A volte la storia (o la semplice attualità) combina configurazioni particolari che sono di grande utilità per illuminare la nostra realtà sociale. Ad esempio, in questo stesso mese di novembre, ci troviamo a discutere del rapporto tra cittadini stranieri e fiscalità. Alludo, evidentemente, a questa discussione sulla fiscalità dei lavoratori frontalieri e a quella, oggetto di una votazione popolare federale, sulle tassazioni globali.
Constato la diversità di atteggiamento nei confronti di queste due categorie di stranieri.
Da una parte vi sono coloro che, in gran parte ricchi se non ricchissimi, non portano alcun contributo lavorativo in questo paese e che vengono in Svizzera per trarre vantaggio dalla situazione sociale, organizzativa, amministrativa del paese ricevono addirittura un vantaggio fiscale: pagano meno imposte di quanto dovrebbero pagare. Anzi si decide di trattarli in modo privilegiato, fiscalmente parlando, rispetto a coloro che vivono e lavorano in questo paese. Si decide cioè di privilegiare ulteriormente stranieri già di per sé privilegiati.
Dall’altra vi sono semplici lavoratori che vengono ogni giorno in questo paese e che di questo paese non sfruttano assolutamente nulla (tornerò su questo punto); anzi danno un contributo fattivo alla nostra crescita economica. Costruiscono le nostre case (che quasi nessuno dei nostri giovani vuol può costruire), prestano cure ai nostri ammalati, ecc. ecc. Ebbene, nei confronti di costoro si decide un aumento fiscale, dal sapore punitivo, per la semplice ragione che sono lavoratori stranieri.
Se questo non è un atteggiamento fiscale classista, ditemi voi di cos’altro si tratta.
Si argomenta, difendendosi da chi vede in questa proposta una dimensione sostanzialmente punitiva nei confronti degli stranieri salariati, apportando due giustificazioni. La prima è che questa riforma fiscale apporta in qualche modo un contributo finanziario alle casse cantonali e comunali alle prese con un aumento dei costi generati proprio dalla presenza massiccia di lavoratori frontalieri. La seconda è che questo aggravio fiscale rappresenterebbe un disincentivo a venire a cercare lavoro in Svizzera e contribuirebbe a togliere la pressione sul mercato del lavoro e a indebolire il dumping salariale.
Cominciamo dalla prima giustificazione, cioè quella relativa al maggiore introito fiscale. Abbiamo sentito tantissime volte in questo Parlamento discorsi veementemente opposti ad aumenti della pressione fiscale, a cominciare proprio da coloro che hanno formulato la proposta odierna. Ma, ci diranno, questo aumento non è che un piccolo obolo per i problemi (ed i costi) che questa categoria di lavoratori comporta.
In realtà questi lavoratori già oggi sono in forte credito rispetto allo Stato ed ai comuni che incassano le loro imposte. A cosa servono infatti le imposte? A scuola ci insegnano che servono a finanziare i compiti dello Stato: la sanità, la scuola e la formazione, l’assistenza sociale in tutte le sue forme, la cultura, le infrastrutture pubbliche e quelle private, il traffico, ecc.
Di tutto questo, che contribuiscono a finanziare, che cosa utilizzano i lavoratori frontalieri? Non certo gli ospedali, non certo le case per anziani, non certo le scuole, non certo l’assistenza sociale. Quelle prestazioni sociali alle quali hanno diritto sono finanziate da contributi che loro stessi pagano unitamente al padronato (AVS, secondo pilastro, assegni famigliari, ecc.). Restano, non vi è dubbio, alcuni aspetti legati all’aumento del traffico e agli aspetti ambientali non certo secondari.
Ma, ancora una volta, non possiamo non vedere come questo ultimo aspetto sia più che altro un pretesto per fare dei lavoratori frontalieri un capro espiatorio sul quale caricare il fallimento di tutta una classe politica e padronale. Basti pensare all’accoglienza ricevuta dalle proposte, per altro assai timide, del consigliere di Stato Zali per far passare alla cassa i veri e potenti generatori di traffico: il padronato, i centri commerciali, ecc. Chi non ricorda qui le esternazioni del presidente del PLRT, seguito a ruota da altri numerosi esponenti politici.
Ancora una volta: una visione classista della questione fiscale.
E veniamo infine alla questione dell’effettivo dissuasivo che questa misura avrebbe. Penso che la migliore soluzione sia procedere con un esempio che parta da quei lavoratori frontalieri che si trovano, diciamo così, in area dumping, attorno ai 3’000 franchi mensili. Oggi un lavoratore frontaliere celibe paga 146 franchi al mese. Con l’aggravio proposto ne pagherebbe 169. Dunque 22 in più.
Ora, credete veramente che qualcuno disposto a venire a lavorare per 3’000 franchi al mese rinuncerebbe se il suo salario scendesse, per effetto di questo aggravio fiscale, di 22 franchi al mese? Significa non avere nessuna idea, ma proprio nessuna, della dimensione della crisi sociale, economica ed occupazionale che ha investito in questi ultimi anni l’Italia e che spinge i lavoratori di questo paese a cercare non certo fortuna, ma la possibilità di sopravvivere accettando qualsiasi condizione gli venga offerta. Non è il caso qui di illustrare la situazione economica dell’Italia; ma, per chi si fosse distratto, ricordo che il tasso di disoccupazione ufficiale (e sappiamo quanto sia impreciso) è passato dal 2007 al 2014 dal 6,1% al 12.3% e quello giovanile dal 20% del 2007 al 43% del 2014.
E allora, per concludere, come non vedere in questa proposta il semplice tentativo di costruire, come detto, un capro espiatorio al quale addossare tutte le colpe della nostra malandata situazione economica e sociale? Come non vedere un tentativo di trasformare lo strumento fiscale in strumento di “punizione” per una categoria di lavoratori accusati di “rubare” il lavoro ai cosiddetti “indigeni”? Come non vedere in questa proposta un tentativo di fare crescere un sentimento di divisione e di xenofobia, veri e propri veleni se si diffondono tra i salariati?
Sono queste le ragioni che mi spingono a votare contro questa proposta di modifica della legge tributaria. Una modifica dal sapore classista e xenofobo. Qualcosa con cui non voglio avere nulla a che fare, né tanto meno approvare, né con convinzione e nemmeno, farisaicamente come altri, con riserva.
* Intervento del deputato MPS Matteo Pronzini in Gran Consiglio in occasione del dibattito sulla modifica dell’aliquota fiscale dei frontalieri.