Le proiezioni pubblicate prima delle elezioni parlamentari svoltesi in Ucraina il 26 ottobre si sono rivelate ampiamente imprecise. Il quadro che tracciavano era già molto scoraggiante, ma le numerose sorprese emerse dopo il voto rendono il quadro complessivo ancora più inquietante.
Il Blocco Petro Poroshenko si è presentato al voto integrando nelle sue liste numerosi personaggi del passato legati al sistema oligarchico. D’altronde, lo stesso partito è guidato da un oligarca che è divenuto presidente dopo avere in passato collaborato disinvoltamente sia con le forze “arancioni” sia con il regime di Yanukovich. Poroshenko inoltre ha basato la sua ascesa, oltre che sul suo patrimonio e sui legami con i potentati ucraini, anche sulla sciagurata guerra di quest’estate. Tuttavia, nel contesto di questa tornata elettorale il voto per il suo partito rappresentava un voto moderato, visto che il presidente si è chiaramente pronunciato a favore di una tregua nel Donbass e contro nuove azioni di guerra dopo la sconfitta militare subita ad agosto. Il fatto che abbia ottenuto una percentuale di gran lunga inferiore al previsto, e che probabilmente non riuscirà nemmeno a ottenere la palma di “primo in classifica”, è il sintomo del fatto che in questo momento nemmeno posizioni anche solo vagamente moderate come le sue hanno spazio sufficiente. Alla luce di questo risulta particolarmente preoccupante il successo inaspettato ottenuto dal Fronte Popolare del premier Yatsenyuk e del ministro degli interni Arsen Avakov, che ha superato, seppure di poco, il partito di Poroshenko. Il Fronte Popolare è stato giustamente definito da molti il “partito della guerra”. Il mix che ha offerto agli elettori è micidiale: un nazionalismo revanscista che promette nuove guerre, un ultraliberismo che promette una vera e propria guerra economica interna contro la popolazione e un’integrazione al suo interno di leader neonazisti e/o autoritari dei “battaglioni privati” che promette una guerra contro le libertà democratiche. Inoltre, come tutti gli altri partiti, anche il Fronte Popolare ha forti collegamenti con il sistema oligarchico, in particolare con Igor Kolomoyskiy, oligarca-governatore di Dnepropetrovsk, sistema senza il sostegno del quale questa forza politica formata solo quest’estate da una dozzina di fuoriusciti da Batkivshchina (il partito di Timoshenko) non sarebbe sicuramente riuscita a ottenere il successo che ha ottenuto. La vittoria che il Fronte ha ottenuto è sicuramente un pessimo sintomo dell’atmosfera politica che regna nel paese.
E’ una pessima notizia anche il risultato inaspettatamente buono ottenuto dal Blocco di Opposizione guidato da Yuriy Boyko. Il partito, creato solo all’ultimo momento e che i sondaggi davano all’1-2%, è arrivato a ottenere circa il 10% a livello nazionale, toccando il 30% nelle zone del Donbass in cui il voto si è potuto svolgere, il 26% a Kharkov e il 16% a Odessa. Basato sulle schegge di quanto all’est è rimasto del Partito delle Regioni di Yanukovich, questo partito è un partito a “totale contenuto oligarchico” ed è diretta espressione di due magnati dell’era passata come Dmitro Firtash e Rinat Akhmetov, anche se quest’ultimo cerca di tenersi il più possibile nell’ombra. Se, come è quasi sicuro, nelle elezioni-farsa che si terranno nelle “repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk risulterà vincitore il gruppo guidato da Aleksandr Zakharchenko, leader dell’organizzazione squadrista Oplot strettamente legata all’oligarcato dell’era Yanukovich, si avrà una situazione in cui su entrambi i lati della linea di divisione tra forze governative e separatisti il sistema oligarchico continua a essere dominante.
A prima vista potrebbe sembrare ampiamente positiva la débacle subita dall’estrema destra, comunque da salutare con favore. I populisti di destra del Partito Radicale di Lyashko, che aveva anch’esso dato spazio a neonazisti nelle proprie liste, ha ottenuto un risultato di gran lunga inferiore alle attese, attestandosi intorno al 7%. Ha pesato di sicuro sul suo insuccesso la furiosa lite estiva con il suo protettore, il già citato oligarca Kolomoyskiy, che lo ha abbandonato a metà strada prima del voto: il suo insuccesso quindi paradossalmente non è altro che una conferma dello strapotere che il sistema oligarchico continua a esercitare in Ucraina. Svoboda sembra essersi fermata al di sotto della soglia del 5% (ma bisogna attendere i risultati definitivi) e il Pravy Sektor ha ottenuto circa il 2%. Si tratta però di dati relativi alle elezioni svoltesi per la metà dei seggi in base al sistema proporzionale. L’altra metà verrà assegnata in base a elezioni maggioritarie e qui i primi dati dicono che alcuni membri delle forze neofasciste, tra gli altri Dmitro Yarosh e Andriy Bileckiy, sono stati eletti con un’ampia maggioranza dei voti nei rispettivi collegi ed entreranno quindi in parlamento, dopo avere già conquistato un ruolo di primo piano nelle forze armate ucraine.
In mezzo a questo panorama deprimente il successo imprevisto ottenuto da un partito liberale moderato estraneo al sistema oligarchico come il Samopomich del sindaco di Lviv, Andriy Sadoviy, potrebbe apparire come un segno se non positivo, almeno in controtendenza. Ma non va dimenticato che anche lui ha candidato leader dei “battaglioni privati” e che probabilmente è stato questo uno dei principali motivi dell’insperato risultato ottenuto. Sicuramente positiva è invece la sconfitta subita da Batkivshchina, il partito di Timoshenko, che è riuscito a malapena a superare la soglia del 5%, e quella del Partito Comunista, attestatosi su una percentuale inferiore al 4%. Quest’ultimo si presentava come partito “di sinistra”, ma in realtà ha avuto un ruolo fondamentale nella rapina condotta nei confronti della popolazione con le privatizzazioni ed è una forza di natura profondamente reazionaria. La sua scomparsa dal parlamento è un risultato che si è ampiamente meritato e toglie di mezzo un equivoco sulla supposta presenza di una forza di sinistra tra i seggi dell’opposizione.
Rimangono infine da citare i dati sull’affluenza, che è stata molto bassa, pari a circa il 52%. Trattandosi delle prime elezioni del dopo-Maidan e del dopo-Yanukovich c’erano ampi motivi per una larga partecipazione degli ucraini al voto. La bassa influenza va quindi letta come un chiaro voto di sfiducia rispetto al ceto politico nel suo complesso e, di conseguenza, di quello oligarchico con il quale è in simbiosi. Alla luce di questo dato risulta che nessuna delle forze politiche è riuscita a spingere più del 10-11% degli ucraini a prendere una decisione tutto sommato facile come quella di andare al seggio. La mancanza di legittimità politica del nuovo parlamento è quindi molto forte. E’ da tenere infine presente anche l’affluenza nelle regioni del sud-est, che è stata bassissima in particolare nelle zone del Donbass in cui si è votato, appena il 32%: se, come abbiamo già notato, all’est i separatisti non godono di un sostegno attivo di massa, lo stesso vale anche per il governo di Kiev, che alla luce di questa percentuale non gode nemmeno di un sostegno passivo. Anche le percentuali registrate in altre regioni del sud-est come quelle di Kharkov e Odessa, inferiori al 50%, sono un segno che va in questa direzione.