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Renzi-LandiniPubblichiamo, anche se con qualche giorno di ritardo, questo commento di Adriano Alessandria, operaio metalmeccanico in mobilità, direttivo provinciale della Fiom Torino (“Il sindacato è un’altra cosa”), che critica le dichiarazioni fatte da Maurizio Landini, leader della Fiom, in un’intervista pubblicata su Repubblica il 25 agosto. Su questo tema è intervenuto anche Giorgio Cremaschi con un articolo altrettanto critico.

L’intervista che Maurizio Landini ha rilasciato a La Repubblica, per altro seguita dal suo incontro con il Presidente del consiglio Renzi, sui cui contenuti è stato mantenuto il massimo riserbo, mette in evidenza i limiti del gruppo dirigente della Fiom e contemporaneamente le sue difficoltà ad agire nella presente situazione. Più che quella di un dirigente sindacale, consapevole della violenza dell’attacco della borghesia, ne esce la figura di un politicante che manda messaggi politici a molti soggetti, ma non indica un percorso di azione ai lavoratori dipendenti.

Per questo ritengo necessario in questo articolo provare a spiegare tutte le contraddizioni e l’impostazione errata presente nelle posizioni del segretario della Fiom. A partire dalla lettura della situazione che viene fatta, che conferma – ma non ce n’era bisogno – il quadro ideologico del gruppo dirigente della Fiom, assolutamente identico a quello della Camusso.
Landini auspica infatti che il governo abbia la capacità di comprendere la gravità della situazione e di conseguenza prendere misure di contrasto alla crisi.

Questa di Landini è una considerazione del tutto sbagliata perché il governo ha ben presente la realtà economica, ma agisce consapevolmente in funzione degli interessi del padronato. Così facendo si facilita solo il padronato e i suoi rappresentanti politici a far passare l’idea che la crisi economica, con i suoi effetti sempre più devastanti, è dovuta solo a insipienza economica e a specifiche scelte politiche sbagliate. In fin dei conti si facilita l’azione ideologica di coloro che insistono a dire che la colpa è dei sindacati e dei lavoratori che in passato hanno preteso di lavorare poco con salari e diritti troppo abbondanti.

Quindi secondo Landini, la crisi economica non è dovuta alle contraddizioni del capitalismo e alle scelte liberiste consapevolmente fatte dal padronato e dal governo, che determinano che una quantità sempre maggiore di ricchezza prodotta sia sottratta a chi la produce e sia accaparrata dalla borghesia finanziaria ed industriale.

Di conseguenza Renzi non risulterebbe il nostro nemico insediato a capo del governo dalla grande borghesia nostrana e europea, con il compito di distruggere la contrattazione collettiva e l’organizzazione sindacale dei lavoratori, per aumentare i profitti dei padroni, ma solo uno che non ha ancora capito.

Coerentemente, la mobilitazione che viene promessa, non è in funzione di creare un rapporto di forza per imporre interventi pubblici a sostegno del lavoro e degli investimenti, ma solo la presentazione “gentile” delle nostre proposte al sovrano di turno. Mica ci dobbiamo scontrare con un nemico di classe!

L’estensione a tutti della precarietà del lavoro con il job act, la controriforma della pubblica amministrazione che apre a privatizzazioni e licenziamenti, a ulteriori mortificazioni della contrattazione sindacale, la controriforma della scuola con la distruzione del pubblico a favore del privato e la decontrattualizzazione degli aumenti salariali agli insegnanti, pare non si conoscano o siano esterni alle concretissime scelte economiche del governo.

E per affrontare le crisi dei maggiori settori industriali, cosa viene proposto? Quello per cui i tanti Sacconi insistono: un cambiamento per far tornare gli investimenti, attraverso nuovi regali e facilitazioni ai padroni. Peccato che il governo per attrarre investimenti stia distruggendo quello che ancora c’è di contrattazione collettiva e le leggi che difendono i lavoratori. Un’idea diversa, in particolare di un grande intervento pubblico per creare lavoro e rispondere ai bisogni della popolazione finanziato da un forte prelievo fiscale (patrimoniale) sulle classi possidenti, non affiora mai nell’intervista.

Quando il giornalista richiama le responsabilità della Fiom che assumerebbe una linea rivendicativa troppo intransigente, viene fatto osservare che così non è. Si richiama l’accordo Elettrolux, dove la Fiom per sottrarsi al pesantissimo ricatto non ha fatto altro che chiedere che l’intera collettività si sobbarcasse i costi che i padroni non volevano più sostenere. La questione posta dalla richiesta di riduzioni fiscali e contributive alle aziende andrebbe chiarita una volta per tutte: se si riduce il gettito fiscale, ben presto si ridurranno lo stato sociale e i servizi pubblici.

Inoltre si avvalora l’idea che i costi per le imprese sono alti senza mai voler vedere che la riduzione fiscale alla classe possidente continua da vent’anni e che il governo Prodi 2, seguito poi da quelli di Berlusconi, Letta e Renzi hanno prima introdotto, poi mantenuto ed anche accresciuto la riduzione del cuneo fiscale, cioè un enorme regalo alle imprese e alle banche che da 7 anni vale una riduzione di imposta che ormai si aggira su più di 8 miliardi ogni anno.

E’ importante sottolineare le proposte del segretario della Fiom: una riconversione ecologica delle nostre produzioni industriali. Questo argomento è valido e ha una importanza fondamentale tanto più dopo la vicenda Ilva di Taranto. Ma cosa ha fatto la Fiom di fronte al governo che non intende scontrarsi con Riva e Riva che non intende caricarsi i costi dell’inquinamento prodotto?

Ha proposto che si nazionalizzi temporaneamente l’Ilva, il tempo necessario che lo stato con i soldi della collettività risani l’ambiente, apporti le modernizzazioni degli impianti e poi… se la nazionalizzazione è temporanea, l’Ilva torna a Riva, bell’e pronta a sfornare profitti al padrone.

Vengono chiesti piani industriali per i settori strategici, tra governo, aziende e sindacati. Si fa riferimento alla Germania sull’auto.

Si desume che servano a aumentare la produttività, quindi a garantire alle aziende maggiore concorrenzialità. Va notato che il grosso dell’industria europea è in forte sovrapproduzione: di auto, di acciaio, di elettrodomestici. Occuparsi solo dell’efficienza e della riduzione dei costi delle imprese italiane vuol dire fare dumping nei confronti dei lavoratori di altri paesi, assecondando i ricatti dei tanti Marchionne.

La Fiom e il suo gruppo dirigente come pensano di affrontare l’enorme capacità produttiva in eccesso dell’industria europea? Armando i lavoratori italiani contro gli altri? Come disinnescare la guerra tra poveri sempre più disperati? Landini, senza nominarlo rispolvera il Patto tra produttori che negli anni 80 ha disarmato, annichilito e portato alla sconfitta il movimento sindacale.

Quando Landini dice che gli obiettivi dei piani di settore devono essere contenuti in un periodo di tempo definito, avvalora un’altra idea sbagliata: che l’azione sindacale deve essere di aiuto alle imprese fino a quando si esce dalla crisi per poi tornare alla normalità e ridispiegare l’iniziativa contrattuale. Non si tornerà alla situazione precedente al 2007. Non esiste nessun presupposto di natura economica che possa rendere possibile l’uscita dalla crisi. Soprattutto la classe possidente e i suoi rappresentanti al governo agiscono perché non si torni alla situazione in cui i lavoratori hanno la pretesa di dire la loro. Su questo hanno dimostrato quanto siano determinati con la distruzione degli spazi democratici e della Costituzione; con la messa in discussione del diritto di sciopero e la criminalizzazione delle proteste, anche di quelle più composte.

Nell’intervista, Landini ripropone le solite mistificazioni sulla Germania. Come non si sapesse che i governi dei vari colori che si sono succeduti, a partire da quello socialdemocratico, hanno favorito le imprese con leggi che hanno ridotto in schiavitù un determinato settore di lavoratori supersfruttati e sottopagati. E che il sindacato non ha retto i colpi delle delocalizzazioni della componentistica o anche solamente della sua minaccia; non ha retto la restrizione dei consumi interni imposti dal governo. Per Landini l’iperliberismo in Germania non c’è. Una domanda: ma se tutti esportassero come la Germania, a chi si esporterebbe?

Si rassicura il governo di essere un interlocutore – se lo vuole – del gruppo dirigente della Fiom e si avvalora la palla della legittimazione elettorale, che è solo di poco oltre il 20%, se si considera, come è giusto, l’intero corpo elettorale.

Cosa vuol dire che se il governo vuole fare la riforma della pubblica amministrazione e del mercato del lavoro non può fare a meno dei sindacati? O si danno per positive le controriforme disposte dal governo e sconosciute a Landini, o Landini vuole rendere il sindacato complice della porcheria del governo: terzium non datur!

Si continua con aperture di credito al governo Renzi sull’articolo 18. Come se Renzi non avesse parlato e agito chiaramente: non solo sparisce l’art.18, ma lo stesso statuto dei lavoratori; forse per farsi capire da Landini, Renzi deve fargli i disegni sullo schermo.

I segnali che l’intervista deve dare sono inequivocabili: «Nelle condizioni di oggi non credo si tratti di scioperare ma di mobilitarsi per un pacchetto di proposte (da fare al governo amico, ndr). Noi come metalmeccanici lo faremo. Altre categorie lo faranno a loro volta (quindi siamo in linea con l’intera Cgil, ndr). Questo è il modo di cambiare verso nelle fabbriche e negli uffici (come sostiene anche Bonanni, ndr). e forse evitare l’esplosione sociale (ah, è questo il compito del sindacato, aiutare i padroni a scongiurare che le loro politiche di austerità provochino rivolte…, ndr)».

Spiacente di scoraggiare quanti conservano una fede acritica nell’attuale linea della Fiom e nel suo gruppo dirigente, ma faccio notare che le cose hanno una logica implacabile: o si combatte il capitalismo (con le difficoltà che sono enormi, sommersi da arretramenti, disgregazioni e sconfitte), e il governo che lo rappresenta, oppure si ricerca per l’ennesima volta un’alleanza impossibile con il nemico che inesorabilmente hanno sempre portato i lavoratori alla sconfitta.

Non è edificante dover demistificare e sbugiardare Renzi anche in casa Fiom. Le sconfitte fanno arretrare tutti. E’ arretrata anche la Fiom che pure in un recente passato ha lottato e provato a impedire la sconfitta dei lavoratori. Una sconfitta pesante e profonda, anche se negata e per questo ancora più pericolosa per il movimento operaio.