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accordo cinaI media hanno dato grande rilievo all’accordo con il quale gli Stati Uniti e la Cina si impegnano a ridurre le loro emissioni di gas serra per limitare il cambiamento climatico. 

L’accordo, reso pubblico alcune settimane dopo che l’Unione Europea ha fatto conoscere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni[1], aumenta notevolmente la probabilità che la Conferenza sul clima che si terrà a Parigi alla fine del 2015 (COP 21) non sia una ripetizione di quella di Copenhagen (2009), e porti a un accordo internazionale in buona e dovuta forma. Allo stesso tempo, il tenore degli impegni presi dai due più grandi emettitori di gas serra conferma la probabilità ancora più grande, che tale accordo internazionale sia insufficiente dal punto di vista ecologico, pericoloso da quello tecnologico e quindi ingiusto da quello sociale.

 

Impegni cinesi

Cominciamo dalla parte cinese dell’accordo. Il testo presentato a Pechino da Barak Obama e Xi Jinping stipula che la Cina comincerà a ridurre le sue emissioni assolute al più tardi nel 2030, e che le fonti a «zero carbonio» copriranno a quella data il 20% dei suoi bisogni energetici.

Per valutare la portata di questa promessa, bisogna sapere che nel 2013 tali fonti a «zero carbonio» rappresentavano in Cina il 9% del consumo primario di energia, e che il dodicesimo piano quinquennale punta sul 15% nel 2020. Al ritmo degli investimenti, guadagnare il 5% in più in dieci anni non è una grande prestazione; nel 2012 sono stati investiti 65 miliardi di dollari nelle energie «non fossili».

Bisogna anche sapere che «fonte a zero carbonio» non significa «fonte rinnovabile».

L’energia dei grandi bacini idrici artificiali e delle centrali nucleari non è rinnovabile (i bacini vengono colmati dalle alluvioni, e le riserve di uranio sono limitate), ma queste fonti sono considerate a « zero carbonio » o a «basso carbonio». Nell’aprile 2014, la Cina disponeva di 20 reattori nucleari in esercizio, e altri 28 erano in costruzione (2 dei quali EPR[Reattore ad Acqua Pressurizzata]). Il programma nucleare, sospeso dopo Fukushima, è ora ripartito alla grande; la potenza installata dovrebbe più che triplicare entro il 2020…

Bisogna infine sapere che, secondo il GIEC/IPCC, rispettare il limite di 2°C tenendo conto delle «responsabilità differenziate» dei diversi gruppi di paesi («sviluppati», «emergenti» e «altri»), implica che paesi come la Cina aumentino la loro efficienza energetica – quindi riducano le loro relative emissioni – del 15-30% (in funzione del loro grado di sviluppo). Con un obiettivo del 20%, la Cina è nettamente nella parte bassa di questa forchetta …

 

Impegni USA

Vediamo ora gli impegni statunitensi. A termini dell’accordo, gli USA si impegnano a ridurre le loro emissioni del 26-28%, rispetto al 2005, entro il 2025.

Secondo i dati dell’Agenzia americana per l’ambiente (EPA), nel 2005 gli Stati Uniti emettevano 7.254 gigatonnellate (Gt) di gas serra. Una riduzione del 26% nel 2025 significa che le emissioni sarebbero riportate a 5.368 Gt (5.223 per il 28%).

Molti elementi meritano di essere richiamati per valutare la portata di quest’obiettivo.

In base al protocollo di Kyoto (che gli USA hanno firmato ma non ratificato), lo Zio Sam avrebbe dovuto ridurre le sue emissioni dell’8% nel 2012 rispetto al 1990. Ciò significa che le emissioni avrebbero dovuto passare da 6.233 Gt (cifra del 1990) a 5.734 Gt (invece, sono aumentate in media dello 0,2% all’anno per giungere a 6.526 Gt). In altri termini: Obama si impegna a fare per il 2025 appena un po’ meglio dell’obiettivo che gli USA avrebbero dovuto raggiungere due anni fa.
Le emissioni USA sono aumentate dal 1990 al 2005, dopo di che sono diminuite in media dell’1,4% all’anno. Tale diminuzione è in particolare il risultato del fatto che il gas di scisto si è in parte sostituito al carbone nella produzione di elettricità. Ora, in base all’accordo, le emissioni USA passeranno da 6.526 Gt nel 2012 a 5.368 nel 2025 … cioè una riduzione di 96 Gt all’anno – giusto l’1,4%. In altri termini, Obama si impegna semplicemente a mantenere il ritmo attuale di riduzione delle emissioni … grazie allo sfruttamento catastrofico del gas di scisto[2].
Ultimo, non meno importante: secondo il GIEC/IPCC, per avere una possibilità ragionevole di non superare di troppo i 2°C di aumento della temperatura, rispettando il principio delle «responsabilità differenziate» tra diversi gruppi di paesi, le emissioni dei paesi sviluppati dovrebbero diminuire del 25-40% entro il 2020, rispetto al 1990. Nel caso degli USA, ciò porrebbe un obiettivo di emissioni tra 4.665 Gt (–25%) e 3.740 Gt (–40%) … nel 2020. Da confrontare con l’accordo: 5.368 Gt nel … 2025.

Nucleare, gas di scisto, cattura e stoccaggio …

Vediamo ora con quali mezzi Stati Uniti e Cina contano di raggiungere i loro fini. Il testo dell’accordo ha il merito della chiarezza: «Le due parti intendono continuare a rafforzare il loro dialogo politico e la loro cooperazione pratica, compresa la cooperazione sulle tecnologie avanzate del carbone, l’energia nucleare, il gas di scisto e le energie rinnovabili, il che contribuirà a ottimizzare il mix energetico e a ridurre le emissioni, comprese quelle del carbone, nei due paesi».

L’espressione « tecnologie avanzate del carbone» si riferisce in particolare alla cattura e stoccaggio geologico della CO2. Ho attirato altrove l’attenzione sul fatto che questa tecnologia da apprendisti stregoni si sta imponendo come LA soluzione di compromesso capitalista (dunque difettoso) tra la lotta contro il riscaldamento e gli interessi delle multinazionali dei fossili. L’accordo Cina–USA conferma questa valutazione. Questo prevede infatti: «la realizzazione in Cina di un nuovo progetto primario di stoccaggio del carbonio tramite un consorzio pubblico–privato internazionale, diretto da Stati Uniti e Cina, allo scopo di studiare approfonditamente e di monitorare lo stoccaggio del carbonio utilizzando CO2 industriale, e anche di lavorare insieme su un nuovo progetto pilota di aumentato recupero di acqua (Enhanced Water Recovery) per produrre acqua dolce per mezzo di un’iniezione di CO2 in acquiferi salini profondi».

In chiaro: le due grandi potenze carbonifere, la Cina e gli USA, vogliono continuare a bruciare i loro enormi giacimenti di carbone (da 200 a 300 anni al ritmo di consumo attuale!) ma immagazzinando sotto terra la CO2 prodotta dalla combustione.

La cattura e stoccaggio è una delle tecniche di «geoingegneria» immaginate da quei dottor Stranamore per i quali la crescita capitalista è una legge di natura ancora più ineludibile di quella dell’attrazione delle masse … Ma i rischi della cattura sono seri, a iniziare dai rischi di fuga massiccia di CO2 in caso di terremoti (che secondo alcuni la stessa cattura potrebbe provocare!).

Ma niente deve venire a intralciare la corsa al profitto. Gli Stati Uniti mettono a disposizione la tecnologia, la Cina offre luoghi di stoccaggio. In tal modo, e sotto la guida del «Partito Comunista», l’officina del mondo capitalista potrà continuare a utilizzare combustibili fossili per produrre merci a basso prezzo vendute massicciamente sui mercati occidentali. In più, l’iniezione di CO2 negli acquiferi salini profondi permetterà di recuperare un’acqua che, una volta desalinizzata, costituirà una preziosa risorsa sfruttabile … contro denaro contante, beninteso.

 

Questi svitati che dirigono il mondo

Per il sistema, la politica di lotta contro il cambiamento climatico è concepibile soltanto e nella misura in cui permette di fare affari. Se è così, si tratta di una buona politica, no? Come dice l’accordo: «La comunità scientifica ha dimostrato chiaramente che l’attività umana sta già cambiando il sistema climatico mondiale. Contemporaneamente, l’evidenza economica rende sempre più chiaro il fatto che un’azione intelligente condotta ora sul cambiamento climatico può pilotare l’innovazione, rafforzare la crescita economica, e apportare importanti benefici». Avanti dunque per i profitti, e non venite a fare le Cassandre.

L’accordo Cina-USA sul clima fa pensare alla famosa frase di Churchill: «Too little, too late». In effetti «Troppo poco, troppo tardi», dunque molto pericoloso e dunque anche violentemente antisociale. Poiché, non lo si ripeterà mai abbastanza: sono i poveri che pagheranno la fattura del riscaldamento (la stanno già pagando), e il prezzo sarà colossale. Mobilitiamoci, con le nostre associazioni, i nostri sindacati, i nostri movimenti di donne e di giovani. Insieme facciamo indietreggiare questi svitati che dirigono il mondo. Insieme, imponiamo una transizione energetica che sia allo stesso tempo ecologicamente efficace e socialmente giusta.

 

[1] In ESSF (articolo 33424, Réchauffement climatique: un accord européen en trompe l’oeil..

[2] Secondo Kevin Anderson, direttore del Tyndall Center on Climate Change Research, i paesi sviluppati dovrebbero ridurre da subito le loro emissioni dell’11% all’anno fino al 2050.

[3] In ESSF (articolo 33423) Réchauffement climatique: le cri d’alarme du GIEC.