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opera roma 97110 life-655x437Non è un episodio insignificante o pittoresco il licenziamento in blocco di orchestrali e coristi del teatro dell’Opera di Roma. La maggior parte dei commenti puntano a minimizzarlo o a presentarlo come una conseguenza inevitabile delle agitazioni che hanno spinto il maestro Riccardo Muti a lasciare il teatro. Lo avevo già commentato sul sito, lasciando la parola ad alcuni lavoratori dello spettacolo, in La fuga di Muti: diritti fondamentali o privilegi…

In realtà nessuno parla di alcuni dati elementari: il primo è che questa vicenda conferma che in Italia è facilissimo licenziare. Falsissimo che un imprenditore (metalmeccanico o chimico o dello spettacolo) debba tenersi a vita chi ha assunto, come ci raccontano ogni giorno i renziani d’assalto.

Il sovrintendente Carlo Fuortes dice che questo “non è un ricatto”, ma invece è proprio un ricatto in perfetto stile Marchionne: “Se non accettate, chiudiamo”. In ogni caso promette che la futura orchestra cooperativa “potrà” essere formata da parte o tutti i musicisti licenziati. Ovviamente se si mostreranno docili e rinunceranno alla difesa dei diritti acquisiti.

In sostanza, l’importante per il teatro è avere un filtro: non dovrà licenziare individualmente nessuno, ci penseranno i responsabili della cooperativa. Esattamente come nella logistica, nelle pulizie, e in moltissimi settori dell’industria, dove il caporalato è stato nobilitato ed esteso grazie al “Pacchetto Treu”, che prende il nome da quel famoso esponente della “sinistra” che oggi viene premiato da Renzi affidandogli la responsabilità importantissima di spremere ancora l’INPS, in veste di commissario straordinario.

Il meccanismo è semplice: la cooperativa, affidata a un manutengolo del committente, seleziona chi entra e chi resta fuori. Non sarebbe più riconoscibile un licenziamento discriminatorio, risulta solo una legittima e banale “mancata assunzione”…

Questo metodo l’avevo già conosciuto in Puglia, ad esempio quando l’imprenditore Filograna (vedi il Dossier su Un imprenditore salentino), dopo anni in cui aveva scritto sui cancelli delle sue fabbriche “Qui il sindacato non entra”, aveva affidato la responsabilità per le sue esternalizzazioni alla CGIL, accolta a braccia aperte proprio per questa funzione. Lo aveva fatto dopo una famosa cena a base di aragoste offerta a D’Alema in uno dei suoi ristoranti di Gallipoli, a cui era seguito il tesseramento in massa e quasi coatto alla CGIL. Poco dopo, l’annuncio della crisi, presentata come dovuta alla concorrenza dei paesi dell’Est… in cui già Filograna aveva spostato gran parte della produzione.

A convincere operaie e operai a rinunciare a un posto fisso diventato incerto, e a tentare la strada delle piccole aziende esternalizzate (con uomini di fiducia e macchinari forniti dallo stesso Filograna), era stata tra gli altri una sindacalista che poi ha fatto parecchia strada. È stata eletta deputata PD per tre legislature, ed è ora sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali nel governo Renzi: Teresa Bellanova. Il bilancio di quell’operazione era stato lo smantellamento di fabbriche che avevano avuto in organico migliaia di operai, in parte esternalizzate in Albania e altri paesi dell’ex blocco sovietico, in parte smembrate in molte micro aziende scarsamente controllabili, in cui era facilissima la messa al bando dei lavoratori “non affidabili”, che ovviamente non avevano superato il nuovo periodo di prova nelle fabbrichette sparse tra garage e cantine in tutta la zona. Oggi questa stessa Bellanova è responsabile, sotto Poletti, delle politiche sociali, e dovrebbe tutelare anche i lavoratori dello spettacolo del Teatro dell’Opera licenziati in tronco!

I grandi quotidiani intanto si impegnano a fondo a presentare orchestrali e coristi come famelici parassiti, e denunciano casi limite di contrattazione integrativa, sorvolando sui tagli apportati da tempo ai bilanci (tranne che per i manager, le consulenze e i divi). E a proposito del significato emblematico di questa deregulation, si legga cosa dice il sovrintendente Fuortes a proposito della nuova orchestra, che dovrebbe essere pronta già a gennaio.

Alla intervistatrice del Messaggero che gli chiede se “ci sarà un bando”, Fuortes risponde tranquillamente che “data la specificità del servizio, non è obbligatorio applicare la legge sugli appalti”. Ecco un altro obbiettivo dell’operazione: sostituire al regolare e difficile concorso con cui i lavoratori licenziati erano stati assunti, un accordo sottobanco con chi si assumerà il compito sporco di selezionare chi accetta le nuove condizioni.

Anche questa apparentemente piccola vicenda, fa capire qual è l’obiettivo di tutte le misure proposte dal governo Renzi, siano esse quelle del Jobs Act, o sia la “buona scuola” basata sulla selezione dall’alto degli insegnanti di serie A e serie B, poderosa arma di ricatto e di divisione. Sono collegate tra loro, e tutte vanno combattute, senza farsi ingannare dalla propaganda sui “privilegi” da eliminare.