L’iniziativa per una cassa malati pubblica è stata rifiutata il 28 settembre 2014 con il 61.8% dei voti. È stata accettata in quattro cantoni: Ginevra, Vaud, Neuchâtel e Giura. In altri tre, i “si” superano il 40%: Friburgo, Basilea-Città, Ticino. Negli altri cantoni, la maggioranza dei voti favorevoli è inferiore: ad esempio, si situa al di sotto del 33% nei cantoni di Zurigo e Argovia.
Paragonato al risultato dell’iniziativa per una cassa malati unica e sociale, votata nel 2007, la percentuale di “sì” è aumentata del 9.4% su scala nazionale. La progressione è del 11.1% rispetto al risultato del 2003 sull’iniziativa “La salute a un prezzo abbordabile” e del 14.8% rispetto al risultato dell’iniziativa “Per una sana assicurazione malattia”, votata nel 1994, in contemporanea alla Legge sull’assicurazione malattia (LAMal). Quali elementi di bilancio possono essere tratti da questa votazione e dalla campagna che l’ha preceduta?
I limiti di una sconfitta
I responsabili del Partito socialista svizzero (PSS), all’origine dell’iniziativa, avevano definito, dopo la sconfitta del 2007, il loro piano d’azione: ritornare alla carica con una proposta alleggerita (la questione dei premi proporzionali al reddito, al centro di tutti i progetti della sinistra in materia di assicurazione malattia dagli anni 1970, è stata abbandonata) per costruire un progetto che potesse essere maggioritario. Il malcontento nei cantoni, in seguito ai forti aumenti dei premi successivi alla votazione del 2007 e alle rivelazioni sui premi pagati in eccesso in più cantoni, era presentato come uno scenario che avrebbe reso credibile l’avvicinamento di un settore borghese all’ipotesi di un cambiamento di sistema, a patto che fosse svuotato della sua dimensione sociale. Il bilancio, già chiaro durante la campagna, è disastroso. Nessun settore borghese significativo si è schierato per l’iniziativa e si è ancora lontani da una maggioranza dei votanti.
Detto questo, l’aumento di circa dieci punti percentuali dei “sì” rispetto al 2007 (anche maggiore, come detto, rispetto alle altre votazioni del passato) non può essere ignorato. Difficile pure stabilire se questo risultato sia il frutto della scelta tattica degli iniziativisti di fare una proposta dal contenuto moderato oppure la cristallizzazione di uno scontento più generale di fronte al sistema attuale di assicurazione malattia.
L’altro elemento interessante che emerge dal risultato è il fatto che, malgrado abbiano utilizzato mezzi importanti per condurre una campagna menzognera fondata sulla paura, le casse malati non sono riuscite a ottenere un risultato ancora più netto.
Il contesto
Durante la campagna che ha preceduto la votazione, il consigliere federale Alain Berset ha coscienziosamente intrappolato i suoi colleghi di partito iniziativisti, spostando il terreno del dibattito: piuttosto che attaccare frontalmente il progetto di cassa pubblica, ha semplicemente affermato che non sarebbe cambiato nulla sulla questione chiave, cioè quella relativa all’aumento delle spesa sanitaria, la cui origine è da ricercare nel progresso della medicina (da notare che non è più colpa dell’invecchiamento della popolazione e nemmeno dei pazienti che consumano troppe prestazioni mediche, argomenti utilizzati in modo massiccio in passato (ad esempio dall’ex-Consigliera federale, già sindacalista, Ruth Dreifuss durante la sua permanenza in governo dal 1993 al 2002). Un aumento dei premi di cassa malati tra il 3 e il 4% all’anno sarebbe, comunque, inevitabile , ha sostenuto Berset. La destra e gli assicuratori hanno accompagnato questo assist del Consigliere federale che li ha, di fatto, sdoganati.
La logica di un tale posizionamento non è apparsa del tutto imprevista. Un aumento annuale dei premi del 3% significa un aumento di un buon terzo sull’arco di 10 anni, allorché possiamo tranquillamente scommettere sul fatto che i salari stagneranno. Il peso che questo rappresenterà su ampi strati della popolazione sarà ancora più importante, e questo dovrebbe accrescere ulteriormente la disponibilità verso proposte che tenderebbero a ridurlo. Nel contempo, la pressione sulle finanze pubbliche generata dalle politiche di defiscalizzazione, sfocerà inevitabilmente su nuove misure per ridurre la “fattura sanitaria”: diminuzione dei sussidi di cassa malati, chiusura di ospedali (o di reparti), aumento del carico lavorativo per il personale sanitario, limitazione dell’accesso a cure, ad esempio attraverso una nuova versione del managed care o eliminando alcuni tipi di cura dal catalogo delle prestazioni rimborsate: tutto questo farà verosimilmente parte della ricetta che ci verrà proposta. Infine, gli assicuratori torneranno sicuramente alla carica per proporre altri tipi di ripartizione dell’assunzione dei costi, con l’idea di alleggerire i peso per coloro che “ne hanno veramente bisogno”, ad esempio contrapponendo i giovani adulti alle persone anziane.
Scendere ancora di un gradino?
Malgrado il contesto che lascia immagine la “coperta” salute tirata da tutte la parti, la prospettiva che si afferma con maggior forza dopo la votazione del 28 settembre tra i responsabili dell’iniziativa “Per una cassa malati pubblica” è quella di creare le condizioni per realizzazione di proposte simili a livello… cantonale.
Questo significa in realtà prolungare la strategia adottata all’indomani della sconfitta del 2007, scendendo ancora qualche gradino più in basso nelle proprie rivendicazioni. I tattici mostrano i muscoli: affrontiamo gli autoproclamati difensori della “libera scelta” sul loro terreno, lasciando quindi ai cantoni la possibilità di fare l’esperienza di una cassa unica. Lo scontro di interessi economici e sociali che sottointendono i posizionamenti politici non è invece un gioco astratto. La possibilità che una proposta così “ragionevole” sia accolta con benevolenza da parte dei beneficiari del sistema attuale, e i loro fedeli sostenitori in campo politico, è praticamente nulla. Bisognerà quindi elaborare una nuova iniziativa popolare. Senza nemmeno parlare delle possibilità di successo (perché dovrebbero essere migliori?) e la distanza che separa la sua portata estremamente limitata e le dinamiche in corso nel sistema sanitario sarebbe ancora grande, e non certo a suo favore.
Per un approccio globale. Sei punti da discutere pubblicamente
Di fronte a una situazione di stallo, un’altra prospettiva, globale, è tutta da costruire. Per aprire questo dibattito proponiamo sei punti fermi:
1. L’aumento delle spese sanitarie non è un problema in quanto tale e non costituisce un fardello che ipoteca lo sviluppo sociale ed economico o impoverisce la società. È al contrario il riflesso della ricchezza delle società e sono i cambiamenti nelle modalità e le tecniche di presa a carico delle persone che fanno capo alle cure che ne sono i principali vettori. Del resto, il fatto di investire nel sistema sanitario è largamente ammesso e condiviso dalla popolazione, allo stesso modo del principio di un accesso universale alle cure. I discorsi che agitano lo spettro dell'”esplosione dei costi sanitari”, sono da combattere (il che non vuol dire approvare tutte le forme attuali di sviluppo della medicina, né i prezzi imposti dal complesso medico-industriale, ad esempio nel campo del medicamenti).
2. Per contro, le spese sanitarie rappresentano oggi, per larghe fasce della popolazione, una spesa finanziaria difficile da sostenere.
La ragione di questa situazione risiede nella ripartizione delle spese sanitarie, e non nell’ammontare in quanto tale di queste spese. Questa ripartizione è socialmente ingiusta per due ragioni strutturali. In primo luogo, i premi di cassa malati individuali sono proporzionalmente più pesanti per le persone con dei bassi redditi rispetto a quelli con redditi alti (o molto alti). In secondo luogo, una larga parte delle spese sanitarie non sono coperte dall’assicurazione malattia o da altre assicurazioni. Si dimentica troppo in fretta che attualmente un franco su quattro speso per la salute è pagato direttamente dal paziente: questo comprende in particolare la partecipazione diretta (franchigia e quota-parte), la presa a carico dei trattamenti non rimborsati (spese dentarie, ma non solo), e le partecipazioni alle spese per le cure a domicilio o di soggiorno in istituti medico-sociali, che posso essere molto elevate e che aumenteranno a causa delle politiche cantonali. Sono queste le realtà che stanno dietro il fatto che una parte della popolazione rinuncia a delle cure per ragioni finanziarie, l’11% secondo un’inchiesta condotta presso gli studi medici della Svizzera francese (1).
Una risposta a questa situazione passa attraverso un’estensione della copertura malattia e dei premi proporzionali al reddito, con una “parte padronale” di almeno il 50%. Il sistema dell’AVS è là a mostrare l’efficacia in termini di solidarietà sociale di questo metodo di finanziamento. Questo spiega la determinazione con la quale la destra e gli ambienti padronali vi si sono sempre opposti.
3. Le collettività pubbliche finanziano attualmente circa un terzo di tutte le spese sanitarie. I principali canali di questo finanziamento pubblico sono: il finanziamento cantonale delle ospedalizzazioni, i sussidi cantonali (o comunali) delle cure a domicilio e degli istituti medico-sociali per le persone anziane, i sussidi per ridurre i premi di cassa malati e le prestazioni complementari AVS, in particolare per il finanziamento dei soggiorni negli istituti medico-sociali.
Ebbene, la terza riforma fiscale delle imprese, un “big bang” secondo il fiscalista Xavier Oberson che si felicita di questo progetto (2), prospetta pesanti perdite per le finanze pubbliche, con una perdita duratura di risorse per le collettività pubbliche (ufficialmente 3 miliardi l’anno). La salute sarà inevitabilmente tra i settore toccati. Discutere del futuro del sistema sanitario senza tener contro di questa minaccia è, nel migliore dei casi, senza senso. Questa nuova manna fiscale per il capitale prosciugherà le risorse pubbliche: non deve essere riformata o addolcita, ma bloccata. Le organizzazioni sindacali, del settore pubblico ma non solo, dovrebbero comprendere quale è la posta in gioco e fare immediatamente di questa battaglia una priorità.
4. Uno degli aspetti fondamentali dell’attività di un assicuratore privato è di segmentare il “suo” mercato in modo da poter proporre offerte assicurative per lui redditizie. Non vi è, per contro, l’obiettivo di aumentare la “produttività” dei prestatori di cure. La “caccia ai buoni rischi” è dunque, nel quadro offerto dalla LAMal (obbligo di assicurare e premio unico, indipendentemente dal rischio), un modo del tutto logico di fare il mestiere dell’assicuratore. Questo spiega la sua ubiquità e la sua durata nel tempo. E il fallimento di tutti i sistemi di “compensazione dei rischi”, indipendentemente dal loro livello di sofisticazione.
Di fronte agli aumenti di premi che si annunciano per il futuro, è dunque inevitabile che gli assicuratori ritornino, presto o tardi, alla carica con nuove proposte per segmentare differentemente il mercato degli assicurati, per realizzare ulteriori ridistribuzioni dei costi che gli permettano di guadagnare la simpatia – e l’adesione- di segmenti interessanti finanziariamente (i più mobili poco costosi) a discapito dei più cari e “fedeli”, come le persone anziane. Questo può, per esempio, passare attraverso nuove forme di managed care oppure aumenti autorizzati di franchigia. Assicuratori come il Groupe Mutuel rivendicano da più anni la possibilità di introdurre una differenziazione dei premi in funzione dell’età.
L’economista della salute della cassa malati CSS, Konstantin Beck, ha proposto dal canto suo un sistema con un’assicurazione facoltativa per le spese fino a fr. 10’000, finanziata con premi proporzionali ai rischi, completata da un’assicurazione obbligatoria, con un premio unico, per le spese più elevate (3). Una riduzione del catalogo delle prestazioni rimborsate, ampliando il mercato per le assicurazioni private, potrebbe così essere realizzato.
Tutte queste proposte avrebbero per effetto di aumentare le disuguaglianze dell’onere finanziario rappresentato dall’assicurazione malattia nella copertura di cui beneficia la popolazione con, in fin dei conti, comparti della popolazione ancora più a rischio di non poter accedere alle cure di cui hanno bisogno.
Un sistema solidale suppone, al contrario, una copertura identica per tutti, con un finanziamento solidale tra generazioni, sessi e classi di reddito, condizione necessaria per garantire a tutti un accesso alle cure non limitato da condizionamenti finanziari. Un sistema di questo tipo è antinomico con il mestiere di base degli assicuratori privati. È una ragione fondamentale per passare a una cassa malattia pubblica.
5. Il Consigliere federale Alain Berset ha la sua ricetta per rendere più “efficiente” il sistema sanitario: vuole mettere in campo degli “incentivi” migliori. È il compito del nuovo vice-direttore dell’Ufficio federale della salute pubblica Olivier Peters, che ci crede.
La coppia efficienza-incentivi rinvia a un quadro preciso: quello di un mercato dove regnano le regole della concorrenza tra interessi privati (è la parte efficienza), con gli incentivi lì per correggere le “imperfezioni”. Questo passa da una serie di indicatori – che misurano la qualità, l’economicità e altro ancora – accompagnati da stimoli finanziari, che dovrebbero condurre gli attori presenti sul mercato a essere virtuosi “contro la loro volontà”, in un certo senso.
L’esperienza internazionale nel campo della salute, e in altri ambiti quali ad esempio l’insegnamento, mostra la realtà vera delle cose: questi sistemi di incentivi sono solo fumo negli occhi la cui sola efficacia è di portare, a buon mercato, un po’ più di legittimità al mercato – e a coloro che ci fanno i soldi – senza modificare alcuno degli aspetti fondamentali.
Bisogna contestare questo mantra che sostiene che solo i meccanismi di mercato corretti da qualche indicatore di qualità siano in misura di permettere lo sviluppo efficiente di un sistema sanitario. Efficiente, ci si deve chiedere, secondo quali criteri? Per chi? A che prezzo?
Il finanziamento degli ospedali tramite DRG (Diagnosis related groups), archetipo di questo modello nel campo della salute, indica la direzione nella quale cercare risposte a queste domande. Il criterio di efficienza di questo modello è strettamente finanziario; i principali beneficiari sono i gruppi privati che cercano di estendere le loro parti di mercato ai segmenti di attività redditizi; la standardizzazione/industrializzazione dei processi riduce i pazienti a entità astratte, dalle quali scompare l’insieme del contesto medico, sociale e psico-sociale del paziente, essenziale per ogni percorso di cura e di guarigione; il personale è doppiamente messo sotto pressione, dall’identificazione del lavoro indotta dall’industrializzazione della “produzione” ospedaliera e dalla tensione causata dalle esigenze in termini di qualità della presa a carico, costitutive dall’ideale professionale, ma sempre meno praticabile. L’aggiunta di indicatori di qualità non cambia nulla, come dimostra l’esperienza dei paesi che hanno introdotto questo sistema di finanziamento già da tempo.
Le dinamiche in corso nel settore degli istituti medico-sociali per persone anziane, o in quello delle cure a domicilio, sono un’altra illustrazione degli effetti della priorità accordata all’efficienza, sotto la pressione delle costrizioni di bilancio crescenti a livello cantonale. Capitali privati investono in questi segmenti di attività e ridefiniscono al ribasso la qualità della presa a carico (fino al limite del maltrattamento) e le condizioni di lavoro (4). Fanno così la prova della loro “efficienza” consolidando nel contempo i loro margini di profitto.
L’alternativa è da ricercare in un sistema di salute pubblica, dal quale sia escluso il capitale privato, con obiettivi definiti in un processo cooperativo e democratico che associ i rappresentanti del personale di cura, dei pazienti, delle collettività pubbliche e delle assicurazioni sociali. Un tale quadro non elimina i conflitti di interesse, come ogni processo democratico, esige tempo e risorse; e non costituisce di per sé una garanzia di scelte solo positive. Ma rende possibile sostituire una conduzione affidata alla sola bussola della razionalità finanziaria e degli interessi dei capitali privati con la presa in considerazione concordata di differenti bisogni e attese presenti nella società in materia di salute (salute pubblica, priorità sociali, bisogni dei pazienti e del personale curante).
6. Il sistema sanitario è oggi controllato dal complesso medico-industriale, nel quale dominano le grandi imprese del settore farmaceutico, le industrie legate alle attrezzature e ai dispositivi medici, alla consulenza, ai gruppi ospedalieri e assicurativi. L’influenza delle aziende farmaceutiche e delle industrie legate alle apparecchiature e ai dispositivi medici sulla ricerca e la formazione medica ha oggi preso una dimensione inaudita. Anche la pratica clinica si ritrova direttamente condizionata.
All’altro capo della catena, in un certo senso, le paure dei pazienti sono orientate sottilmente, in particolare attraverso il condizionamento delle associazioni di pazienti, per legittimare il lancio di prodotti sul mercato da parte delle industrie farmaceutiche e di apparecchiature e dispositivi medici. Si è in questo modo creato un meccanismo perverso secondo il quale il bisogno in salute è captato e plasmato in maniera da rispondere all’esigenza di avere sbocchi redditizi per le industrie del complesso medico-industriale. Il controllo della dinamica di redditività del capitale privato sul sistema sanitario lo deforma, lo fa gonfiare senza rapporto con i bisogni in termini di salute in diversi ambiti, allorché altri settori, non redditizi, sono ignorati.
Rompere questa dinamica è indispensabile per creare le condizioni di un sistema sanitario costruito a partire dalla definizione cooperativa e pubblica dei bisogni nel campo della salute e dei mezzi da mettere in campo per rispondervi. Questo suppone la necessità di passare dell’attuale polo industria-ricerca-insegnamento-clinico dominato dal complesso medico industriale, a un polo ricerca-insegnamento-clinica pubblico e indipendente dall’industria.
(1) Bodenmann P. e colleghi (2014), Screening Primary-Care Patients Forgoing Health Care for Economic Reasons, PLOSone, aprile 2014, vol. 9, Issue 4.
(2) Le Temps, 30.9.2014.
(3) (3) K. Beck, V. von Wyl (2012), Quo Vadis? – Konzept einer liberalen Reform der Schweizer Krankenversicherung, J. UROL UROGYNÄkol 2012; 19 (1).
(4) A proposito degli istituti di cure medicalizzati; cf. Sonstags-Zeitung del 28.9.2014, “Millionengewinne auf Kosten der Betagten”.