Il clima politico in Europa, va da sé, non appare dei migliori. Non vi sono dubbi che assistiamo ad una trasformazione del quadro politico complessivo che tende a spostarsi, sul piano della sua espressione politico ed elettorale, decisamente a destra. Né si tratta di un fenomeno nuovo, ma di una tendenza ormai in atto da tempo.
Alla base di tutto questo vi è l’offensiva della borghesia e dei suoi governi che, in tutti i paesi europei, stanno attaccando sistematicamente quel che resta (e non più ormai molto) delle grande conquiste dei salariati ottenute nel dopoguerra, sia nel quadro delle politiche di concertazione avviate nel primo dopoguerra, sia nel quadro delle conquiste ottenute con le grandi mobilitazioni degli anni 60 e 70.
L’offensiva del padronato può oggi contare su un alleato che, ormai da tempo, ha sciolto ogni residua remora: i partiti social-liberali, sempre meno “sociali” e sempre più liberali. E sono ormai numerosi in Europa i paesi dove questa offensiva del capitale può contare su un ruolo attivo degli ex-partiti social-liberali.
Basti pensare alla politica del governo Renzi (e del PD che, quasi unanime, lo appoggia: d’altronde Renzi, che val pena ricordarlo, è il segretario di quel partito, né è l’espressione più genuina) che si caratterizza per l’abbandono ormai ripetuto e ostentato di qualsiasi minimo riferimento alle politiche tradizionali di quella che si qualificava come sinistra socialdemocratica.
Non è da meno il governo francese diretto da Manuel Valls. Basti pensare al recente pacchetto di misure varato dall’esecutivo tutto teso a favorire il padronato, sia attraverso una politica di sgravi fiscali, sia attraverso processi di deregolamentazione delle condizioni di lavoro. Non può non sfuggire d’altronde la valenza, anche simbolica, dell’arrivo dal governo di Emmauel Macron, ministro delle finanze, proveniente direttamente dalla banca d’affari Rothschild & Cie, uno dei simboli di quel potere finanziario che ha trionfato in questi ultimi tre decenni.
Non diversamente le cose vanno in Germania, dove l’SPD condivide il governo con il partito di Angela Merkel, totalmente subordinato a colei che rappresenta la depositario di una linea politica europea centrata su politiche di austerità tese a comprimere condizioni di vita e di lavoro dei salariati.
In questo contesto le organizzazioni sindacali sembrano seguire questo declino, prigioniere nella loro grande maggioranza di una logica concertativa e di collaborazione di classe che le ha viste accettare anche l’inaccettabile in questi ultimi anni. Alcune hanno messo a punto in modo definitivo il loro passaggio a vere e proprie cinghie di trasmissione degli interessi dominanti in seno ai lavoratori. Il loro orientamento concertativo si è ormai tramutato in una logica di totale assenso alle politiche liberali dei governi. Lo illustrano in modo chiaro gli attuali orientamenti di confederazioni sindacali come la UIL e la CISL italiane o come la CFDT francesi.
È in questo contesto deprimente che vanno colti con interesse i segnali che giungono da scioperi e manifestazioni importanti come quella del 25 ottobre a Roma, quella – la più imponente da molti anni – del 6 novembre in Belgio o, ancora, lo sciopero (ultimo di una serie che dura da qualche mese) dei macchinisti delle ferrovie tedesche del quale parliamo in questo stesso numero del giornale.
Si tratta, evidentemente, di manifestazioni diverse; a volte organizzate comunque in una logica sindacale che non esce da quella concertativa che ha portato alla situazione disastrata nella quale ci troviamo. Ma, forse per la prima volta dopo molti anni, si è rivista una forte determinazione e combattività di settori importanti dei salariati.
Si tratta di fenomeni ancora tutto sommato marginali rispetto alla possibilità di incidere in modo significativo sullo sviluppo dei rapporti di forza. Ma ci sono, sono in crescita e ci dicono che i salariati ricomincino, seppur lentamente ed in modo esitante, a muoversi.
Il nostro compito è di sostenere questo movimento, di lavorare per favorirne lo sviluppo, di valorizzare i piccoli passi avanti che vengono compiuti. Piccoli progressi che, nel quadro di un contesto economico e sociale che rischia inevitabilmente di deteriorarsi sempre di più, possono essere le premesse decisive per il rilancio del movimento dei lavoratori.