Cosa significa il rinvio dello sciopero generale

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barbagalloRiprendo un articolo di Checchino Antonini, che riprende anche il giudizio dell’opposizione interna alla CGIL, “Il sindacato è un’altra cosa”. Ma vorrei sottolineare che era questo rinvio, deciso a tavolino ai margini del “congresso” della UIL, era facilmente prevedibile. Per giunta lo sciopero andava proclamato molto prima, quando ancora poteva pesare sul dibattito parlamentare sul Jobs Act.

Già il 5 dicembre c’erano molte probabilità che la partita fosse chiusa, ora è sicuro.

Lo sciopero è stato annunciato per disinnescare le critiche che montavano in vari settori del sindacato, ma già le modalità previste ne riducevano la portata politica. Ora l’accordo con la UIL, che ha fiancheggiato tutti i governi possibili esattamente come la CISL, contribuirà a svuotarne ulteriormente il significato. Spiace vedere che il Manifesto invece abbocca all’amo ed esalta il cosiddetto allargamento alla UIL e forse “perfino” all’UGL, senza manifestare un’ombra di dubbio. Anzi, “È il generale che ci piace”, titola a grandi caratteri la prima pagina di oggi.

Tra le righe di un articoletto, si scopre poi che l’entrata in scena della UIL non era stata discussa in quella organizzazione, sicché molti la hanno contestata. “Cosa lo facciamo a fare il congresso se non per decidere qualcosa?”, lamenta qualcuno, e in particolare i metalmeccanici UILM, che si sono trovati “fino a ieri a spiegare nelle fabbriche che lo sciopero generale di Landini era un’assurdità, che il Jobs Act e la modifica dell’articolo 18 avevano degli elementi positivi”, ecc. Tanto per chiarire con che gentaglia venduta la Camusso vuole l’unità…

Qualche dubbio sugli entusiasmi della presentazione ottimistica di tutta l’operazione tra governo e CGIL, con la mediazione della fantomatica sinistra PD, viene da una scheda sul Manifesto in cui Sacconi dice brutalmente: “Non avrei mai pensato che dopo vent’anni che tento di cambiare l’articolo 18, a farlo sarebbe stato un governo guidato dal segretario di un partito di sinistra”. E aggiunge: “È vero abbiamo vinto, anche se fino ad ieri abbiamo dovuto far finta di litigare con la minoranza PD. Ma il governo è stato bravissimo a trovare un accordo e ora siamo entrambi soddisfatti”. Ma precisa che comunque “le deleghe credo daranno ragione più a noi che a loro”. Viva la sincerità!

Rimane da capire cosa rimarrà al termine di questa vicenda. La CGIL difficilmente recupererà i settori che già l’hanno lasciata scoraggiati e delusi per la mancata protezione. Lo sciopero fatto dalla CGIL con queste modalità e una simile compagnia non costringerà il governo a fare concessioni significative, e l’operazione non consentirà ai sindacati di recuperare il peso perduto. Al massimo si cercherà di ridurre i tagli ai patronati che assicurano alle confederazioni consistenti utili economici e anche in qualche modo politici (dato che l’assistenza nelle pratiche è in sostanza oggi l’unico servizio reso ai lavoratori).

Sicuramente una parte dei burocrati della UIL, ma anche di quelli CGIL, cercheranno di ridimensionare la portata e gli obiettivi dello sciopero, per sostenere poi che i lavoratori non hanno volontà di lottare. Non bisogna consentire questo gioco, non bisogna dargliela vinta, bisogna trasformare questa scadenza in un punto di partenza per un vero sciopero generale!

Anche perché non tutti i giochi sono stati fatti: non dimentichiamo che fino a poco tempo fa non solo la UIL ma anche il gruppo dirigente della CGIl non ci pensavano proprio allo sciopero. È stata la pressione di base e l’accoglienza data alle prime iniziative di lotta della FIOM a costringerle a proclamare lo sciopero. Bisogna impedire che questo si trasformi in una passeggiata prenatalizia, che non potrebbe fare paura al governo, che conosce bene il gioco e ha più carte in mano, e tanto meno alla Confindustria. Squinzi oggi si permette perfino di fare lo spirito, dicendo che lo sciopero, “con i bassi livelli di attività che abbiamo, in questo momento nell’industria è forse un vantaggio”.

La burocrazia, in particolare quella della CGIL, in passato ha saputo in alcuni casi fare correzioni di linea che davano l’impressione di una svolta a sinistra sostanziale, in particolare nell’estate 1969, quando riprese gli obiettivi dell’opposizione interna e dei gruppi rivoluzionari sulla riduzione d’orario, gli aumenti uguali per tutti e la parità operai e impiegati, cioè gli obiettivi che un mese nel suo congresso prima aveva dichiarato giusti ma non attuali.

A obbligarla a correggere il tiro non erano state maggioranze formali in congressi anche allora burocratizzati, ma sintomatiche iniziative di scavalcamento e di costruzione di una rete di collegamenti diretti tra vari settori di lavoratori in lotta. La strada per ricostruire un sindacalismo combattivo, unendo chi è rimasto in CGIL e chi si è organizzato altrimenti, è ancora lunga e non facile. Ma necessaria.

E sarebbe di gran lunga più difficile da percorrere se si lasciasse spazio ai vertici, dando per perduta la battaglia. È invece possibile collegare dal basso i settori più combattivi, intorno a un programma che non resti puramente agganciato al dibattito parlamentare, e ponga con vigore al centro la difesa delle fabbriche minacciate, la ridistribuzione del lavoro tra tutte/i, la difesa dei salari, l’opposizione netta alle privatizzazioni. (a.m.20/11/14)

 

 

Fa discutere il rinvio, a giochi fatti, dello sciopero generale dal 5 al 12 dicembre. L’Opposizione Cgil: «Si chiude la breve parabola di lotta della Camusso»

 

di Checchino Antonini

 

Sciopero generale di Cgil e Uil, ma rinviato al 12 dicembre.

L’attesa mobilitazione generale contro legge di stabilità, Jobs Act e riforma della Pa è stata posticipata al termine del ‘vertice’ tra i leader di Cgil, Cisl e Uil prima dell’avvio del congresso Uil. La Cgil aveva già proclamato lo sciopero per il 5 dicembre. La Cisl, invece, non parteciperà allo sciopero generale ma solo a quello del primo dicembre del pubblico impiego.

La decisione sorprende i commentatori che si concentrano sull’accoppiata inedita Cgil-Uil che romperebbe il fronte confederale. Ma delude, e molto, l’opposizione Cgil, l’area che fa a capo al documento congressuale “Il sindacato è un’altra cosa”: «Si chiude la breve parabola di lotta della Cgil – è il commento del portavoce Sergio Bellavita – sciopero anestetizzato e a giochi fatti sul jobs act. Non siamo d’accordo, così si va alla debacle».

Il rischio che l’astensione, a lungo evocata nelle mobilitazioni dell’autunno, si trasformi in una passeggiata prenatalizia è fortissimo a dispetto dei segnali di disponibilità alla mobilitazione che sono emersi sia dalla grande manifestazione Cgil del 25 ottobre sia dallo sciopero sociale del 14 novembre e, ancora prima, dallo sciopero generale che Usb ha fatto in buona solitudine il 24 ottobre. Diventa ancora più importante la scadenza del 21 quando, a Napoli, scenderanno in piazza i metalmeccanici Fiom del Sud, con Landini.

L’ultima volta che le tre confederazioni hanno incrociato le braccia risale alla stessa data di tre anni fa, quando l’obiettivo dell’agitazione di tre sole ore era la manovra siglata Monti. Da allora tutte le iniziative di sciopero hanno visto i sindacati collocarsi in ordine sparso, con la Cgil spesso lasciata senza sponda su diversi fronti, dalla Fiat al riforma del modello contrattuale. Stavolta invece l’isolamento tocca alla nuova Cisl di Annamaria Furlan, che resta ferma dopo ripetuti tentativi di coinvolgimento nello sciopero generale (mai valutato), l’ultimo consumato in un incontro di neanche mezz’ora in mattinata con i leader delle altre due organizzazioni.

L’ultimo sciopero gener
ale Cgil è del 14 novembre del 2012 contro l’austerity. Il 2010 ha il suo clou nell’accordo separato, senza la firma della Fiom-Cgil, sullo stabilimento Fiat di Pomigliano, che ha dato vita ad un nuovo format. Stessa configurazione nel 2009 per la riforma del modello contrattuale, il sindacato di Corso d’Italia, allora guidato da Guglielmo Epifani, si sfila. E la Cgil è ancora sola nel 2008, quando – ancora una volta il 12 dicembre – scende in piazza contro il governo Berlusconi. Bisogna tornare al 25 novembre 2005 per uno sciopero generale unitario contro l’allora finanziaria, mentre la manifestazione dei 3 milioni al Circo massimo a difesa dell’articolo 18 viene organizzata unicamente dalla Cgil, di Sergio Cofferati, il 23 marzo 2002. Così il cerchio dell’ultimi decennio si chiude.

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