“Vergogna, vergogna” è il grido alto che è salito nell’aula del Palazzaccio romano al momento della lettura della sentenza della Corte di Cassazione che annullava il processo Eternit, mettendo un pietra tombale sulla richiesta di giustizia delle famiglie delle migliaia di vittime di Casale ed uccidendo una seconda volta i morti di quella strage capitalista, perpetrata nel corso degli anni dal miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, che oggi si gode i frutti dei suoi profitti e dei suoi crimini nel comodo rifugio tropicale del Costarica.
“Vergogna” è anche il grido che è esploso nel cuore degli abitanti delle località devastate dalle fabbriche di morte, ma anche di milioni di cittadine e cittadini nel vedere così palesemente violate le regole più elementari della giustizia. La sentenza della Corte di Appello di Torino di questo maxi-processo aveva suscitato tante speranze perché per la prima volta si riconosceva la piena responsabilità dei padroni nell’aver provocato un disastro ambientale e nell’aver compiuto un massacro di lavoratori e cittadini per potersi garantire per anni enormi profitti: finalmente anche i padroni erano chiamati a pagare il “fio dei loro delitti”, non erano più intoccabili.
E’ giustamente consolidata nella coscienza popolare, l’idea, maturata nell’esperienza concreta, che chi è potente e detiene le ricchezze, attraverso i sofismi e le interpretazioni interessate della legge, le compiacenze ed infine la corruzione, riesca sempre a sfuggire alle sue responsabilità e alle sue colpe. I padroni vincono sempre, non pagano mai perché a pagare sono sempre i derelitti e i lavoratori. Ma dopo il giudizio di secondo grado della Corte di Torino era forte la convinzione che la Cassazione non avrebbe potuto tornare indietro. Purtroppo non è stato così.
In questi giorni molti giuristi hanno adeguatamente spiegato perché le norme potevano essere interpretate diversamente e produrre una sentenza ben diversa per cui non mi soffermo su questo aspetto e provo a fare alcune altre considerazioni sulle problematiche poste dalla drammatica vicenda.
Un contesto sociale e politico avverso
Questo processo e “l’impianto pionieristico” di Guariniello, (così l’ha definito il pubblico ministero), si sono svolti in un quadro politico e sociale che nel corso degli anni è mutato in senso negativo per i lavoratori. E’ da tempo che al centro della società c’è un solo soggetto a cui viene dato un valore positivo, l’impresa. Tutte le proposte e le misure economiche e sociali sono avanzate in funzione della centralità dell’impresa, dei suoi inalienabili diritti, a partire dalle continue riduzioni fiscali, dal liberarle da ogni laccio e lacciuolo ereditato dai rapporti di forza passati, dal lasciare ai padroni una totale libertà nell’uso della forza lavoro, sia al momento dell’assunzione del lavoratore, sia nella gestione in azienda, sia nella possibilità di cacciarlo in qualsiasi momento. Che cosa è il Jobs Act se non questo? Che cosa sono le ordinanze che arrivano dall’Europa e dalle istituzioni finanziarie se non questo? Il vento tira oggi in una certa direzione e la magistratura che, non dobbiamo mai dimenticarlo, è una delle strutture dello stato borghese rivolto alla conservazione del sistema economico esistente, non può certo non sentirlo spirare.
Con le grandi lotte degli anni 70, una serie di riforme legislative progressiste avevano un poco modificato il clima generale ed anche il corso conservatore della magistratura, ma la legislazione sul lavoro è già stata smantellata in gran parte ed oggi il governo Renzi prova a dargli il colpo di grazia. Illusorio sarebbe pensare che questo corrente reazionaria dei tempi non incida sulle scelte dei giudici e sulla interpretazione delle norme, quella che Revelli chiama “l’innato conformismo istituzionale che caratterizza la parte peggiore della nostra magistratura”, nonché “il vento gelido di un nuovo statuto del mondo”.
La lotta contro l’amianto l’hanno fatta i lavoratori e le popolazioni interessate
Questa prima considerazione ne richiama subito una seconda: la battaglia per mettere al bando l’amianto e risarcire le vittime, per combattere i padroni che su di esso lucravano e chiudere le fabbriche della morte impedendo che continuassero a fare danni, non è mai venuta dall’alto, dalle istituzioni, dalla classe dominante, anche se tutti costoro sapevano della pericolosità di queste lavorazioni. Per molti soggetti che oggi gridano giustamente allo scandalo c’è da chiedersi: dove erano e dove sono stati in tutti questi decenni?
Solo con dure e prolungate lotte i lavoratori e i sindacati insieme alle associazioni e ai cittadini interessati hanno infatti imposto una nuova legislazione e misure economiche e sociali per risarcire e risanare almeno parzialmente gli enormi danni prodotti.
Solo con la legge del 27 marzo 1992 finalmente viene messa al bando la produzione e la commercializzazione dell’amianto a conclusione di venti anni di processi civili e penali e di una lotta durata alcune decenni. Per altro questo provvedimento viene votato dai parlamentari sotto la pressione di una mobilitazione dei lavoratori che per 15 giorni assediano il Parlamento!
Si tratta della legge n. 257 del 1992 “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, che prevede il divieto di estrazione, lavorazione, utilizzo e commercializzazione dell’amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori ex esposti all’amianto, nonché misure per il risarcimento degli stessi e per il riconoscimento della qualifica di malattia professionale e del danno biologico.
Ma la battaglia non finiva quel giorno; si apriva invece un’altra lotta incessante da parte delle associazioni dei lavoratori ex esposti, dei territori, del movimento sindacale per dare piena attuazione a quella legge. Aspetti fondamentali di tale normativa sarebbero stati attuati solo dopo dieci anni; molti altri aspettano ancora una reale concretizzazione.
Anche perché l’emergenza amianto non è finita con la chiusura delle fabbriche. Le malattie correlate all’amianto hanno tempi lunghissimi di incubazione, vent’anni ed oltre ed il territorio nazionale è letteralmente disseminato ed inquinato dai vecchi impianti, ma anche dall’enorme numero di edifici pubblici e privati che contengono la micidiale sostanza.
Una nuova legge organica finita nei cassetti
Un nuovo progetto di legge organico per intervenire su tutti gli aspetti relativi all’inquinamento dell’amianto e al risarcimento e cura delle sue vittime fu avanzato dal senatore Pizzinato, già segretario generale della CGIL, nei primi anni del nuovo secolo durante il secondo governo Berlusconi. Naturalmente non andò in porto, ma fu ripresentato nella legislatura successiva con il governo Prodi avendo come primo firmatario il senatore Casson. Fui molto coinvolto personalmente da questo progetto di legge non solo perché facevo parte della Commissione lavoro del Senato, ma perché ne fui nominato relatore e in quella veste partecipai a tanti convegni ed incontri di lavoratori ed associazioni in diverse parti del paese dove esistevano gli impianti inquinanti ed ebbi così modo di conoscere una straordinaria realtà umana, di dolore, solidarietà, partecipazione e lotta che ancora mi commuove; ma verificai anche la drammatica contraddizione tra la vita (e la morte) reale e i palazzi del potere capitalistico e i sepolcri imbiancati delle istituzioni.
Il governo e la maggioranza di centro sinistra considerarono infatti irrealizzabile il progetto (costava troppo a loro dire anche se nel frattempo si regalava alle aziende e alle banche 7 miliardi di euro ogni anni con la riduzione dell’IRAP) e venne avviato su un binario morto ed insabbiato.
Tuttavia quel progetto ancora vive oggi perché è stato ripresentato all’inizio della legislatura nel 2013 dal senatore Casson insieme ad altri parlamentari anche se continua a giacere in un cassetto della Commissione lavoro del Senato insieme a un’altra ventina di disegni di legge sulla materia. (1) Solo per 4 di questi è cominciata la discussione in commissione, tra cui un testo (sempre come primo firmatario Casson), che si propone di introdurre alcuni miglioramenti nella concessione dei benefici previdenziali a seguito del riconoscimento dell’esposizione certificata all’amianto per l’attività lavorativa soggetta all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. C’è da augurarsi che il dramma di questi giorni e la sua rilevanza dei media smuova un poco la discussione parlamentare.
Non dichiarazioni demagogiche ma opere di bene
E vengo alla considerazione finale.
Come su ogni vicenda sociale e politica che acquisti notorietà ed attualità sui media, il presidente del Consiglio e i suoi ministri ricorrono ad una demagogia insopportabile assicurando che nel giro di una settimana saranno predisposte e varate rapidamente nuove norme; il più delle volte i fatti non corrispondono alle promesse o la qualità dei fatti è di segno esattamente opposto a quello che sarebbe auspicabile. Così oggi, come un falco, Renzi promette di intervenire sulla prescrizione, quasi che la vera sostanza non stia a monte e sia di ben altra natura.
Il governo avrebbe, se mai lo volesse, altre modalità e misure ben più concrete, materiali e di scelte politiche per rendere giustizia alle tante vittime dell’amianto e di intervenire sui danni prodotti per assicurare il futuro di territori e popolazioni.
In primo luogo dovrebbe chiedere alla sua maggioranza di mandare avanti rapidamente i progetti di legge complessivi sulla materia che giacciono in parlamento e di individuare le risorse necessarie per finanziarli.
Dovrebbe fare da subito quello che non vorrà fare: utilizzare la legge di stabilità per operare un vasto e complesso intervento, sia per garantire a tutti gli esposti all’amianto adeguati diritti previdenziali e sanitari, ma anche per varare un grande piano di risanamento e di bonifica del paese. E’ quanto in altri paesi si è cominciato per lo meno a discutere e a quantificare i costi. Naturalmente non si tratta di investire qualche decina di milioni, ma qualche miliardo di euro. Ma è questa la strada che occorre seguire.
Questa è una delle vere grandi opere da fare, non solo utile ma indispensabile per la difesa della salute e dell’ambiente e per garantire le generazioni future, quelle di cui si riempie la bocca il premier. E’ uno di quegli interventi strutturali che articolandosi, come per altro le azioni per la messa in sicurezza dei territori dai dissesti idrogeologici, in tante piccole e medie opere utili, comporta una vasta ricaduta occupazionale.
Il risarcimento per quelli che non ci sono più, per tutti quelli che hanno lottato e che soffrono e anche i diritti delle popolazione sarebbero così garantiti non solo nelle aule dei tribunali, nelle sentenze di condanna dei responsabili padronali delle stragi e delle devastazioni, ma nelle scelte economiche e sociali del paese e delle istituzioni. E naturalmente per “conformità e congruenza” Renzi dovrebbe subito ritirare il Jobs Act…
Perché questo avvenga, ne siamo più che mai convinti, occorreranno ancora mobilitazioni e lotte molto dure finché a tenere il timone della società non saranno più i servi dei padroni, ma le stesse lavoratrici e lavoratori.
Per questo nel loro comunicato congiunto l’AIEA, l’Associazione italiana esposti all’amianto e Medicina Democratica hanno scritto: ” Proseguire nella lotta – è l’unanime grido dei partecipanti, vittime ed ex esposti, rafforzare i rapporti, costruire piattaforme comuni, dando una forma organizzata a Ban Asbestos Europa, così come espresso nel “Manifesto di Roma” approvato alla fine dell’incontro alla Camera.
(1) Si tratta del disegno di legge n. 8 primo firmatario Casson “Norme a tutela dei lavoratori, dei cittadini e dell’ambiente dall’amianto, nonché delega al governo per l’adozione di un testo unico in materia di amianto” che prevede la costituzione di un fondo per le vittime dell’amianto e di un Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici e del naviglio militare, agevolazioni tributarie per l’eliminazione dell’amianto dagli edifici privati, il miglioramento dei benefici previdenziali ai lavoratori esposti all’amianto, prestazioni sanitarie per i lavoratori esposti all’amianto, l’istituzione della Conferenza nazionale e di quelle regionale (entrambe con scadenza annuale), l’assistenza legale gratuita, campagne informative, la delega al governo per varare un testo unico in materia.
Leggi “Eternit, prescrizione e pietra tombale” di Mauro Ravarino, dal Manifesto del 20 novembre
Jobs Act e sentenze
di Giorgio Carlin
Nessuno ha ancora osservato che la sentenza sull’amianto fa parte organica del Jobs Act.
Significa che in cambio di qualche pattume di investimento straniero lo Stato garantisce non soltanto impunità fiscali ma anche giudiziarie. Che ai lavoratori viene cancellata ogni tutela non solo dei diritti ma anche delle loro stesse vite.
Che non è questo singolo governo ma lo Stato che si dichiara nemico dei lavoratori (e qualche cretino mi racconti ancora che sono i “garantiti”…).
Che ogni ipotesi puramente riformista, anche onesta, diviene, come diceva Brecht, “un fragile ricamo di fanciulla”.