “un enorme campo di concentramento”.

Gli Usa hanno tentato con John Kerry di svolgere il ruolo di “mediatore”, anche se ultimamente Netanyahu sgradisce le ultime prese di posizione dell’amministrazione Obama. In realtà il ruolo di “mediatore” risulta poco credibile. Il legame tra Washington e Tel Aviv è ancora ben saldo. Per Washington, infatti, Israele rimane sempre una pedina fondamentale per gli Usa nella regione. Gli intrecci economico-militari si sono , d’altro canto, rafforzati nell’ultimo periodo. Alcune cifre indicano chiaramente il giro di affari militari che intercorre tra i due paesi: Il congresso americano ha approvato i primi giorni di agosto un aiuto di 168 milioni di euro a sostegno del sistema di difesa antimissili “Iron Dome”, usato da Israele per neutralizzare i “razzi” che vengono sparati dalla striscia di Gaza; dal 2011,Washington ha speso ben 523 milioni di euro per il progetto “Iron dome”. Gli Usa hanno previsto di spendere complessivamente 22,4 miliari in aiuti militari verso Israele tra il 2009 e il 2018. Nel 2014, la cifra ammonta a 2, 3 miliardi di euro di aiuti militari.

L’obiettivo di Israele è di dettare le sue condizioni imponendo la smilitarizzazione di tutta Gaza. Tra gli obiettivi vi è anche quello del controllo della “ricostruzione” del territorio, sia dal punto di visto economico sia dal punto di vista militare e impedire il controllo di Hamas sul territorio attraverso il disarmo. Non a caso ora Israele si dice favorevole ad estendere l’area di pesca purché i finanziamenti non finiscano nelle mani di Hamas, ma siano gestiti da organizzazioni che evidentemente vuole sotto il suo controllo.

E’ chiaro che Netanyahu vuole la capitolazione di quelle forze e quelle organizzazioni che rifiutano il loro disarmo e che rivendicano i diritti più elementari del popolo palestinese. Egli punta, in particolare, a dividere le diverse fazioni e, in particolare, a spezzare la pur fragile unità tra Hamas e Fatah che si era creata nel tentativo di avviare un percorso di consolidamento delle istituzioni rappresentative palestinesi.

Quel che sconcerta è il silenzio se non la complicità dei governi occidentali e delle “istituzioni internazionali”. Il nostro governo si è limitato ad inviare 30 tonnellate di aiuti (un’elemosina), mentre Renzi non ha profferito una parole sui massacri di questi giorni. In Francia, il governo Hollande ha cercato di impedire le manifestazioni in solidarietà con il popolo palestinese e Alain Pojolat, membro del Nuoveau Parti anticapitaliste, è stato denunciato reo di aver depositato alla prefettura di Parigi la richiesta di una manifestazione che si è poi svolta nonostante il divieto governativo.

Eppure la solidarietà si sta amplificando, non solo in Cisgiordania dove continuano le manifestazioni, ma anche nell’area dove si fa sentire il sostegno delle rivoluzioni popolari (rileggi Palestina: la solidarietà delle rivoluzioni popolari). Dall’altra parte, le parole del ministero degli esteri israeliano Aharonovic pesano come un macigno e lasciano presagire altri funerei giorni quando afferma che “c’è poca speranza di raggiungere un accordo” e che Israele, a suo avviso, “deve già pensare al passaggio successivo”… vi lasciamo immaginare quale potrebbe essere.

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