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scuoladoisneauIl prossimo 28 settembre saremo chiamati a votare, tra gli altri temi, anche sull’iniziativa “Aiutiamo le scuole comunali” promossa dalla VPOD con il sostegno di diverse altre organizzazioni.
L’iniziativa propone la riduzione del numero massimo di allievi per classe da 25 a 20 allievi per classe nella scuola dell’infanzia ed elementare (con ulteriori riduzioni per i diversi tipi di pluriclasse).

Si chiede poi il rafforzamento del ruolo del docente di sostegno, di quelli per l’integrazione linguistica e del sostegno pedagogico. Infine l’iniziativa chiede il potenziamento di una serie di strutture sociali legate alla scuola: mense scolastiche, scuole dell’infanzia a orario prolungato, doposcuola e scuola fuori sede.
Si tratta, non vi è dubbio, di una serie di proposte che corrispondono ad alcune delle maggiori necessità oggi presenti nel settore primario (scuole dell’infanzia e scuole elementari), un settore che in questi anni ha accumulato ritardi enormi sia dal punto di vista strutturale sia dal punto di vista della condizioni di lavoro del personale insegnante. Pensiamo in particolare alle insegnanti della scuola dell’infanzia e a quelle delle elementari che, malgrado l’annunciata concessione di uno scatto salariale, continueranno a ricevere salari comparabili a quelli di un lavoratore non qualificato.
L’opposizione dei partiti maggioritari è compatta. Essa insiste sui costi eccessivi per la realizzazione delle proposte contenute nell’iniziativa (si ipotizza, ma è tutto da verificare) una spesa tra circa 30 e 40 milioni a carico di Cantone e Comuni, nonché sulla “ottima” qualità dell’attuale scuola ticinese, tale da non necessitare, secondo loro, interventi così rilevanti.
In realtà dietro questa opposizione si cela un orientamento diffuso in tutti i paesi del mondo in questa fase di crisi del capitalismo, laddove si impongono e vengono applicate politiche neoliberali (poco importa che a farlo siano governo nominalmente di “sinistra” come quello di Valls in Francia o di Renzi in Italia). Un orientamento che punto fortemente alla riduzione delle spese per l’istruzione e la formazione di base, ritenendo questi dei costi che possono essere ridotti all’essenziale quando non addirittura trasferiti al settore privato (compiti compresi).
Una politica che, tra le altre cose, tende a limitare sempre di più l’intervento scolastico teso, per lo meno in parte, a correggere le differenze di formazione frutto delle differenze sociali sempre più profonde. La scuola, in questa visione, deve prendere atto delle differenze sociali e rinunciare alla “utopia” (tipica degli anni di sviluppo del dopoguerra) di procedere ad un certo recupero di quanto perso sul terreno sociale.
Da questa impostazione un rifiuto di investire in quelle misure che permettono di migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, permettendo anche di attenuare (non certo di cancellare) il risultato delle differenze sociali.
Possiamo quindi dire che questa iniziativa, se accolta, contribuirebbe a rendere un po’ meno classista la scuola ticinese, anche se non contribuirebbe in modo fondamentale ad eliminarne l’impronta: un’impronta che viene confermata proprio nelle scuole primarie, rafforzata nella scuola media e resa definitiva nelle scuole medie superiori e all’università.
È una buona ragione per sostenerla.